La sagra degli italo-belgi a Bruxelles (del 2010)

O anche: cosa che ti possono capitare a Bruxelles (3). Così ieri ci si organizza con amici per una serata in discoteca, doveva essere qualcosa di mascherato per Halloween, poi no, si scopre che la serata è a tema, sull'Italia. Sull'Italia? Sì, è un Luxury Italian party, che già il nome tra dubbi e previsioni (magari pregiudizi, lo ammetto) mi dirottano verso un cambio di programma che alla fine non c'è e allora andiamo alla scoperta di questo evento.
Quando all'ingresso vedo due Ferrari ed una Maserati parcheggiate in bella vista, ad esposizione e manifesto chiaro delle intenzioni organizzative, mi guardo le scarpe e mi domando semmai sarei potuto entrare. E invece no, si entra senza problemi, ma dentro dall'atmosfera deduco subito che no, le scarpe non erano adatte, anche se poi lo stile è tutto un gusto personale, si sa. Ma veniamo all'Italia, quella del luxury party. Un proiettore spara sulla parete gigante immagini di alta moda con Roberto Cavalli (che poi vorrei sapere, quanti italiani vestono Roberto Cavalli? Cioè, certamente non quel 8% di disoccupati e neanche quei 5 milioni di immigrati che pur reggono una parte dell'economia e a parte quel 30% di giovani senza lavoro, ma poi il resto?) mentre al tavolo di fronte alcune signore avanti con l'età brindano con calici di vino, che sia piemontese o della California non si potrebbe dire ma in fondo poco importa, è luxury italian party, dai.
Mentre cerchiamo di ambientarci ordinando al bar qualcosa, il proiettore spara scollature e culi in bella mostra, di sfilata, di serate e festini, che sicuramente fa molto italiano, soprattutto all'estero recentemente, dopo che un dittatore straniero può venire più volte nel Bel paese e ordinare altezze e forme per 500 ragazze-oggetto e l'amico e compagno d'affari, nonché primo ministro nel tempo libero, si occupa di bunga bunga a iniezioni di viagra.

D'improvviso il dj al microfono grida esaltato "Benvenuti italiani, benvenuta Italia" e c'è chi urla, chi gli fa l'ok, chi si sente riconosciuto e con la pelle d'oca e la vodka in mano risponde al richiamo della tribù riunita. Cose che ti possono capitare a Bruxelles, mica altrove. La musica passa dagli anni 80 a Ramazzotti (versione disco, sottolineo con ancora qualche problema irreparabile al sistema uditivo), per poi cadere a Giggi D'Alessio e partire con una collezione di neomelodica napoletana (sì, lo giuro) tra cui un pezzo che poi mi è stato segnalato essere questo (brividi). Io rido isterico, oramai intrappolato e curioso dei mille risvolti della serata, a tratti anche divertenti per compagnia e stupidaggini varie, quando il dj propone addirittura l'inno di Mameli e vedo mani sul cuore, bocche aperte a squarciagola e gente impazzita per l'Italia. Ma siamo a Bruxelles e mi rendo conto che la maggior parte delle persone presenti son belghe ma di origini italiane, discendenti di quegli immigrati di 60 anni fa o recenti, non importa, basta quel 1% d'italiano nel sangue per sentirsi parte di quella cultura e associarsi a bandiera, colori, apparenze.

