We believe in Belgium, sì ma quale?

Il governo belga è caduto per la terza volta in tre anni, il che basterebbe a rendere l'idea delle difficoltà della gestione politica di una nazione non nazione, di una questione linguistica e culturale che vede il paese spaccato in due, dalle Fiandre nederlandofone del nord alla Vallonia francofona del sud, in un diverbio continuo su quella zolla di terra dove tutti dovrebbero convivere in un equilibrio difficile da mantenere: BruxellesIl Post, nuovo giornale di Luca Sofri, riassume abbastanza bene la questione (vergognose invece le edizioni online di diversi quotidiani nazionali, ad esempio Repubblica recentemente parla di Belgio soltanto per un prete pedofilo mentre sul Corriere soltanto per una denuncia al fumetto belga Tintin: nessuno dei due prende in considerazione la delicata questione di politica estera).

Manifestazione per l'unione del Belgio.
Il vostro reporter d'assalto, andima, era sul luogo. Foto scattata qui.
Ieri un gruppo di non più di cento persone si è riunito in Place Surlet de Chokier, a Bruxelles, per manifestare la volontà di un'unica nazione, il Belgio, contro le numerose ipotesi di divisione nate dalla recente crisi di governo. Sotto la statua della Brabançonne, nome dell'inno nazionale belga, studenti e non han iniziato a sventolare bandiere ed intonare canzoni e motti tra megafoni e gole stonate. Quando all'uscita della metro Madou ho intravisto un ragazzo che indossava la bandiera a mantello, ho subito capito di essere nel posto giusto per scattare qualche foto. Dopo un paio di minuti però ho intuito qualcosa di strano: si stava manifestando per l'unione del Belgio, ma la manifestazione non rappresentava il Belgio, non univa nulla, perché inni, canzonette, striscioni, tutto era in francese ed inglese, lì c'era un pezzettino di Vallonia, di Bruxelles francofona, ma quasi nulla di Belgio inteso nella sua totalità, nella sua diversità, causa prima delle discordie e della manifestazione stessa. Soltanto dopo un buon quarto d'ora una signora ha gridato qualche parola in nederlandese ma la risposta in coro era lieve, timida e sommessa se paragonata alla baldoria delle eco francesi.
Qualcuno tenta di boicottare la manifestazione. Foto scattata qui.
Quando poi un signore abbastanza anziano si è presentato da lontano sventolando uno slogan indipendentista con la bandiera delle Fiandre, una pioggia di fischi si è alzata con cori a seguire ed attimi di tensione quando un ragazzo lo ha inseguito tentando un approccio non gentilissimo, ma per fortuna la polizia era nella piazza a sorvegliare ed intervenire se necessario.
In maggioranza eran ragazzi (la manifestazione è stata organizzata in collaborazione con un gruppo universitario di Bruxelles), ma non mancavano persone di tutte le età, persone francofone che volevano un Belgio unito senza però conoscere l'altra lingua, usando magari l'inglese che collante non è ma ennesima conferma di un divario evidente. E allora we believe in Belgium, ma forse invece di una manifestazione isolata sarebbe meglio esprimere le proprie volontà d'unione attraverso uno sforzo linguistico nel tentativo di ricucire relazioni altrimenti lontanissime, perché se io parlo la mia lingua musicale ed elegante (il francese) e tu il tuo accento forte e spezzato (il nederlandese) quello che ne vien fuori è soltanto un rumore stonato, una comunicazione stentata o, come avviene oramai da tempo, due monologhi paralleli.
Occhialoni, capello da bravo ragazzo, mantello, insomma Superman
arriva alla manifestazione. Riuscirà a salvare il Belgio?
Foto scattata qui.
Ruote con le bandiere delle due regioni, Manneken Pis al centro con tanto di
getto d'acqua + due modelle sulla sinistra: una invenzione per unificare il paese?
Foto scatta qui.
Alla fine non resta che la birra: su questo probabilmente sono tutti d'accordo;)
Foto scattata qui.

