Le tre peggiori invenzioni del futuro

Ce lo avevano venduto come l'ennesimo passo dell'evoluzione umana, l'ultima importante trasformazione per differenziarci dal resto degli animali, noi razza superiore, noi dominatori incontrastati. E tutti ne andarono subito matti, era l'apoteosi della nanotecnologia, c'erano questi cosi, nano lavoratori, che lavorano nei nostri intestini, che trasformavano i nostri escrementi in piccole capsule, compresse e plastificate. E via, bastava prenderle e gettarle, inodori e colorate come fiori. Nel bagno del futuro non c'era più né carta igienica né tazza di ceramica, semplicemente perché non ce n'era più bisogno. La nanotecnologia lavorava per noi, dicevano, dimenticando l'umiliazione quotidiana di riscoprirci animali quando il bisogno chiamava. E non si faceva più la cacca, nel futuro. Gli ambientalisti gioivano. Le fabbriche d'imodium fallirono. Però, però quante idee non nascevano così, senza quei 10 minuti d'intimo riposo, senza quei momenti di sforzo solitario. Tutte le grandi invenzioni nate in secoli di rilassamenti posteriori, non potevano più nascere, nel futuro.

La pubblicità di cui erano disseminati tutti gli ologrammi pedonali lanciava l'invenzione come la rivoluzione tanto attesa, ma in realtà nessuno ne sentiva il bisogno, se non per raggiungere l'apice dell'evoluzione tesa all'estetica. Quella speciale crema che bisognava mettere sui capelli e che ne bloccava la crescita e la pettinatura per mesi non rispecchiava altro che il bisogno di conoscere la propria immagine, la tendenza ad una pigrizia paranoica. Andare dal barbiera una volta l'anno ed avere giorno e notte, ufficio o piscina, sempre esattamente la stessa pettinatura, era per molti la soluzione alla pioggia, al vento, agli imprevisti e alle uscite repentine: in ordine, il capello sempre in ordine, sempre pronto ad una foto, perfetto, immobile, quasi fosse quello di un manichino, era diventato l'ultima moda di quel futuro spesso irriconoscibile se confrontato ai sogni dei nonni e le favole di romanzieri dalla fantasia romantica. I produttori di gel fallirono. Gli uomini d'affare gioivano. Però, però quante idee non nascevano così, senza quei ricci rimescolati tra le mani, senza quei capelli da poter navigare e stressare, producendo sebo ma anche pensieri. Tutte le grandi innovazioni nate in secoli di spettinamenti distratti, non potevano più nascere, nel futuro.

Nonostante ci fossero priorità palesemente maggiori, come il fallimento delle spedizioni spaziali e le percentuali di fertilità in continua discesa, si continuava a cambiare in dettagli di dubbia importanza, a migliorare, dicevano loro, per completare l'evoluzione della razza che sì aveva dimostrato d'aver i neuroni per governare un pianeta, ma anche per distruggerlo. Quando si decise che nessuno più doveva mettersi le dita nel naso, che il naso addirittura non avrebbe più creato mucose solidificate, tutto grazie a quelle polveri diffuse nell'aria, fu il culmine dell'inutilità estetica e dell'omologazione comportamentale. I medici si opposero invano. Molti gioirono, per l'ennesimo passo evolutivo. Però, però quante idee non nascevano così, senza quei giri di mignolo in cerca d'oro, senza quel giocare con palline di caccole tra le dita, mantenendosi sì educati anche in un'intimità dove spesso era dolce essere disgustosi, ma perdendo momenti di intensa riflessione. Tutte le grandi scoperte nate in secoli di scaccolamento intensivo, non potevano più nascere, nel futuro.

Nel 2123 solo i calvi educati e stitici continuarono a conservare la stessa costanza di pensieri. Poca roba, però.