Io le riunioni della comunità italiana di immigrati di decenni passati me le immagino come sagre, con vino e soppressate, lasagne e musica popolare, magari con Raffaella Carrà che canta da una radio e rallegra la serata. Quella sagra moderna invece, di discendenti e nipoti, sembrava staccarsi per un attimo dalla realtà tanto che italiani di oggi non se ne sentivano identificati. Magari sarà che i nonni raccontavano di un'Italia lontana e bellissima, posto di spiagge e sole, facile miglioramento rispetto al Belgio nuvoloso e freddo, e forse esaltavano i mondiali del 82 o un paese congelato nell'immaginario dell'emigrante ma che nel frattempo cambiava, si evolveva. E io? Cosa racconterò ai miei nipoti, quando un giorno in qualche paese straniero (quale chissà) mi ritroverò a rispondere a domande sull'Italia? Parlerò dei mondiali del 2006, di Valentino Rossi, la Ferrari ed Umberto Eco o del berlusconismo, dei tronisti, della generazione dei reality dove conta di più avere una quarta di seno che sapere se la Montalcini sia ancora viva oppure no? Probabilmente vincerò solo riuscendo a trasmettere la non appartenenza a nessuna nazione e la consapevolezza di vivere in un mondo di tutti e per tutti. Ma quanto belgi si sentivano quei belgi di origini italiane? E quanto italiani? Forse sarà come quelle coppie separate, dove anche dopo anni ognuno di loro è ancora innamorato dell'immagine dell'altro, della persona con cui si stava insieme che nel frattempo è cambiata, non è più la stessa e tornare insieme poi si rivela spesso un fallimento, proprio perché si scopre di star cercando qualcuno che non esiste più, se non nella propria mente, ma come in una maledizione riesce poi difficile innamorarsi di qualcun altro, invece reale, perché il cuore batte ancora lì; forse sarà proprio così per quegli italo-belgi che ballavano e gridavano Italia, innamorati di una patria raccontata dai padri, dai nonni, di un paese oramai diverso, e al contempo incapaci di amare il paese di nascita, quel Belgio misto di immigranti e leggende.

Andiamo via soffocati dal fumo e stanchi del ballo e della serata, mentre troppi (vista l'ora) punti interrogativi rimbalzavano irrequieti tra le pareti celebrali. E non me ne vorranno quei belgi di origini italiane, ma Ramazzotti, D'Alessio e Rosario Miraggio tutti insieme è stato davvero un trama (senza contare i tanti personaggi dall'aspetto camorristico che ho visto entrare in quella sorta di privé al piano di sopra). Ho visto e ascoltato tanti mostri, ma poi la chiave di lettura me l'ha fornita distrattamente un amico: in fondo, è il fine settimana di Halloween, non a caso.

Simplicemente il posto il più vip di Bruxelles. No, grazie. Foto scattata qui.

Sopravvivenza nel 2010

Ieri in coda all'aeroporto di Ciampino per tornare qui a Bruxelles, dopo un'ora e mezza di nulla Ryanair non fa sapere nulla (appunto) e la gente inizia un po' a sbuffare, chi ad imprecare dei minori chi a sfogare il nervosismo accumulato sull'amico o sul partner di turno. Una signora abbastanza avanti con l'età mi confessa "No, basta non ce la faccio più, io devo fumare, se sapevo di questa fila... mi sarei fermata a fumarmi un'ultima sigaretta all'ingresso, tra poco vado in crisi d'astinenza!", un ragazzo a fianco a noi replica "e io? In questo aeroporto non c'è nessuna rete wireless, non controllo la posta da tre ore, non ha senso". Io sgrano un po' gli occhi ma congedo il tutto in una smorfia poco espressiva, io che avevo proprio bisogno di una bottiglietta d'acqua, con la gola secca e la cola interminabile, ma non l'ho detto, troppo naturale la mia necessità a confronto, mi avrebbe imbarazzato. Eh, l'evoluzione. Certo che nel 2010 - ho pensato tra me e me - si è fatta davvero difficile la sopravvivenza.

L'uomo che sposta le montagne, inizia dai sassolini

«Perché diavolo stai scrivendo un libro sull'Italia?»
«Bè, perché no? Non pensi che il tuo sia un Paese interessante?»
« In realtà, no. L'Italia non interessa a nessuno. E, comunque, non c'è speranza. I politici sono tutti corrotti. Non c'è niente da fare. A nessuno importa. Sa com'è, siamo un Paese di individualisti, non siamo capaci di fare squadra. La nostra industria è stata annientata dalla Cina e dall'India. Le nostre università sono inutili. Il nostro sistema giudiziario è malato. Stiamo diventando vecchi e nessuno fa più figli. Lascerei perdere, se fossi in te. Tieni, beviti un'altra grappa.»
«Ma state per celebrare il centocinquantesimo anniversario della vostra Unità. Che cosa penserebbero Cavour, Mazzini e Garibaldi se ti sentissero parlare così? Non sei orgoglioso di essere italiano?»
«Sì, sì, ma anche se siamo un Paese da centocinquant'anni non siamo mai stati una nazione. L'unica cosa che ci unisce è il calcio, e a volte neanche quello. Comunque, come ti dicevo, non c'è niente che si possa fare, e nessuno che voglia provarci.»