Di luoghi comuni, stereotipi ed ignoranze

L'altro giorno di ritorno dalla costa del nord, infatuati da un sole che subito richiama la mente ed i sensi all'estate (anche se poi la brezza fredda non lascia ancora scoprirsi), ci fermiamo a Bruges per bere qualcosa. Ad un tavolo di un bar in una piazzola nei pressi del centro storico, siamo in 4: io, la mia ragazza spagnola, un mio amico francese e la ragazza lituana. Al tavolo a fianco due italiani, sui 35 almeno e dall'accento credo fossero romani o giù di lì, in compagnia di due ragazze russe, tentando un inglese balbettante e scattando foto in continuazione. Ad un certo punto uno di loro ascolta qualche parola della mia ragazza ed allora esclama "Ah, spagnola!" ed inizia uno spagnolo addirittura peggiore di quell'inglese senza senso. Io lascio fare e nessuno chiarisce che anche io son italiano. Dicono di essere turisti. La ragazza lituana risponde qualcosa, loro chiedono e si sorprendono nel sapere che vivessimo a Bruxelles. Finisce lì. Poi tra di loro a bassa voce "hai capito, vive a Bruxelles, sicuramente una studentessa, quelli poi in Lituania chissà che università hanno... e sono costretti a venire fino a qui". Una perla.
Peccato che la mia amica sia laureata in economia, parli cinque lingue e lavori presso un ente europeo qui a Bruxelles.

L'altra sera verso la fine di un party in una casa nei pressi di Place Flagey a Bruxelles, tento di spiegare ad un mio amico di Torino quale è la parole che ti riempie la bocca, o almeno così definita a Napoli da alcuni miei amici. E allora lui ci prova una due volte ed io lo aiuto "no, devi dire P-U-R-C-H-I-A-C-C-A". Una ragazza si accosta a prendere la giacca e allora esclama "ma cosa gli insegni?". Capisco subito di dove era ed arrossisco "vabbé era per scherzare". Un ragazzo dietro con un accento tipicamente veneto esclama "mi sa tanto che io parlo molto meglio di voi l'italiano". Prende anche lui la sua giacca e si avvicina alla porta "buona continuazione... e mi raccomando, parlate bene italiano". Chiude la porta e va via. Altra perla. Io ed il mio amico ci guardiamo sconvolti, scrolliamo le spalle, qualche smorfia di disapprovazione (con in mente un "che coglione").
Cari lettori, se quando mi leggete trovate difficoltà con il mio italiano, cercate di capirmi, non è colpa mia, sono del sud.

Mesi fa ad un matrimonio in Italia, al tavolo eravamo io, un amico che vive a Dublino, tre signori di cui il più giovane almeno 40enne. Si inizia a parlare di qualunque cosa, giusto per non cadere nel solito silenzio tra imbarazzo e fastidio. L'argomento cade subito sul vivere all'estero: eravamo due ragazzi, uno emigrato in Belgio, l'altro in Irlanda. Un signore ci racconta d'esser stato in Germania, ai tempi dell'ondata migratoria italiana, ma in fondo all'epoca era tutto diverso. Un altro signore ci domanda "ma poi cosa mangiate lì? Chissà che vi fanno mangiare, quanto mi dispiace, poveri ragazzi", prima ancora che potessimo aprir bocca l'altro gli risponde "eh poveri ragazzi sì, li vedi, sono dovuti andare via dal paese più bello del mondo per colpa di una classe politica che non funziona bene, eh ma le cose che avete qui non le trovate da nessuna parte, questo cibo, questo clima, è tutta un'altra cosa". Poi tante altre perle su cui si potrebbero scrivere trattati lunghissimi.
Pero' è vero, sto crescendo davvero male con tutte queste cose che mi fanno mangiare all'estero.

Cosa hanno in comune i nostri personaggi? Tutti avevano viaggiato, chi come turista chi come emigrato temporaneo. Ecco, la prossima volta che qualcuno mi dice che viaggiare apre la mente, gli elenco subito i miei controesempi, perché muovere il corpo non è abbastanza, se poi la mente rimane ferma.

What a bit garden for such a small family

Sono aperte le serre reali di Laeken, per meno di un mese l'anno, ieri siam andati a
visitare parte dei giardini ed ammirare soltanto da lontano la dimora della famiglia
reale belga. Se siete in giro a Bruxelles in questo periodo, magari ne vale la pena.
Foto scattata qui.

Eyjafjallajökull, già ci manchi

No, il cielo della Bruxelles di oggi non piacerebbe per nulla a René Magritte, protagonista del surrealismo belga, a lui che amava dipingerlo di un azzurro profondo e cosparso di nubi bianche come pennellate soffici ma distinte, ma lo vedrebbe a griglia oggi, rigato di bianco, graffiato da schegge metalliche che popolano l'orizzonte, associandovi qualche metafora dalla sua mente complessa o sbagliandone le origini, i come ed i perché. E si sbaglia anche la prof del corso di francese quando ripete che il cielo di Bruxelles è grigio, per lei è indubbiamente grigio e invece per me è a strisce, immancabili, ad ogni direzioni, a qualsiasi ora del giorno, basta voltarsi a 360 gradi e trovare qualcuno dei tanti aerei che trafficano la capitale, senza sosta, se non per eventi straordinari come la diffusione di un nome impronunciabile, quello del vulcano Eyjafjallajökull e della sue recenti attività sismiche che han bloccato il traffico di mezza Europa per circa una settimana. Una settimana di cielo azzurro, finalmente, come mai visto, naturale, pulito, straordinario nella sua nudità semplice eppure rarissima.