Lavorare come informatici a Bruxelles

Essere informatici oggi significa avere sicuramente molta più flessibilità ed opportunità rispetto ad altre figure professionali in termini di spostamenti in paesi stranieri e sono tanti quelli che in un modo o in un altro finiscono a Bruxelles. Bruxelles spesso non è la meta iniziale o almeno non prima di altre città con fama migliore (come Londra, Amsterdam, Dublino), ma tramite un cv pubblicato online arriva magari una chiamata ed ecco che si atterra da questi parti. Avevo già fornito alcune informazioni pratiche sul mondo del lavoro a Bruxelles, ma essendo informatico ed essendo fresco di nuovi colloqui e selezioni, preferisco trattare l'argomento in particolare.
Il mercato informatico a Bruxelles funziona in prevalenza tramite consulenza e non mancano i casi di outsourcing e body shopping, anche qui, ci sono aziende che fanno consulenze di secondo e terzo livello per ritrovarvi poi a riempire tre timesheet a fine mese o altre che vi potrebbero spostare da un progetto ad un altro ogni 3 mesi. Per fortuna, non sono la maggioranza, ma ci sono ed è meglio esserne al corrente. Moltissimi sono anche i freelancer ma non mancano posizioni interne in aziende di media e piccola taglia. In generale, se vi contatteranno dall'estero, vi sarà richiesta soltanto una conoscenza dell'inglese che, ovviamente, non dovrebbe fermarsi soltanto ai dettagli tecnici ed al dizionario classico degli informatici (ma nella maggior parte dei casi non si aspettano neanche la dominanza della lingua, tranquilli). Ovviamente in base alle responsabilità richieste ed alle posizioni, potrebbe essere necessario conoscere anche il francese e l'olandese. Da non sottovalutare, una volta trasferiti a Bruxelles, la necessità di studiare la prima e con il tempo, in base ad ambizioni e profili (personali e/o aziendali), l'eventualità di iniziare anche con la seconda. La vostra evoluzione professionale potrebbe dipendere anche (e giustamente) da fattori linguistici.

Anche qui, come altrove, i recruiter sono spesso sciacalli in cerca di cv da piazzare: alcune posizioni ed offerte di lavoro sono fittizie, servono soltanto a raccogliere cv (ve ne potreste accorgere se la descrizione è abbastanza generica, per esempio), spesso il recruiter che vi contatterà avrà letto velocemente il vostro cv in cerca di key word e niente più, quasi sempre vi riempiono la testa di parole (fanno il proprio mestiere, insomma) e cercano di mandarvi dove vogliono loro non dove sia meglio per voi. Ricordate quindi di mettere subito le cose in chiaro e filtrare le telefonate di recruiters in base alle offerte reali e a cosa realmente state cercando, in fondo saranno le aziende a pagarli, non voi, e siete voi che dovreste usarli da tramite, non il contrario (come spesso accade).
Il mercato informatico punta molto su tecnologie Java anche se il mondo .NET ha la sua buona fetta da difendere. Per quanto riguarda Java, come al solito per sviluppo web e back-end sono richieste conoscenze su GWT, WS (JAX-WS, JAX-RS), Spring (Core, MVC, Batch, Sec), ORM (JPA e/o Hibernate), application servers (JBoss, Weblogic e, anche se propriamente non lo è, Tomcat) e unit testing (JUnit ma anche Mockito, PowerMock). Queste almeno le tecnologie che tirano di più, ma il mercato è così vario da non poter elencarle tutte. Le metodologie di gestione più utilizzate sono quelle Agile (in Francia e Belgio ultimamente tira molto SCRUM), con la classica accoppiata di continuous integration Hudson+Sonar(+Cobertura). Progetti SOA ce ne sono a migliaia, mentre sono ancora rare le richieste per Cloud Computing (con skills magari richiesti su frameworks come Force.com). Se finora non ho nominato nessuna tecnologia conosciuta e cercavate sul mercato Java, beh allora c'è un problema.
Le certificazioni non sono quasi mai richieste o richieste in alcuni casi come un plus, ma raramente sono un requisito imprescindibile (e ne potremmo parlare molto, sul valore delle certificazioni, io ne ho 4, per esempio, ma servono più a vendere la propria voglia di imparare e l'impegno che eventuali skill tecnici, per quelli poi parla l'esperienza il più delle volte).