No, non è la solita critica qualunquista o altra fontana spontanea di lamenti, ma soltanto l'inizio di un libro, che potete continuare a leggere qui (almeno per quanto riguarda il primo capitolo), di uno scrittore e giornalista inglese (nonché ex direttore dell'Economist), Bill Emmot, che scarta la facile quanto banale suddivisione geografica del paese in Nord e Sud e descrive cosa sia la Mala Italia e la Buona Italia, da chi si ne frega e continua nei propri interessi personali a chi lotta e crede nel senso civico e nella giustizia, dal cancro alla speranza.
Certo, proprio oggi che si ricorda che la corruzione nel Bel paese è peggiorata in modo quasi irreversibile, che quel cancro continua ad espandere radici ed infermi, di quella speranza ce ne sarebbe davvero bisogno e magari anche una mano, per spostare più sassolini, perché quella montagna almeno per ora sembra davvero inamovibile.

La scomparsa degli immigrati (a Bruxelles)

Venerdì c'è il freddo di questo autunno gelido a risvegliare le smorfie mattutine ed i pensieri impertinenti della giornata da affrontare, quando ad un tratto una macchina che sembra della polizia passa a rilento con luci azzurre e megafono straziante: "Oggi è il giorno, basta con gli immigrati, tutti gli immigrati scompariranno, nell'aria è stata rilasciata la nuova sostanza liberatoria". E passa veloce un altro di quegli aerei dalle scie intrecciate che quotidiani sorvolano Bruxelles, ricamando panorami di pennellate innaturali. Ma tu non ascolti bene, tra il rumore dell'autobus che passa veloce ed i meccanismi celebrali ancora insonnoliti, mentre un signore commenta proprio lì vicino: "Senza immigrati? E che sarà mai, cosa mai potrà cambiare?!". Basta con gli immigrati. Chissà cosa vorrà dire - pensi - Magari l'ennesima trovata di qualche estremista paranoico.

Poi d'un tratto, mentre ti avvii verso la metro, incroci un tipo dall'aspetto magrebino che sputa a terra come d'abitudine e poi improvvisamente, Pluff! Scompare, in una nube di fumo grigiastro, uno stridulo di porta arrugginita e niente, al suo posto gli ultimi vapori di quella nebbia misteriosa. Pluff. E niente più. Ma non ci credi, forse ancora in sogno, magari ancora con la testa in qualche percorso onirico e irreale, continui la tua marcia verso la metro obbligatoria. Ti avvii a passi veloci, quando una macchina di quelle con lo stereo altissimo di qualche marocchino irrispettoso passa veloce rasente il marciapiedi, quando il tipo al volante di colpo pluff! E la macchina si schianta dopo la curva, vuota. La gente accorre ma tu non hai tempo per capire e continui un po' turbato. Ma proprio nei pressi della fermata Schuman, lì ai piedi del bruttissimo palazzone della Commissione Europea, ecco che ancora gli impiegati portoghesi, bulgari e tedeschi, pieni di scartoffie e incravattati nel respiro, di colpo pluff! e pluff! e Pluff! vedi nuvolette in giro e poi solo aria, come uno strano fenomeno meteorologico, un comparire di fumo e uno scomparire di persone. Non capisco - pensi - che succede questa mattina? Ti avvi alla metro ma la metro è lì ferma, perché anche il pilota tunisino, Pluff!, scomparso, ed i tizi dietro lo sportello dei biglietti, quelli algerini, Pluff!, Pluff! Allora torni indietro, cerchi un taxi ma Pluff!, Pluff!, Pluff! Quanti taxi parcheggiati e vuoti! Altri in giro ma già pieni e troppo lunga la fila per il prossimo. Allora prendi la bici, di quelle cittadine, e ti avvi nella corsa verso l'ufficio, perché l'orologio già inizia a stressare di ritardo.
Arrivi sudato, un po' straniato per quella nebbia innaturale e un po' distratto dalla fretta del lavoro, ma proprio in ufficio ecco che il manager francese, Pluff! Non c'è più, ed il collega cinese, Pluff! Scompare proprio davanti a te. Apri la porta e vedi le signore della pulizia, quelle dai lineamenti sudamericani, Pluff!, Pluff!, Pluff!, e al pavimento solo stracci ed il carrello delle scope. Ma che succede? Allora è vero? Niente più immigrati di colpo qui a Bruxelles?