Poi dissolta la nube di ceneri, cessato l'allarme, tirati i sospiri di sollievo di commerci internazionali totalmente in tilt per uno sbuffo di stizza del pianeta calpestato, ecco che si ritorna alla normalità non naturale, al cielo a strisce bianche, una griglia continua, e senza giungere a conclusioni affrettate o pensare a congiure governative, quello che dispiace è dover sperare in un nuovo sbuffo di Eyjafjallajökull per vedere il cielo di Bruxelles del suo colore vero, sincero, primordiale, o altrimenti rassegnarsi e abituarsi al surrealismo moderno, in mostra ogni giorno sulle teste di tutti noi.

Suddenly, summer

Sarà che ad esempio a me piace il sud o che due raggi di sole fan subito estate,
comunque oggi ce ne siam scappati lungo la costa del nord e va bene, niente tuffi,
ma quanto mi mancava quella sensazione di sale sulla pelle... Foto scatta qui.

Un anno a Bruxelles

Poco, troppo poco un anno qui a Bruxelles, troppo poco per capire la città, per vivere tutti i suoi umori, le sue facce e le sue smorfie, per ascoltare e distinguere tutti i suoi alfabeti, le sue lingue miste al sapore d'Europa, d'Africa, America del sud ed Asia, gli accenti di business, d'uffici e di mercati, di scrivanie e di metro, di barristi e di tram, di chi al telefono in inglese annuncia un ritardo ad un meeting o di chi in francese chiede elemosina in ginocchio, di chi va al cinema e si ritrova sottotitoli in due lingue e chi dopo 3 anni ancora va avanti con un inglese da Rutelli ed il francese da turista. Breve, troppo breve un anno qui a Bruxelles, davvero troppo breve per scoprire i segreti della capitale d'Europa, le sue stradine d'art nouveau e mistero, le sue piazzole di storia e terrazze affollate di boccali, monumenti che puntano al cielo ed il cielo che non risponde sempre con un raggio di sole, grigio, come dice la prof del corso di francese, il cielo di Bruxelles è grigio, è invece poi ti affacci alla finestra ed il sole è un invito ad uscire, scappare qualche ora in uno dei tanti parchi disseminati per la città e come una spiaggia ritrovarsi in mezzo a cento altre teste, chi corre dietro al cane, chi gioca col frisbee o due calci ad un pallone, chi pigro getta il corpo sull'erba e lascia la mente sospesa, leggera, in riposo, anche perché c'è sempre a chi raggiunta la spiaggia piace dormire, anche se non si e' troppo a sud.
L'arco del Parc du Cinquantenaire, 10 minuti da casa, corsetta settimanale.
Foto scattata qui.
E c'è voglia, c'è tanta voglia di viverla ancora, questa città che al principio magari non innamora, non è bellanon è niente di eccezionale c'è chi esclama al principio, perché donna dalle forme poco scoperte, Bruxelles non porta tacchi alti ed indossa qualcosa d'umile e pratico, gli occhi magari coperti da capelli lunghi e mossi o da un velo, velo di cerimonia e non di tabù, non di religione ma d'invito alla scoperta e che sia lenta, senza fretta: Bruxelles con il tempo vi conquisterà.
Dove tempo non è sei mesi, non è un anno, ci vuole più pazienza, la voglia ha bisogno di più tempo, per visitare le immense macchie verdi di parchi e foreste appena dopo quel quartiere e dimenticare i suoni stonati delle strade trafficate, per passeggiare lungo nuove vie con la testa verso l'alto a guardare facciate delle case di mosaici e tasselli centenari, per assaggiare tutte le 700 e più birre prodotte in Belgio o le 2000 e più servite al Delirium, per visitare le serre reali aperte soltanto 3 settimane all'anno, ubriacarsi alla maratona della birra una volta l'anno o fotografare il tappeto di fiori della Gran Place celebrato una volta ogni due anni, per provare tutti i tipi di praline di cioccolato ed imparare come cambia l'assortimento ad ogni festività, ad ogni stagione, per assaggiare frites a tutti i chioschi più noti di Bruxelles ed eleggere quello preferito o arrendersi all'odore fortissimo di zucchero a velo sciolto come trappola per golosi dai venditori di gauffre, per scoprire gli speculus e la variante del tiramisù agli speculus, lasciare che nuovi sapori si sciolgano in gola ed un frammento in più di Bruxelles ci accarezzi dentro, conquistandoci inevitabilmente.
Veduta di Bruxelles dal bar all'ultimo piano del MIM. Foto scattata qui.
Ma con calma, senza fretta, un anno è troppo poco per capire quanto complessa sia la questione delle lingue, le indiscriminazioni e le difese tra valloni e fiamminghi, l'impatto della commissione europea e le sue rivoluzioni sulla città, le influenze moderne di colonialismi e barbarie passate, le radici dei nostri emigranti di ieri e le integrazioni tra le numerose comunità di immigrati di oggi e facce non solo belle, facce di Bruxelles che un turista o un eurocrat non fotografa, magari non conosce, forse evita o non programma, ma sono lì, all'ingresso della metro, in un viottolo dietro il centro o appena oltre la soglia del proprio micromondo frequentato. Perche' qui non è certo il paradiso, ma Bruxelles è questo e tanto altro ed io non ne ho ancora avuto abbastanza, il mio foglio è ancora troppo bianco e c'è ancora una lunga lista di cose da fare, vedere, provare e allora si continua, qui, con impegno e col sorriso.