I colloqui ovviamente cambiano in base alla posizione richiesta e le aziende, in generale però: aspettatevi domande tecniche (design patterns, concorrenza, GC, transazioni), magari anche test tecnici (questionari, prove sul posto, pezzi di codice da capire e valutare), quasi mai domande Monte Fuji (domande tipo quanti barbieri ci sono a Bruxelles? Poste al solo scopo di testare la vostra abilità nel ragionamento). Ovviamente senza tralasciare i classici approcci: saper descrivere il proprio cv, la propria esperienza, mostrarsi motivato, conoscere un minimo l'azienda e così via.
Di motori di ricerca e bacheche di offerte online ce ne sono moltissime, quelle che consiglio sono: Monster, Linkedin, TipTopJobs, Ictjob, Stepstone. Si consiglia però un approccio pro-attivo. Per esempio, Linkedin offre diverse possibilità: potreste cercare profili di recruiters per vedere se nei loro status abbiano offerte di lavoro (spesso ne hanno) e per capire quali aziende stiano cercando sul mercato (e poi andare sul sito della specifica azienda e spulciare le posizioni aperte), nel caso abbiate un colloquio fissato potreste cercare la persona che vi testerà e magari studiarvi il suo cv (se tecnico) e durante il colloquio nominare una o due di quelle tecnologie (l'ho fatto e ho vinto più di un sorriso). I pigri avranno sempre vita difficile, ci sono migliaia di modi diversi di utilizzare la rete a proprio vantaggio, bisogna soltanto cercarli, anche inventandoseli.

Una grossa fetta degli informatici in cerca di lavoro a Bruxelles finisce spesso in Commissione. La Commissione Europea ha una miriade di progetti informatici aperti dove si lavora prettamente tramite consulenza ma generalmente con missioni molto lunghe (negli anni). Vi hanno contattato dall'Italia per un posto di sviluppatore Java in Commissione, è l'occasione che aspettavate per andare all'estero, finalmente, siete contentissimi ed in più un’esperienza in Commissione sul vostro cv sarà sicuramente fantastica. Penserete. E io non sarei d’accordo, ma sono punti di vista. Personalmente ho già rifiutato diverse proposte in diversi progetti in Commissione (anche come Architect), ma ho sempre detto no per i seguenti motivi: i ritmi sono estremamente lenti, tonnellate di meeting inutili, evoluzione professionale quasi nulla, meritocrazia applicata discutibile (puramente in base agli anni di esperienza e non alle capacità pratiche), tecnologie spesso vecchie o restii al cambio (in tanti mi hanno confessato di aver avuto più competenze prima di esservi entrati che dopo qualche anno di lavoro). Ovviamente le cose cambiano da progetto e dipartimento (è facile generalizzare, c'è anche chi lavora duro su progetti interessanti, magari) e sono compromessi, potrebbe essere il lavoro perfetto per molti: ambiente di lavoro molto rilassato, uffici centrali e ben collegati, inglese lingua dominante (anzi, chiamiamolo per quello che è, globish), il prestigio.
Senza contare ovviamente il classico package (quindi non solo per la Commissione) per i consulenti informatici a Bruxelles assunti dall’estero con contratto a tempo indeterminato (CDI in Belgio): macchina aziendale, benzina pagata fino a 30.000km, RSI applicato al salario (speciale sistema di tassazione, si paga quasi metà delle tasse sotto alcune condizioni).

Difficile coprire tutte le possibili sfaccettature e riassumere un mercato così vario ed in continua evoluzione. Se avete quindi domande, dubbi, correzioni o consigli, non siate timidi e ne parliamo nei commenti. E, ovviamente, in bocca al lupo per tutto.