Torni al piano terra, prendi la bici, corri verso casa, ma la casa è del proprietario irlandese ed ecco che Pluff! Tutto l'edificio scompare, proprio mentre il signore polacco era arrivato per riparare la caldaia, ma poi anche lui, pluff! Allora corri al mercato, quello della piazzola che ogni venerdì popola di sorrisi ed allegria, ed ecco il signor Tony, al furgone italiano, dove compri sempre la ricotta, ecco che Pluff! E niente più, e i signori dalle lingue arabe dove compri chili di frutta d'ogni tipo ecco che Pluff! Pluff! e pluff! E la signora Pouy, quella dove ogni tanto ti fermi per una cena tailandese, ecco che pluff! Anche lei, all'improvviso, senza preavviso. Ti volti sconvolto, col viso impallidito, ma poi ti rallegri, perché ecco che all'angolo arriva come luce la tua ragazza in cerca di aiuto, ma poi ci pensi, no! Lei è spagnola, inizi a gridare, ma ecco che pluff! Cazzo, ma che succede? Adesso dov'è? E fermi tutti! Ma allora... un momento, ma anche io sono immigrato, un italiano qui a Bruxelles, ma allora che significa? Pluff!

Cartello affisso durante la notte bianca di qualche settimana fa qui a Bruxelles,
recita "Cosa sarebbe il mondo senza la presenza degli altri?". Foto scattata qui.

Quel giorno che le nazioni scomparvero

Fu un giorno di quelli nuvolosi, con il sole timido ma presente, che a sprazzi trovava spazio tra i cumuli d'ovatta illuminando tetti e strade - disse il saggio, con la sua tipica voce rauca - e fu un giorno importante: le nazioni scomparvero. Così, da quel giorno scomparve l'Italia, il Canada ed il Ghana, ma non sulla cartina geografica, non di terra e popoli, ma scomparvero quei confini amministrativi, quelle linee disegnate da guerre e sangue, da padroni e commercio, le linee dei cartografi, spesso non di monti e fiumi ma dritte, spezzate, irregolari, senza senso; e scomparvero le dogane, barriere, confini, divieti. E scomparvero anche il Laos e la Danimarca e il Messico. Fu un giorno strano, perché di colpo un parigino poteva vantarsi del Colosseo e un australiano vergognarsi delle guerre civili in Congo, un argentino si sentiva fratello di un cinese e un finlandese aveva voglia di proteggere l'arte ed i musei di Baghdad. Tu pensa, di colpo, scomparve anche il concetto di emigrante, né emigranti né immigranti, tutti uguali, cittadini del mondo che finalmente trovava il suo equilibrio naturale. Non si poteva più parlare di brain drain, di fuga dei cervelli, non c'era nessuna fuga, c'era solo uno spostarsi da un posto ad un altro. E scomparvero anche la Grecia, la Bolivia e l'India. Nessuna patria, nessun patriottismo, solo l'amore per questo mondo e la coscienza di volerlo migliorare. Anche i fascisti scomparvero, non c'era nessuno sciovinismo da esaltare, nessuna razza da odiare o perseguire, nessun nemico. E tutti i debiti dell'Africa, tutto il neocolonialismo moderno scomparve, non c'era più bisogno di riparare immense somme di denaro mai esistito, di violenze e manovre secolari. Tu pensa, un mondo senza quell'idea di nazione, di appartenenza a un pezzo così piccolo di mondo quando il mondo è tutto lì, per tutti e di tutti. Non scomparve la diversità dei popoli, le culture, le lingue e le religioni, ma soltanto la voglia di difendere questo luogo e non quello, di amare questo panorama di una spiaggia portoghese e non quello di montagne tibetane, la credenza che esistano soltanto le mura di casa, della propria città e del proprio alfabeto, ignorando tanto altro, tuo, mio, nostro. Tu pensa, quel giorno finalmente capimmo tutto, capimmo tutti quanto insulse e insensate erano quelle propagande d'odio e superbia, capimmo che non c'era migliore se altrove esisteva ancora chi non poteva sopperire alle necessità basilari, capimmo quanto tempo avevamo sprecato fino ad allora e quanto c'era da migliorare, scoprire, condividere ed amare.