Nessuna spada tratta, please

Da una lettera su Italians di oggi, una ragazza 25enne da poco a Los Angeles per uno stage di due mesi lancia un appello a tutti gli italiani all'estero: italiani di tutto il mondo, - scrive - dovunque voi siate, quando qualcuno parla male del vostro Paese, difendetelo a spada tratta, ricordategli che siamo la culla della cultura e dell'arte, e che gli italiani sono anche e soprattutto brave persone.
A supporto del suo appello, Giulia descrive il suo senso di nostalgia ed amarezza parlando dell'Italia all'estero, elencando la nostra ricchezza linguistica, il patrimonio artistico, "mari, monti, isole che tutto il mondo ci invidia", "il cibo migliore del mondo".

Ora, al di la' del fatto che non tutto il mondo ci invidia mari, monti e isole perché ci sono paradisi terresti altrove che condizioni climatiche, latitudini ed evoluzione non ci permettono di avere ed è giusto che sia così: è la bellezza della diversità e basta varcare un po' la soglia del proprio micro-mondo per accorgersene; e al di la' del fatto che il cibo migliore del mondo è una convinzione molto radicata nella nostra cultura ed è migliore per noi perché siamo abituati a quello che mangiamo e guardiamo con smorfie strane quello che è diverso, probabilmente perché di recente si parlava tanto di dieta mediterranea e allora ce ne sentiamo i creatori e detentori, ne andiamo fieri e la eleggiamo a migliore: pero' mi domando, il Mediterraneo è solo italiano? Quando si parla di cucina mediterranea, non si riferisce forse anche a Spagna, Grecia, Francia, etc? Di recente mi è capitato di notare lo stesso presso alcuni spagnoli, anche un ragazzo andaluso parlava della cucina spagnola come la migliore del mondo perché cucina mediterranea, eppure molto diversa dalla nostra migliore del mondo, pur sempre mediterranea. Insomma, mettetevi d'accordo.
E se dal punto di vista artistico vantiamo un patrimonio di tutto rispetto, non possiamo in eterno ricordare il passato, lodarlo e gettarlo sul tavolo dei confronti quando il mondo è in eterno giro e corre veloce il tempo così come le altre nazioni, che vanno avanti, evolvono, migliorano, contribuiscono ad ampliare i propri patrimoni artistici moderni e proteggono quelli naturali, mentre noi restiamo impantanati in un tradizionalismo abissale, continuando a guardare al passato mentre gli altri si lanciano nel futuro.

Prima di pensare ad un appello a tutti gli italiani all'estero, lascerei da parte patriottismo e sciovinismi vari, in un mondo che elogiamo come globalizzato, sfruttiamo per abbattimento di frontiere e comunicazioni, ma poi mano alla spada tratta, perché nessuno giudichi o critichi la nostra terra? No, niente spada tratta please. Spada tratta vuol dire paraocchi ed orecchie da mercante, vuol dire chiusura mentale e rifiuto del confronto, vuol dire stagnamento mentale, innalzamento di barriere intorno alle proprie visioni che non permettono di vedere quanto di buono ci sia fuori e ammettere che possa essere anche migliore, ma soprattutto evitare di pensare che ciò che sia diverso sia incondizionatamente peggiore.
Io sono un italiano all'estero da due anni e mezzo e quell'appello lo rifiuto. Quando si parla dell'Italia, argomento, ascolto, rispondo, ma senza spada tratta, senza mai pensare sempre e solamente alla difesa o usare i soliti tre, quattro argomenti per l'attacco, così non si ascolta, non si cambia e si rimane terribilmente indietro.