La colonna

Per arrivare la mattina in ufficio c'è un percorso obbligato di badge e sorrisi, all'ingresso, devi usare il badge altrimenti non si entra. Poi però per arrivare davvero in ufficio, devi usare di nuovo il badge, per entrare nella colonna. La colonna è come un teletrasporto spaziale, all'apparenza, o forse semplicemente un body scanner, dove si entra obbligatoriamente, poi si attende qualche secondo e poi magicamente la porta si apre e si può andare a lavorare. Sarà che l'ente è civile e militare, sarà che se un folle entrasse qui potrebbe far danni con conseguenze disastrose in mezza Europa, sarà che tutto sembra più serio quando si passa per la colonna. Li hai contati, i secondi che si trascorrono nella colonna, hai contato 1, 2, 3, 4, e poi il rumore soavemente metallico scorre la porta davanti a te e sei libero di nuovo. Per 4 secondi, allora, sei intrappolato nella colonna, sei isolato, sei solo, attraverso il vetro vedi gente che cammina coordinata, chi si avvia alla propria scrivania per completare il corpo del ventunesimo secolo nelle terminazioni nervose fatte di tasti e click, chi ha bisogno del caffè in cui diluire quantità di sonno irrisolto o dimenticare un sogno ancora incompreso, chi scompare risucchiato da un ascensore che non lo avvicinerà sicuramente al paradiso. Nella colonna sei solo coi tuoi pensieri, per 4 secondi, c'è qualcuno che aspetta lì fuori per entrarvi, c'è qualcuno avanti che n'è appena uscito. A volte c'è traffico, per entrare nella colonna, ma per fortuna ce ne sono 4, di colonne, 4 bocche in attesa di solitudine. L'altro giorno però, ne era appena uscita una signora distinta, dalla colonna, entri tu, nella colonna, e c'era un profumo leggero e piacevole, 1, 2, 3, 4 e sei uscito col sorriso, dalla colonna. Hai pensato, la colonna può anche essere 4 secondi di sollievo, a volte. Carina, la colonna. Poi però ieri, appena entrato nella colonna, dal vetro vedi il signore che ne era appena uscito, con passo disinvolto, e ti accorgi subito che i 4 secondi da contare sarebbero stati troppi, lunghissimi, forse fatali, perché questa volta non era profumo leggero e piacevole, non era per nulla un profumo artificiale, ma qualcosa di più naturale, d'irrespirabile, ma la porta di vetro era già chiusa alle tue spalle, 1, e la porta davanti non si era ancora aperta, 2, e tu eri bloccato dentro, 3, e non potevi praticamente far nulla, solo trattenere il respiro mantenendo però un'espressione consona all'ambiente circostante, trasformare l'incredulità in resistenza e la solitudine in bestemmie, 4. Finalmente, libero. Maledetta, la colonna.

Turista

Poi ti ritrovi ad appena qualche chilometro da casa, che non sono molti qualche chilometro, e nessuno ti capisce, non puoi comunicare, ti guardano con gli occhi straniti e ti continuano a rispondere nella loro lingua, a qualche chilometro da casa, anche se son quasi tre anni che vai a scuola serale di francese e lo parli anche discretamente, il francese, la prof ti fermerebbe ad ogni vocale pronunciata male, ma gli altri, in generale, ti capirebbero senza sforzi e qualcuno ti farebbe pure i complimenti, però a qualche chilometro da casa nessuno ti capisce, non puoi comunicare, ti fissano con gli occhi in disaccordo o ti ignorano come se le tue parole non avessero suono. Sei muto, a qualche chilometro da casa. Potresti usare la lingua del millennio scorso, l'inglese, perché quella del nuovo millennio, il mandarino, non la sai, ma potresti usare quella che vendevano una volta come lingua del futuro, ma niente, neanche quella funziona, a pochi chilometri da casa, e non sei in un vicolo dimenticato del borgo antico ma nella stazione centrale di Mechelen, a qualche chilometro da casa, e ti ritrovi a dover indicare con le dita, quello che vuoi, e mentre lo fai fissi il dito, la luna non c'è, fissi il dito e pensi che un turista, quello appena sbarcato questa mattina, con la mappa e la macchina fotografica, un turista farebbe la stessa cosa, usando il dito, ma tu, che in questo paese ci vivi da tre anni e che fai sforzi a volte anche notevoli per studiarlo e capirlo, tu in questo paese non sei un turista, ma sei straniero uguale, a qualche chilometro da casa, semplicemente perché anche il tuo vicino, quello belga, quello che non è turista, che non ha bisogno di mappa e invece delle foto ha i ricordi di una vita, ecco il vicino non è straniero, ti risponde sorridendo che lui, in quella stazione, a qualche chilometro da casa, avrebbe fatto lo stesso, usato il dito, come il turista, per ordinare il succo di frutta, quello ace e non quello alla mela, e ai soldi domandati in olandese dalla cassiera avrebbe risposto merci e bonne journée, in francese, così, con il sorriso finto. Esattamente quello che hai fatto tu. Ma, a questo punto, stai diventando belga anche se ti sentivi turista, a qualche chilometro da casa? Nee!, direbbe la cassiera, belga.