I ragazzi ascoltarono tutto silenziosi e affascinati, qualcuno con la bocca aperta in attesa della fine, altri con gli occhi chiusi ad immaginare. Poi uno di loro interruppe per una domanda importantissima.
lo sciocco: E i mondiali di calcio?

L'Italia, ora

Negli ultimi 5 minuti sono nati 7 nuovi bambini in Italia, 8 persone sono morte, 5 sono i nuovi immigrati, mentre il debito pubblico è cresciuto di 441.647 euro con altri 97.348 euro spesi in interessi su quel debito, intanto che 680.284 euro sono stati spesi in giochi e lotterie e a tavola si son consumati altri 21.821 Kg di pasta, con la faccia più bella per 29.176 euro spesi in chirurgia estetica assistendo a 3 nuovi matrimoni e 2 divorzi. Tutto in cinque minuti. E non è una critica né finzione, è soltanto l'Italia, ora.

The map of Europe

Al Parlamento Europeo ho trovato questa mappa d'Europa, piena di stereotipi
è vero, ma anche carina e significativa: se ci son così tante cose diverse da
sottolineare, vuol dire che c'è ricchezza, di cultura, di storia, sociale.
Foto scattata qui.

Consigli per i tranelli dell'emigrante

L'instancabile ed ammirevole Aldo ha pubblicato un guest post di una psicologa italiana a Barcellona che riassume praticamente in poche righe tutto (o quasi tutto) quello che vi può capitare a livello emotivo emigrando all'estero. I lamenti, le crisi, le incertezze, la rabbia e l'aggressività verso la cultura ospitante, i sensi di isolamento sociale, fino addirittura a risentimenti fisici come nausea o emicranie, insomma trovate tutto il mix emozionale in un elenco sintetico ma completo con una lista di consigli per reagire ed apprezzare al meglio il presente che si sta vivendo. Consiglio la lettura a chiunque sia in procinto di iniziare un'avventura all'estero, a chi l'abbia iniziata da poco ma anche a chi è già altrove da un po' ma ancora cade, inevitabilmente, in quei tranelli dell'emigrante (e anche io mi son ritrovato in più di un punto), perché nessuno è perfetto né si parte con il libretto delle istruzioni, ma l'importante è acquisire la coscienza delle cose e reagire. Buona lettura ;)

Un italiano messo a nudo

Qualche settimana fa al corso serale di francese la prof ha chiesto ad ogni studente di preparare una presentazione di 10 minuti per parlare di qualcosa di tipico del proprio paese. Qualcosa di tipico. Nel descriverlo, la prof si riferisce a qualcosa di turistico, qualcosa che si esporta, di conosciuto, qualcosa che appartiene al proprio paese. La prima presentazione è stata della ragazza della Repubblica Dominicana: una presentazione di spiagge naturali, palme e paesaggi paradisiaci, campi da golf immensi e tante altre info che alla fine veniva davvero voglia di partire il prossimo fine settimana e tuffarsi in quelle acqua chiare e trasparenti (e tu, appena arrivato a casa la sera, hai anche controllato i voli, dopato da quella presentazione ben riuscita). Poi tocca a te. Qualcosa di tipico dell'Italia. Ma a te non piace parlare di pizza, di pasta e mandolino o di mete turistiche sicuramente da apprezzare o di tante altre cose magari già conosciute o forse ignote, degne di nota, ma non c'è voglia di pubblicizzare il meglio, quasi fosse l'ennesima propaganda del paese del sole o del governo di chi ha addirittura salvato il mondo dalla crisi. E allora si parla della mafia. Qualcosa di tipico.