Connection is in the air

A Bruxelles ci sono 4 linee di metro, 19 linee di tram e 61 linee di autobus,
a volte non sembrano mai abbastanza, poi alzi gli occhi al cielo e trovi ragnatele di connessioni.
Foto scattata qui.

Nigel Farage colpisce ancora

Ogni mattina passo di fronte all'enorme quanto brutto palazzone Berlaymont, sede della commissione europea, brutto perché mal si accosta allo stile brussellese delle strade e della case che sicuramente han distrutto per far spazio ad uffici e burocrazia squarciando un intero quartiere; ed ogni mattina passando sotto quelle pareti di vetro verrebbe quasi voglia di sapere cosa accade, quanto si amministra ed in quanti modi. Qualche turista scatta la classica foto e poi si dirige qualche minuto più in là, dove si erige l'altro enorme ma forse meno brutto edificio, il Parlamento Europeo, dove più che amministrare si decide e dove recentemente qualcuno conquista sicuramente la scena in nome di una democrazia che non sembra più così evidente, o almeno dove democrazia indiretta si allontana sempre più dal concetto di governo del popolo.
Ed è proprio questo concetto il perno degli interventi di Nigel Farage, parlamentare europeo britannico, che qualche mese fa ha così attaccato il nuovo presidente del consiglio europeo, Van Rompuy (conoscevate questo nome? Beh, sarebbe importante saperlo), in un who are you che rimarrà oramai alla storia.

Nigel Farage non è nuovo a questo tipo di interventi (già con Sarkozy, con la Merkel con un "for Godness sake let the people speak", con la Ashton, vice presidente della commissione europea, aveva sfoggiato le sue doti), e sicuramente intervenire con attacchi personali come "carisma di uno straccio umido" o definire il Belgio una non-country devia l'intero discorso da una qualsiasi ipotesi di ragionevolezza. La settimana scorsa Farage colpisce ancora, con un nuovo attacco a Van Rompuy, in uno Zeus-like che sicuramente concorre con il precedente intervento nelle classifiche dei migliori teatrini politici europei (in cui probabilmente compare anche un Berlusconi mai troppo ricordato):

Guardando questi video ne esce fuori una certa amarezza se non disgusto per come le sorti delle democrazia europea vengano trattate, di quanto i giornali non riportino queste tematiche e di quanto sicuramente veniamo assorbiti dalle politiche nazionali senza pensare che in altri luoghi altre cariche decidano del nostro futuro. Se Farage colpisce ancora è sicuramente anche per il suo stile british magari troppo spinto negli interventi, ma e' anche grazie ad interventi come questi (per la risonanza mediatica che ne deriva) che possiamo almeno avvicinarsi un po' di più a certi argomenti ed iniziare a porci delle domande, punti di partenza per conoscenze magari più ampie. Il punto non e' Farage, che tra l'altro nella sua parte politica in parlamento europeo ha come maggiore alleato la nostra Lega Nord (ma magari sentissimo certe parole di democrazia da loro... ), o se Farage abbia ragione o torto: il punto siamo noi, che non sappiamo, non ci interessiamo e lasciamo fare.

Prima del Trattato di Lisbona la carica di presidente del consiglio europeo veniva occupata dal capo di governo di uno degli stati membri a rotazione di sei mesi, dopo è nata la figura di presidente, eletto per due anni e mezzo e con una sola possibilità di continuità del mandato. Ma posizioni ed informazioni così importanti, nomi nuovi come Van Rompuy, dovrebbero far parte delle nostre conoscenze, dei nostri stimoli e curiosità ed invece passano inosservati dalle masse ed inosservati vanno avanti e decidono, mentre passivamente ci passano informazioni banali, superflue, come mangime. Basta guardare lo spot governativo trasmesso qualche mese fa e come si presenta ed informa i cittadini sul Trattato di Lisbona (aldilà del titolo del video e dell'ennesima teoria di complotto nella descrizione, non sono riuscito a trovare il video senza accenni o relazioni a certe tematiche):

Insomma, sarà tutto migliore, non interessatevi, lasciate fare.

And that's why art doesn't love them!

Vi ricordate la prima parte? Ogni mattina se ne vedono a dozzine di piccioni sulle statue
 della parte est di Place Ambiorix, e quello che lasciano non è certo un gran bel souvenir.
Foto scattata qui.