Tre servizi da usare a Bruxelles

Villo. Il servizio di bike sharing esistente a Bruxelles già da qualche anno. Lo uso personalmente da 2 anni ed è praticissimo. Completi la form online, paghi 30 euro annui, ricevi la card Villo ed eccoti servita una bici quasi ovunque quasi sempre.
Pro:
 - Si ha il vantaggio di una bici pur non essendone proprietario e a Bruxelles le distanze in bici diventano quasi nulle.
 - Le stazioni villo sono oramai ovunque e nei pressi di ogni stazione metro/tram.
 - La prima mezzora di utilizzo è gratuita e in 30 minuti si arriva un po' ovunque in bici a Bruxelles.
Contro:
 - Le bici sono abbastanza pesanti e Bruxelles non è affatto piatta, a volte potreste pentirvi di aver scelto la bici, anche perché la città non è molto organizzata in quanto a percorsi riservati ai ciclisti e chi è al voltante crede spesso di essere un pilota di formula 1.
 - Se la stazione Villo di destinazione è piena, beh vi tocca cercare la prossima nei paraggi. Pedalare, pedalare.
 - Se la stazione Villo che volevate usare è vuota, beh vi tocca rinunciare alla bici o cercarne un'altra nei paraggi. Camminare, camminare.

Cambio. Il servizio di car sharing esistente a Bruxelles da diversi anni. Funziona come Villo ma invece delle bici si tratta di auto, con le uniche (grosse) differenze che bisogna riportare la macchina alla stazione di partenza e che il servizio funziona su prenotazione. Lo uso da quasi un anno, tra traslochi, spesoni mensili e occasioni particolari e non è per nulla male avere la possibilità di una macchina pur non avendone (felicemente) una a Bruxelles. Si compila la form online, si riceve un invito alla sede Cambio, si ottiene una card, un training di gruppo e via. Basta prenotare l'auto (su internet o per telefono), passare la card su un dispositivo installato sull'auto e l'auto si apre, all'interno è necessario introdurre il proprio codice segreto su un altro dispositivo interno e prendere le chiavi.
Pro:
 - Le stazioni Cambio sono ovunque e sempre nei pressi di stazioni metro/tram, come per le Villo insomma.
 - Diversi tipi di macchine sono disponibili, anche mini van molto utili in caso di traslochi.
 - Dalle 22 alle 7 del mattino il servizio è gratuito.
Contro:
 - Purtroppo non tutti sono civili e spesso si trovano le auto in condizioni non proprio accettabili.
 - Prima di partire bisogna sempre ispezionare l'auto dentro e fuori in modo da poter segnalare difetti esistenti e bisogna quindi avere un minimo di conoscenze del francese nel caso si debba chiamare alla centrale.
 - Nei fine settimana ed in altri giorni particolari è davvero difficile trovare un'auto disponibile se non prenotata almeno il giorno prima, quindi bisogna organizzarsi un po', non è esattamente come avere un'auto propria, insomma.

Gasap. Il servizio di prodotti BIO belgi esistente a Bruxelles da qualche anno. Si ha la possibilità di avere ogni settimana un paniere BIO disponibile in diverse dimensioni (e prezzi) di prodotti belgi coltivati da produttori locali che si possono direttamente incontrare instaurando un rapporto totalmente diverso dal classico consumatore di prodotti da supermercato.Lo uso da tre settimane e ho già scoperto due cose nuove.
Pro:
 - Si aiuta l'economia locale, evitando di acquistare prodotti provenienti da altri continenti dove magari norme e diritti di lavoro sarebbero fuori dai nostri standard.
 - Si mangiano prodotti sani, senza l'utilizzo di sostanze tossiche durante la fase di produzione.
 - Si impara a conoscere prodotti che probabilmente non avremmo mai comprato al mercato o al supermercato (come il ravanello nero, la barbabietola o il salsifis, lo conoscevate voi il salsifis?).
Contro:
 - Non si conosce a priori il contenuto del paniere, perché dipende dalla produzione corrente. Questo ovviamente obbliga ad un po' di flessibilità e qualche cambio di abitudini o a dover fare la spesa nel caso servisse qualcosa in particolare.
 - Non essendoci importazioni, i panieri sono riempiti con i prodotti disponibili al momento, in base alla stagione e alla produzione locale. Se si voleva qualcosa in particolare (e oggi siamo abituati ad avere qualsiasi tipo di frutta o verdura in qualsiasi giorno dell'anno), beh c'è bisogno di far la spesa al supermercato.
 - Il paniere minimo (da 10 euro) a volte è troppo anche per una coppia. Il servizio non è propriamente pensato per scapoli o coppie che consumino poche verdure o che non amino cucinare.