Quando raggiungi la lavagna, vuota in attesa di scarabocchi, un po' come la testa per un attimo vuota in attesa di un sospiro, la classe ti guarda impaziente, piena in attesa di notizie. E allora inizi, si parla della mafia, qualcosa di tipico in Italia, con espressione seria, partendo dall'Unità d'Italia, dai proprietari terrieri e l'approccio ancora feudale, passando per il fascismo e lo sbarco americano in Sicilia, per poi andare al dopoguerra brevemente, elencare i tipi di organizzazioni mafiose del Sud d'Italia e cercare di spiegare cosa sia un modo mafioso di pensare, di agire, di essere. E allora eccoli, gli scarabocchi alla lavagna, una mappa della penisola, la faccia di Marlon Brando e poi qualche freccia, tante parole e le facce di chi magari si perde tra il tuo francese imperfetto ed il tempo a disposizione, mentre qualcuno fissa l'orologio perché ha l'autobus che parte e altri che invece sono un fiume di domande, insaziabili. E tu sei lì, a cercare di rispondere, in quell'argomento troppo complesso (che incosciente) da poter essere affrontato in 10 minuti, che poi però diventano 30 perché le domande non si fermano e si passa a Mangano, a Dell'Utri, agli eroi moderni, perché il discorso continua e i ragazzi si appassionano. La ragazza albanese vuole sapere di più sulla Sacra Corona Unita, il ragazzo libico vuole conoscere le opinioni sulle amicizie con Gheddafi e la ragazza americana non si accontenta delle risposte su Berlusconi, i ragazzi tedeschi vogliono più dettagli sulla Ndrangheta. E tu parli, parli, purtroppo senza contraddittorio, dimenticando regole di grammatica e accenti e dittonghi, mentre la prof annota, qualche volta ti corregge, continuandoti a guardare con due occhi grandi e comprensivi, gli occhi di chi ascolta problemi mentre magari si aspettava sorrisi.

Ed eccolo là, un italiano messo a nudo. Senza la barba di Galileo o lo stile del Rinascimento, senza la coppa del mondo alla mano o il sorriso di Valentino Rossi, senza pizza e senza gelati, senza l'oscar di Benigni o la scollatura di Sofia Loren, senza spiagge e senza sole, via tutto quello di tipico che potrebbe far pensare ad alcuni di venire dal paese più bello del mondo o ad altri di vantarsi, esserne fieri, gonfiarsi il petto e cadere in facili sciovinismi e stereotipi centenari, gli stessi che probabilmente i ragazzi della classe si aspettavano di vedere, ascoltare, ammirare. E invece no. Adesso sanno qualcosa di più sull'Italia, qualcosa che non è il solito film di sparatorie e popcorn, un'Italia che non è solo turismo e foto, che non ha soltanto piazze luminose e piatti invitanti, ma anche conflitti d'interessi, mancanze di pluralità d'informazione, tasso di corruzione altissimo e quella mafia, tipica, di organizzazione e abitudini.
Poi vai via, tu che non volevi affatto sputtanare il tuo paese, ma soltanto mostrare qualcosa di tipico, vai via con quel senso di nudità imprevisto, un nodo alla gola, una tristezza profonda, quasi a non credere a tutte quelle verità raccontate, tutte d'un colpo, tutte insieme, forse troppe; e vai via con la consapevole amarezza che era davvero qualcosa di tipico.

Pasta for breakfast

Pasta a colazione. Forse per gli stranieri sarà anche normale pensarlo, visto che
ci vedono come i famosi pasta-eaters, ma io non ero mai arrivato a questo punto,
se non per la mezza maratona di Bruxelles di oggi: b-e-l-l-i-s-s-i-m-a, la maratona, non
la pasta :)

P.s. Per la cronaca, mezza maratona (21km) terminata in 3 ore, perché purtroppo a 4km (dopo 1:50) dalla fine la rotula della mia ragazza ha detto ciao e allora siam arrivati al traguardo camminando per poi andare in infermeria, ma è stata davvero una gran bella esperienza. Grazie Bruxelles.