Come uno straniero, ma lavorando in patria

Arriva una comunicazione aziendale per email riguardante una festività di maggio ed arriva con il contenuto in tre lingue: in francese, poi in inglese e per ultimo in nederlandese. La leggo in francese, poi per sicurezza la leggo anche in inglese (è troppo presto per fidarmi del mio francese). Il ragazzo belga (del nord) alla scrivania alla mia sinistra si mette le mani nei capelli, fa una smorfia come un sorriso, poi lancia uno sguardo alla finestra, al sole che oggi illumina dominante Bruxelles.
io: Che c'è?
lui: Hai letto l'email che abbiamo ricevuto?
io: sì, ma parla di vacanze, mica c'è da lamentarsi!:)
lui: sì, ma la parte in nederlandese è totalmente sbagliata, l'avranno tradotta con google translator, ne sono sicuro.. non ha senso..
io: ah..

Il collega francese alla mia destra ascolta e quasi imbarazzato nasconde la testa dietro al monitor. La versione in francese era sicuramente corretta. Anche quella inglese era corretta (certo io non posso dare la conferma al 100%, non è la mia lingua, e nonostante lavori in inglese da due anni e mezzo i fine settimana capita che ripassi ancora i phrasal verbs, a maggior ragione vivendo in un paese non madre lingua inglese); ma anche se non fosse stata corretta, probabilmente un ipotetico collega inglese, irlandese o americano, l'avrebbe accettata, perché non è una lingua nazionale, perché qui sarebbe stato uno straniero e anzi quasi certamente avrebbe apprezzato lo sforzo, la considerazione, o quanto meno non ci sarebbe rimasto male.

La mia azienda è belga, ma a maggioranza francofona; ci son però anche tanti nederlandofoni. Siamo in Belgio lo so, la questione della lingua non è affatto semplice e se in questo caso non parlerei di discriminazione (o almeno non intenzionale), sicuramente lo stile non è stato dei migliori e non so se il mio collega si sia sentito trattato come uno straniero, uno straniero in patria, o sia oramai rassegnato, abituato ad episodi che qui possono succedere. Per fortuna per lui, c'era anche la versione in inglese.

Time to pay respect

Mentre la notizia già scompare dalle prime pagine dei giornali, oggi durante una passeggiata
 al Parc du Cinquantenaire ho intravisto davanti alla ambasciata polacca qui a Bruxelles
 fiori ed omaggi alle vittime dell'incidente aereo. E c'e' già chi parla di sospetti ed implicazioni russe.
Foto scattata qui.

Quell'euforia da foglio bianco

Una valanga di ricordi e pensieri si intrecciano veloci leggendo una lettera di oggi su Italians, il tema è quello degli espatriati, di avventure all'estero proprio come quella descritta tra queste pagine virtuali. L'euforia da foglio bianco sintetizza tutto: il nuovo, la scoperta di una nuova città, nuova lingua, nuova cultura, abitudini, amicizie, legami e automatismi, compromessi rivoluzionati da ricalcolare nella propria equazione di felicita'. cosi' man mano quel foglio si riempie di esperienze, errori, ricordi, fotografie, regole grammaticali di una lingua da imparare o soltanto da migliorare e quant'altro popoli giorni e pensieri lungo la propria permanenza all'estero. Cosa succede quando poi quel foglio bianco non è più bianco ma anzi è pieno fin oltre le righe? Magari con correzioni, revisioni, parole che si accavallano ad altre, scritture veloci da decifrare come le ricette di un medico e qualche scarabocchio accennato ai bordi o su una parola da cancellare, brutte cose da dimenticare?

Le strade sono fondamentalmente tre: c'è chi torna a casa, in Italia, perché in fondo lo ha sempre voluto, perché a casa non si sta poi tanto male, perché si vuol tornare a parlare la propria lingua e scottarsi sotto il proprio sole mangiando cose che assumono un sapore diverso pur reperibili oramai quasi ovunque nel mondo avvolto dalla globalizzazione. C'è chi, come dice la lettera, di quell'euforia davvero non può farne a meno e allora meglio ricominciare da un altro foglio bianco, quello già riempito non verrà mai dimenticato ma meglio lasciarlo alle spalle o in qualche cassetto celebrale e ricominciare da zero, nuovo paese, nuova lingua, nuova avventura. Ho conosciuto un ragazzo francese che dopo due anni in Australia e due a Dublino è poi partito per San Francisco, altri miei amici dopo 3 anni a Dublino partono a breve per l'Australia, una ragazza irlandese dopo anni tra UK ed Olanda, ora vive qui a Bruxelles, dove son finito anch'io dopo un anno e mezzo in Irlanda. Probabilmente perché fatto il primo salto, gli altri sembrano più facili e conoscere e viaggiare diventa quasi un bisogno interiore. Ma c'è anche chi rimane, chi non vede il foglio già pieno e chi soprattutto non vede un solo foglio, riempito il primo ne vede altri da collezionare, perché un paese straniero non finisce mai di stupire e spesso si lascia leggere soltanto con tempo e conoscenze e se pur senza quella stessa ondata di euforia iniziale, si preferisce restare dove i compromessi incontrati son quelli giusti e c'è ancora voglia, c'è ancora tanto da scrivere.