Forfora

Il tavolo nero riceve la luce del sabato mattina quasi fosse pronto a stenderla come pasta da cucina, quasi fosse in attesa della massaia dalle mani di farina per farne fili di luce ed irradiarne il salone, lì dove c'è la pianta d'un verde vivo che ne aspetta impaziente il calore, lì dove si risveglia il divano e nell'angolo la polvere, residui di terreno, di capelli, di pelle ma anche di pensieri. Le tue mani sul tavolo sembrano invecchiate di colpo, la luce ne disegna rughe e piegamenti, ne risalta la differenza sul tavolo lucido, nero, nuovo. Vorresti quasi lavorarla, quella luce come pasta da cucina, ma in tanti anni all'estero hai fatto una sola lasagna, perché all'improvviso dovresti saper maneggiare quell'impasto di luce e legno? Il legno in realtà non è legno propriamente detto, perché il tavolo è d'IKEA, ma alla luce non dispiace spandersi su quella superficie e coprirne il colore, quasi fosse l'eterna lotta contro quel nero lucido, nel contrasto tra luce e oscurità, non c'è diavolo su quel tavolo però né amerebbe farvi dimora, si spera. Non piace neanche al collega belga, quel tavolo d'IKEA, perché semplicemente non gli piace IKEA, lui è belga del nord e come da stereotipo ama comprarsi mobili per tutta la vita, diceva sempre, e ogni volta pensavi che significa tutta la vita? Sì, la scienza va cantando che la vita s'allunga, che guadagniamo 2 anni e mezzo di speranza di vita ogni decade. Tutta la vita può essere davvero tanto, allora. Poi, domani muori. Tutta la vita può essere davvero poco, se succede. Non lo hai detto al collega belga, che se muori la vita non è poi tanto lunga, né la scienza ha capito che bisognerebbe allargarla e non allungarla, la vita, come diceva De Crescenzo. E mentre passi dalla luce al tavolo, da IKEA al collega belga e dalla scienza a De Crescenzo, l'altra mano percorreva cammini increspati di ricci tra la testa. Guarda quanta forfora sul tavolo, dice lei e ne interrompe il cammino, il collega belga scompare correndo, Di Crescenzo ride spensierato mentre la luce continua a riscaldare il tavolo e ridefinire i contorni di una mano. Ma non era forfora e neanche il gel residuo della notte precedente, quelle briciole accusate sul tavolo erano pensieri distrattamente abbandonati alla polvere casalinga. C'era, tra loro, un'idea brillante, ma forse brillante per via del sole sul tavolo, non sarebbe stata ugualmente brillante nel buio di una stanza, magari nel letto prima di dormire a cercare nel soffitto tracce di realtà. E c'era pure tuo padre, sul tavolo alla luce del sole, ricoverato in ospedale in Italia, niente di grave, questa volta, ma ecco che ti ricordi di vivere all'estero, che sei andato via, che non ci sei, ma che saresti andato lontano ad ogni modo, pur restando nei confini di lingua e cultura. E c'era pure questo post, lì sul tavolo, o almeno l'idea.

Metafora della società occidentale

Nelle stanze da bagno moderne, le tazze del gabinetto si alzano dal pavimento come bianchi fiori di ninfea. L'architetto fa di tutto affinché il corpo dimentichi la sua miseria e l'uomo non sappia ciò che avviene dei rifiuti delle sue interiora quando scroscia su di essi l'acqua liberata dal serbatoio. I tubi di scarico, pur penetrando con i loro tentacoli nei nostri appartamenti, sono accuratamente nascosti ai nostri sguardi e noi non sappiamo nulla delle invisibili Venezie di merda sulle quali sono costruiti i nostri bagni, le nostre camere da letto, le nostre sale da ballo e i nostri parlamenti.­­
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere.