Directly from the WWII

Avete mai visto quei film di guerra con le recinzioni ad X coperte di filo spinato?
Ecco, a Bruxelles ne trovate in giro spesso alla metro Schuman quando i grandi capi
si riuniscono per scattarsi qualche foto o in qualsiasi parte della città dove avvenga
qualcosa di davvero importante. E invece di utilizzare qualche barriera più moderna,
si usano ancora i reperti della seconda guerra mondiale, che se uno passa e cade a
piedi o in bici, si porta sulla pelle un gran bel souvenir.
Foto scattata qui.

E io che volevo soltanto un caffè

Perché la centrifuga mattutina della metro affollata e delle corse meccaniche verso scale mobili spesso immobili ogni tanto non basta a svegliare la mente da quel sonno macigno che pesa sulle sopracciglia e rallenta le sinapsi mattutine, né quell'odore di waffles seppur forte e invitante nei corridoi della metro di Bruxelles riesce a scuotere i sensi e l'attenzione, magari drogarti più del profumo fortissimo all'aroma insetticida della nonnina a pochi centimetri che nel vagone senza spazio schiacciava la chioma crespa sul tuo naso oramai assuefatto. E allora capita di pensare a quel bisogno innaturale e fuori abitudine, fermarsi al primo bar nella piazzola di Gare du Midi e chiedere un caffè.

l'antropologo: Buongiorno signore.
io: Buongiorno, un caffè per cortesia.
l'antropologo: Va bene.
io: Ah, scusi, un espresso, un espresso.
l'antropologo: Ah, italiano?
io: Ehm.. si'... Perché? (L'accento italiano - penso - non lo camufferò mai parlando francese).
l'antropologo: Eh, allora l'espresso non le piacerà, per gli italiani l'espresso non è mai come in Italia. E scoppia in una risata, come se quella fosse stata una battuta.
io: Ah... eh... lo so... è così... ma va bene lo stesso per me...
l'antropologo: Ma è normale sa? Di che parte d'Italia, signore?
io: Come? Del sud.
l'antropologo: Ah, allora... se provate una pizza, qui a Bruxelles, sarà lo stesso, non le piacerà!
io: Eheh... sì è vero, ma è normale credo, non si può avere tutto, è così per tutti, credo.
l'antropologo: Sì, però per esempio, voi italiani, vi lamentate anche per il tempo, che non è mai come in Italia!
io: Ah, beh... è vero, lo so, ha ragione, è una questione d'abitudine credo, ci vuole tempo...
l'antropologo: Può essere, comunque ci sono anche altre cose per cui non vi lamentate qui.
io: Come? Per esempio?
l'antropologo: Le donne, signore, - e me lo sussurra con una mano a nascondere le labbra - le donne!
io: Eheh... non si sa mai, non lo so... magari è vero, dipende... e... magari anche il lavoro.
l'antropologo: Ah, ma certo! Il lavoro, anche il lavoro! Non ci possiamo lamentare del lavoro, certo... - Poi si accorge che non sono l'unico cliente - Scusatemi un attimo.

E finalmente si allontana per servire un altro signore e tutte quelle chiacchiere in fondo mi avevano già svegliato, abbastanza da non aver più bisogno di quel caffè che sorseggio comunque tra la fretta dell'ufficio e la calma del non scottarsi lingua, palato, respiro con quell'espresso vagamente simulato. Quando lo vedo avvicinarsi nuovamente, già preparo il denaro per pagare e scappare, non prima però dell'ultima domanda:

l'antropologo: Allora, com'era il caffè?

E magari me lo avrà domandato in cerca di conferme delle sue teorie o soltanto per una cordiale prassi lavorativa, e io in uno slancio di sincerità avrei voluto rispondergli che l'espresso era davvero una chiavica, che ero venuto due secondi per una dose di caffeina e non per sorbirmi considerazioni di un barista brussellesi sulle lamentele della comunità italiana (che magari avrei ascoltato con molto più interesse in un altro momento) e che se avesse speso meno tempo a parlare magari sarebbe uscito meglio, l'espresso, ma avrei anche voluto dirgli che poi alla fine le sue parole mi avevano svegliato più della caffeina, che mi stava simpatico, e che alla fine andava bene così e tutti questi vorrei si son poi tradotti in un semplice:

io: Non male, ma possiamo migliorare.
l'antropologo: Lo sapevo, lo sapevo, signore.
io: Come?
l'antropologo: Che non le era piaciuto! Che non è come quello in Italia! - E si allontana verso un altro cliente, mentre con una mano mi saluta - Buona giornata!
io: Buona giornata!