Quell'euforia da foglio bianco in realtà non dovrebbe mai mancare, anche se non si son mai preparate le valigie, anche senza un aereo, un finestrino e l'Italia che si fa più piccola e lontana; quell'euforia da foglio bianco magari si enfatizza all'estero perché tutto o almeno tanto è davvero nuovo, ma non dovrebbe mancare mai nei nostri giorni, anche quelli considerati erroneamente più banali e comuni, non dovrebbe mancare nelle piccole cose, alla scoperta di relazioni sociali ed eco interiori, che siano di dialetti italici, di inglesi dagli accenti distorti o di cento altre lingue sotto il cielo che ci ha visto nascere o tra le mille altre pennellate di sfumature celesti, quell'euforia da foglio bianco è semplicemente il nostro sorriso.

L'esperimento italiano

Un nostro connazionale all'estero, Massimo Mastrangeli, anche lui italiano in Belgio, più precisamente a Leuven, ha pubblicato un articolo sul suo blog che subito e' rimbalzato su uno dei blog più letti d'Italia, Byoblu di Claudio Messora. Di che esperimento si parla? L'esperimento tratta il nostro paese o meglio tenta di spiegare a lettori stranieri come mai una nota figura circense domina la scena politica nostrana da più di quindici anni, sperando di rispondere alle perplessità, alle incredibilità, ai dubbi che mezza Europa si pone (o almeno i colleghi d'ufficio di italiani all'estero in mezza Europa si pongono) quando si parla di Italia e Berlusconi.
Proprio perché diretto ad un pubblico straniero, l'articolo e' in inglese, ma su Byoblu trovate la traduzione in italiano. Non spaventatevi per la lunghezza del post e se la barra di scorrimento laterale si fa troppo piccola, se avete dieci minuti vale la pena una lettura. Poi ognuno può avere la propria opinione a riguardo e magari utilizzare i commenti e la possibilità di confrontarsi e' il modo migliore per condividerla.

Probabilmente l'articolo si incentra troppo sulla figura dello psiconano: il male può essere si' rappresentato da un solo individuo, cosi' come in tante religioni esiste un diavolo o qualcosa del genere che ne impersonifica tutte le negatività, ma nella realtà quotidiana cosi' facendo si rischia di perdere altri dettagli fondamentali, altre cause correlate, eventi, negligenze e personaggi che se pur secondari giocano grandi ruoli nelle considerazioni finali.
Ad ogni modo, sarebbe bello conoscere le opinioni di quei colleghi stranieri e se, leggendo la lettera aperta, trovano risposte alle proprie domande, scrollano le spalle in una smorfia incredula o abbassano gli occhi in un rigurgito di pensieri e magari se c'e' chi si allontana in un "I'm sorry" di riassunto. Buona lettura.

You cant overhear them, il est interdit

Si staranno sussurrando qualcosa, giocando intorno al palo,
e forse quel divieto suggerisce di non interferire. Foto scattata qui.

Non intolleranza, ma difesa? (2)

Se volete comprare casa in alcuni aeree limitrofe di Bruxelles, probabilmente vi verrà rifiutato addirittura l'appuntamento per una visita o per una chiacchiera preliminare con l'agenzia se non parlate nederlandese in modo fluente. Si', perché a quanto pare alcuni comuni hanno accordi ufficiosi con diverse agenzie immobiliari nel non vendere case in alcune aeree a chiunque non parli nederlandese o non sia disposto ad impararlo, sotto visione di una speciale commissione comunale che elabora la lista di candidati acquirenti. Quando la prof al corso di francese ce lo accenno' perché era capitato ad una sua amica e perché era conoscenza diffusa qui a Bruxelles, a molti ragazzi sembro' davvero strano, me compreso. Ora che sui giornali locali si parla di pratica diffusa da oramai più di dieci anni, tutto sembra più chiaro ma la cosa che lascia davvero perplessi e' che tale discriminazione vada contro la carta europea dei diritti umani e contro principi dettati dalla stessa costituzione belga!