Mancava solo Chuck Norris

Uniti, più forti, contro Cina, India e Brasile. Nel tanto criticato video pubblicato in settimana dalla Commissione Europea, mancava solo Chuck Norris.


Dopo la gaffe, le scuse. In quanto a comunicazione, a volte in Commissione
sono davvero dei geni.

Sono cattivissimo

Nell'ufficio nuovo si parla poco, sarà l'ambiente formale, sarà che sei alla prima settimana, sarà il silenzio che viene dal corridoio entra a passi invisibili e si diffonde come camomilla tra le scrivanie. C'è un ragazzo ungherese, sempre il primo in ufficio la mattina, sempre in ufficio quando vai via la sera, che compone mosaici nell'aria con alcuni dei suoi tic. Se dovessi dargli un aggettivo, così, a primo acchito, nerd sarebbe il contenitore in cui metterlo, però sei alla prima settimana, allora magari ti sbagli. Magari. La mattina lo saluti con il sorriso, chiedendo come stia, cercando un approccio, perché sei alla prima settimana, e lui senza staccare gli occhi dal monitor risposte passivo, ad eco, buongiorno, buongiorno. Ma sarà che sei alla prima settimana, ti ripeti. Quando lo incontri alla macchinetta del caffè, per riempire la tua bottiglietta d'acqua, qualcosa la devi pur dire, quel silenzio del corridoio entra anche nel piccolo atrio della macchinetta e come se fosse allergico ti provoca prurito, ma qualcosa la si deve pur dire, di simpatico, e allora esclami un "It's Friday eh, the nicest day of the week, isn'it?" con un sorriso che è tutto un invito a parlare. Senza neanche staccare lo sguardo dalla macchinetta, come fosse il monitor del momento, perché ci deve essere sempre un monitor da fissare, il collega risponde "Everyday is the same man, everyday is nice at work". E ti spegne.
Va beh, ci hai provato. Però sei cattivo, perché non hai potuto far a meno di pensare a Robertino.

Quando l'integrazione passa anche per la musica

La faccia della prof brussellese al corso serale di francese diventa quasi pallida al sapere che nessuno dei 5 studenti in classe sapeva chi fosse Jacques Brel, 5 studenti che in media hanno già passato almeno 3 anni a Bruxelles, ma niente, di Brel mai sentito nominare. Con la mano al volto e l'espressione tra l'incredulo e il disappunto, la prof si domanda come diavolo si faccia a vivere 3 anni a Bruxelles e non conoscere nemmeno una canzone di Jacques Brel, ma in effetti la prof dimentica che chi ci vive da straniero vive un'altra città, un'altra realtà, come un mondo parallelo che non necessariamente rispecchia la cultura in cui si vive, non sempre ha bisogno dei legami tra luoghi e storia né spesso riceve vantaggio dal conoscerne gli eroi, i dannati e i monumenti. Un monumento, per la prof è un monumento del Belgio, Jacques Brel, e non solo, è un poeta da studiare a scuola, è un impeto di voce che non era solo canzoni, quando sudava o addirittura piangeva sul palco, preso dalle sue stesse parole, ma niente, 5 eretici, 5 studenti senza vergogna continuano con gli occhi un po' spalancati e le labbra perplesse, di Brel mai sentito nominare. E per quanto inammissibile possa sembrare alla prof, che li guarda con disappunto, come se non vivessero in Belgio, come se mancasse loro una conoscenza basica di un passato recente, è proprio quel passato comune, quello fatto di cultura condivisa, di scuole frequentate fin dall'infanzia e di programmi televisivi a far da compagnia, di catastrofi locali altrove magari appena menzionate e tanto altro di gioia e dolore che forma l'appartenenza ad un paese, è quel passato degli altri che non si può trasmettere in 3 anni né spesso si è disposti a riceverlo, quando si è di passaggio in un paese straniero o si vive da stranieri anche quando quel paese diventa casa, pian piano.
Reato, è un reato non conoscere Brel, addirittura brussellese, famoso non solo in Belgio e di cui mezzo mondo ha fatto cover (ma allora più che d'integrazione, si tratta d'ignoranza musicale?), reato di vivere un'altra Bruxelles, anche se la prof lo sa benissimo, in tutti i suoi anni d'esperienza, lo dicono le sue rughe richiamate agli occhi dal sorriso, che gli stranieri vivono un'altra Bruxelles, lo dimentica per un momento presa dalla sua scenetta tragicomica, ma fa ugualmente scontare ai 5 studenti il reato inammissibile, ascoltando Brel, studiandone i testi, trovando le parole mancanti, rendendoli meno stranieri. Forse.