Waiting for adoption

Un esercito di bambini con il pisellino in mano vi aspetta in ogni negozio di
souvenir del centro di Bruxelles, come resistergli?
Foto scattata qui.

Can't rain forever

E piove, piove, a Bruxelles piove e piove, in settimana e quel sabato che tanto
aspetti per goderti il tempo libero, ma non importa, niente depressione, perché
poi sai già che smetterà, che non può piovere per sempre e soprattutto: quando
smette e arriva il sole, non ci son scuse per restare a casa.
Foto scatta qui.

L'invasione dei sorrisi e il disincanto

E mentre ieri tornavo da un pranzo fuori programma in zona Schuman, solo, nella metro, per tornare a Gare du Midi, ad uno degli stop intermedi dagli sportelli del vagone d'improvviso entra repentina una valanga di ragazzini, urlando come pazzi in ogni direzione, correndo a prendere un posto, scavalcando le gambe di chi sedeva nelle file interne, senza chiedere permesso, senza dire nulla, con gli occhi puntati soltanto al posto vuoto da occupare e magari la manina tesa indietro verso l'amico di turno; ed ecco che tutt'intorno l'umore cambia in una manciata di secondi e chi era pensieroso, magari immerso nei dubbi della giornata o nelle preoccupazioni di scadenze imminenti, chi muoveva il capo al ritmo di musiche ripetitive o chi si mirava nel riflesso del finestrino opaco cercandosi nello sguardo un po' stanco un po' eremita, ecco che si arrendeva al frastuono dell'invasione di quelle voci, mentre due maestre tentavano balbettando qualcosa di orchestrare la marea fanciullesca; ed ecco che nell'arrendersi si dipingeva un sorriso luminoso e contagioso sul volto di tutti gli spettatori, come se d'improvviso, da quegli sportelloni del vagone, fosse entrata aria nuova e fresca, fosse arrivato di colpo un benessere colorito e condivisibile. I ragazzini non lo sapevano e nemmeno si curavano del cambiamento d'umore generale, nei loro gesti, le loro voci, quelle cose che nell'innocenza di qualcosa spontanea e naturale fa sorridere di piacere e trasmette come una serenità palpabile. E quella scena, quel cambiamento da paralisi facciali a sorrisi, da pensieri e apatia a smorfie e sguardi felicemente confusi da schiamazzi e scherzetti, è sembrato quasi un incanto, una magia inattesa per la sua rapidità ed effetto, lì, in un vagone qualsiasi della metro di Bruxelles.

Poi alla fermata successiva ecco il disincanto. Dagli sportelli entra un uomo, sporco di povertà e timori, con in braccio un bambino, senza sorriso né canzone. E non appena l'uomo inizia a chiedere spiccioli tra la gente, con la sua elemosina ripetitiva e rassegnata, ecco che tutta quella fantasia, tutto quel benessere e quei sorrisi, quelle occhiate e quei giochi di smorfie, scompare repentina per far spazio ad un gelido disincanto, ai rifiuti, ai no, alle facce voltate e gli sguardi bassi, come se tutta quella fantasia, quell'euforia palesemente sprigionata di colpo scomparisse per quel bimbo meno fortunato, come se quell'uomo e quella nuova scena fossero qualcosa di scomodo e inopportuno, nelle contrazioni dei muscoli facciali e nelle reazioni di chi prima sembrava s'illuminasse e illuminasse nella forza di un sorriso.

La valanga di ragazzini intanto non si accorge dei cambiamenti, così immersa nel far rumore, giocare, stupirsi per qualche scritta sulle pareti della metro o perdersi in un bu che faccia eco nel sogno del compagno. Beati loro, che non sanno di falsità magari involontarie e disincanti quotidiani, che non hanno ancora tanti troppi filtri attorno agli occhi e ignari continuano nel loro mondo semplificato.