Quando il mese scorso parlavo di intolleranza e difesa per la vicenda linguistica sul nome di un ristorante che non poteva essere in francese nonostante fossimo in Belgio perché in quel comune era vietato per tutti i locali pubblici, partendo dalle vicende storiche del nederlandese a Bruxelles e dintorni e di come fu discriminato nei secoli come lingua di basso ceto sociale e marginata quasi come la peste, beh quella vicenda sembro' più una difesa delle proprie origini e non un caso di estrema intolleranza, anche se personalmente permettere il bilinguismo (parola d'ordine in Belgio) dell'insegna sarebbe stata la scelta più giusta: mantenere le tradizioni ma con la consapevolezza dell'intorno, della propria nazione e dello stato attuale delle cose.

Parlando con il mio collega belga (del nord), che a fianco al mouse ha sempre un dizionario di francese, lingua straniera per lui, e che preferisce sempre parlare in inglese se l'altra persona non conosce il nederlandese, lui difende senza batter ciglio tale discriminazione, come salvaguardia della identità delle Fiandre e per evitare invasioni di stranieri (ma anche un belga può essere straniero). Ecco, se pur con toni decisamente più educati ed argomentando in modo più chiaro ed aperto, mi ha ricordato diversi concetti della nostra Lega razzista, perché quando si parla di rispetto e difesa delle proprie origini, e' facile cadere in intolleranze ed agire discriminando e se durante la storia si e' stati vittima di discriminazioni prolungate e dolorose non e' certo discriminando contro che si dimostra di aver imparato qualcosa. Il contrasto con la carta dei diritti umani dovrebbe già dire tutto, l'incostituzionalità palese, l'Illegalità documentata di tali procedure, ma quei comuni delle Fiandre letteralmente se ne fregano e vanno avanti; in particolare, uno dei commissari incaricati a discutere sulla vicenda, e' stato in passato sindaco di uno di quei comuni' in cui già si praticava tale discriminazione come normalità diffusa, insomma la persona ideale..

Ora capisco, quando sfogliavo dei volantini sulla discriminazione diffusi dai comuni della Vallonia, parte sud del paese, in una recente iniziativa, ora capisco che non si parlava soltanto di discriminazione sociale, razziale, religiosa, non soltanto per gli stranieri, ma anche per i belgi verso i belgi, stranieri tra loro, in uno stato tanto piccolo quanto inversamente complesso.

Welcome spring

La stavamo aspettando davvero tanto ed ora sembra arrivata. Foto scattata qui.

Alcolicamente Ryanair

Ultimamente tra me e Ryanair c'è un rapporto simile a quello tra l'ubriaco del giorno dopo e la bottiglia, tipo quel ragazzo che inizia a bere euforico della serata e del viaggio emozionale da condividere con amici, luci e sorrisi, poi dopo più di un bicchiere magari qualche rigurgito dal sapore incoerente o un ruttino acido gli ricorda che sta andando oltre la soglia ma sgranocchiando due noccioline, un respiro profondo o due chiacchiere tutto passa e poi giù con un altro bicchiere, altri due, tre, si diverte, si ubriaca per poi risvegliarsi il giorno dopo in una nausea tremendamente prevedibile e dalla classica eterna frase "giuro che non bevo mai più", ma tanto già sa che quel lamento e' la solita grossa balla. Cosi' quando programmo un fine settimana in qualche capitale europea o qualcosa di prolungato per le solite festività alla fine la scelta cade su Ryanair per i suoi prezzi imbattibili, anche se magari gli orari non sono dei migliori o gli aeroporti son sempre secondari o il terminale quello più isolato se si tratta di un aeroporto principale, ma non importa c'è l'euforia del viaggio, il turismo, le foto, i sorrisi, magari viene già un rigurgito amaro quando rimuovi l'opzione dell'sms promemoria del viaggio ad un euro quando Google Calendar te ne invia almeno 4 a settimana e tutto gratuitamente, o quando per pagare due biglietti paghi 20 euro per una transazione che in realtà rasenta il costo nullo, ma non importa vai avanti nonostante il prezzo aumenti leggermente, arrivi a destinazione e tutto si dimentica tra una posa, una mappa, l'itinerario, le cose da vedere, per poi ritrovarsi al ritorno senza cibo disponibile sull'aereo, spostando con un piede della spazzatura tra i sedili, nel mercato delle mille vendite e gli annunci da bazar tra lotterie, sigarette senza fumo, biglietti di bus, all'atterraggio la musichetta ti annuncia l'ennesimo ritorno in anticipo poi pero' aspetti 40 minuti per la scaletta che ti fa scendere dall'aereo e un'oretta per avere la valigia, che poi per carità son cose che possono capitare con qualunque compagnia ma chissà perché quando voli con le altre va sempre tutto bene e allora ti ripeti la classica eterna frase nella mente "giuro che non volo mai più con loro", ma tanto già lo sai che quel lamento e' la solita grossa balla.