Di cervelli in fuga e neuroni mancanti

Succede che leggi il solito periodico articolo sulla brain drain, succede che scrivi un post elencando 10 cose che sicuramente ti capiteranno se vai all'estero e che nessuno ti racconta prima di partire perché tutti intenti a pubblicizzarti l'unica soluzione possibile (ma non sempre va bene, no), succede che il post venga pubblicato su un network che promuove scambi culturali europei e succede che il post giri un po' in rete. Bene. Succede che tra i commenti a quel post, all'articolo del network e la sua pagina facebook, leggi che l'autore di quel post debba essere un bambaccione, un Giacomo Leopardi, un chiuso di mente, un bimbominchia, un poveraccio, uno che fa ridere, un provinciale, uno da bar sport e tanto altro. Bene. Succede che le critiche fanno bene, altrimenti si potrebbe avere l'impressione che sia tutto fittizio, unidirezionale; succede anche che c'è chi si trova d'accordo e chi esprime il disaccordo in modi diversi; e succede che magari il titolo, magari qualche approfondimento, forse il testo poteva essere scritto meglio. Benissimo. Eppoi le critiche vanno incassate perché fanno bene, certo magari dopo quasi cinque anni all'estero qualcosa la dovresti sapere a riguardo. Qualcosa.

Però. Succede che proprio su certe comunità online e certe pagine facebook ci vadano quelli che all'estero ci vogliono andare o che già hanno un piano a breve termine, succede che tra loro tanti si facciamo una risata di quei 10 punti (e ridere fa bene al cuore, per fortuna) fissandosi magari sul dito mentre dietro c'è una luna enorme (ma enorme davvero) e fermandosi alla superficie, spesso spavaldi, ma ad ogni modo non inclini al dialogo civile; e succederà, non fosse altro che per un mero campionario statistico, che molti di loro all'estero ci andranno davvero. Appunto. Il punto è proprio quello: quando dicono che all'estero c'è un'Italia migliore, che fuori c'è una selezione o che bisogna andar via per poi tornare e addirittura migliorare il paese (come se l'estero fosse davvero una scuola, ma da una scuola ne escono formati solo gli alunni capaci, non tutti), ecco si sottostima sempre un punto fondamentale, importantissimo. Al gate all'aeroporto, quando controllano la carta d'identità o il passaporto, non c'è filtro, no, di nessun tipo, all'estero ci vanno anche le teste di cazzo, fuori si forma lo stesso sottoinsieme di eccelsi e di ebeti, di onesti e di ladroni, una micro-Italia che vien fuori da quello che è il paese di partenza. Certo, rimaniamo ottimisti, poi alcuni migliorano. Alcuni.

Però, quando dicono 'vivo all'estero' non hanno detto nulla. Nulla. Non è un aggettivo né un discriminante. Un altro stereotipo, questo è. Vive all'estero è uno stereotipo, Eh ma quello vive all'estero è un contenitore spesso pieno di cose immaginarie. Quando si parla noiosamente con quell'espressione, cervelli in fuga, si dimentica spesso che all'estero ci vanno anche quelli con i neuroni mancanti, che sono frutto della nostra società, non vengono mica dal nulla, se l'Italia è quello che è al momento non sarà mica tutta colpa della classe politica (che pur emerge da una certa società, appunto). Quindi sappiatelo, non bisognerebbe mai ammirare qualcuno solo perché vive all'estero (o perché ha intenzione di andare), perché vivere altrove non lo farebbe in alcun modo più speciale di voi, potrebbe essere l'ennesimo a fissare il dito, orgoglioso di vivere in questo o quel paese ai rientri in patria, ma poi incastrato lì con pochi conoscenti, nel compromesso di un lavoro che non voleva, a lamentarsi di un intorno che non gli piace. E ce ne sono. Tanti.