Di quelli uguali

Poi ti ritrovi il collega belga alla tua scrivania, quello con cui non parli spesso perché d'un altro dipartimento, altro piano, altro business, ma l'osservi come fosse amico d'una vita proprio perché assomiglia ad un amico d'una vita, che lui ovviamente non conosce, non potrebbe, non dovrebbe, ma lo rappresenta, lì, inconsapevolmente, generando già un'altra chimica con te, che apre le porte ad un'empatia immeritata però piacevole. Succede la stessa cosa con l'amico greco, uguale, no, pensi, uguale uguale ad un amico calabrese che purtroppo vedi una volta l'anno, due se va bene, e ha la stessa postura, gli stessi gesti, il modo di parlare, solo che questo è greco, vive a Bruxelles, non conosce quel suo gemello italico che attraverso connessioni celebrali, tue, gli viene associato e rimane come una marca indelebile, tu vedi lui e pensi al tuo amico, tu ascolti lui e pensi al tuo amico, quando lo saluti e lo abbracci è come se salutassi e abbracciassi una parte del tuo amico. E ti viene da sorridere, a guardare quelli uguali. Anche per questo, ti sta un po' più simpatico, il ragazzo greco. E il collega belga. E l'amica spagnola. Ci son gemelli sparsi, per il mondo - allora pensi - che non si conoscono né condividono utero e allattamenti, eppure a volte si ripetono, si specchiano, davanti a te, in una mano sulla fronte, in un'espressione del viso, nel modo di camminare. E questi gemelli sparsi per il mondo non sono necessariamente dei doppelgangers, dei look-alike, non s'assomigliano se non in posture, manie, particolari che, se non fossi amico di uno dei due, probabilmente non noteresti. Sarà perché l'insieme di tutte le combinazioni di gesti possibili non può essere infinito, per noi attori umani, e allora succede che ci ripetiamo, casualmente, tra un paese e l'altro, come gemelli eterozigoti spinti dalle osservazioni fantasiose d'un appassionato di dettagli. O forse è soltanto il modo in cui il tuo cervello elabora la realtà, manipolando immagini presenti e memorie accavallate. Però ti piacerebbe un giorno riunirli tutti, questi gemelli sconosciuti tra loro, come se alla tua scrivania potesse venire il collega belga e l'amico del sud d'Italia, insieme, e muoversi in sincrono e non capire perché poi a quella scrivania c'è qualcuno che li guarda e ride, appagato dall'effetto che ne fa la visione, per un attimo, di quelli uguali insieme.

Daily fight

Questa era un po' che volevo disegnarla, è un periodo un po' così, 
incasinato, ma felice. Scrivo poco, ma sono vivo abbastanza.

Perché c'è voglia di star con te

Quanto sei bella, Bruxelles, quando il sole si distende tra decorazioni dorate d'affreschi d'art nouveau sulle facciate delle tue maison de maitre, testimoni schierati di un'epoca lontana e adesso frammenti di storia in metamorfosi d'evoluzioni urbane quasi mai armoniche, ma tu sei così, irregolare, libera, se basta voltare l'angolo per cambiare scenografia, scoprire l'ennesima espressione d'una città disseminata di punti esclamativi nei suoi innumerevoli alfabeti, si mescolano, si seducono, si confondono accentati, nel mercato settimanale di una piazza popolosa, questo non è nord d'Europa, penserebbe qualcuno allattando pensieri e conclusioni con stereotipi e leggende; ma tu, Bruxelles, cosa puoi essere nella descrizione di un libro di geografia, nella pagina impolverata d'una enciclopedia già antiquata appena finita di stampare, come possono riassumerti in poche righe di bianco e nero se ogni tua strada è un colore da assorbire? Fatti assorbire, Bruxelles, quando il verde di un parco riempie il panorama di vita senza sosta, non ci credono quando dicono che sei tra le più verdi del continente semplicemente perché non sanno e tu nascondi, lo nascondi come fosse banale, al di là del grigio, al di là del traffico e del frastuono di semafori e motori, ci son i tuoi ilots verts, di chi anche in pieno centro può avere un giardino ed il suo angolo di paradiso, quasi fosse l'ennesima metafora dei tuoi segreti da elencare, questa non è una città, potrebbe dire qualcuno immerso in un libro sull'erba del suo rez-de-chaussée, mentre il vicino ne immortala la scena in un quadro surrealista in onore di Magritte. E infatti non sei una città, se poi scendo sotto casa due minuti e casualmente incontro un amico, ma poi succede spesso, quasi fossimo in un villaggio sul crocevia d'autostrade europee, questo è proprio il villaggio globale, potrebbe pensare l'ultimo arrivato in fila per il suo sogno di burocrazia d'istituzioni e che invece poi si troverà a parlare nella piazzola del Parvis con un ragazzo marocchino che non sa nulla di concorsi, di test e preparazioni, ma che riesce a cantarti anche uno spezzone di una canzone di Ligabue, perché ha vissuto 10 anni in Emilia Romagna e ha la sua storia da raccontare. Quante storie hai da raccontare Bruxelles, quante ne racchiudi, nella schiuma delle tue birre appena servite, ad accompagnare voci e respiri in un bar affollato mentre fuori un po' di pioggia non riesce a pulire i tuoi ciottoli sporchi e mal curati, c'è chi li fa risuonare sotto le ruote di una valigia stracolma, perché è appena arrivato insieme ad un carico di speranze ed energie, perché è in procinto di partire con in gola un amaro di delusioni e pessimismo, questa non è la capitale d'Europa, ripeterebbe il turista frettoloso perché tu, Bruxelles, sei un libro bellissimo ma dalla copertina poco commerciale. Non cambiare, Bruxelles, anche se c'è chi ti ricorda brutta, chi ti confronta ad ogni virgola, chi t'analizza senza uscir di casa, tu vestiti d'un disegno di Schuiten e continua a muoverti a passi di jazz, disseminando chiavi di lettura in una brocante domenicale, non cantarmi Ne me quitte pas nell'eco d'un tuo figlio glorioso e lasciati scoprire, ogni giorno, perché c'è ancora tanta voglia di star con te.