Ah, esportare la cultura

E mi sembra anche giusto, che all'Istituto Italiano di Cultura si esporti giustamente una certa cultura. Coerenti, in fondo.

Di radici provvisorie

Le radici - esclamò quasi gridando - sono proprio le radici ciò che ci dà la forza, la salute e quindi la vita!, assorbono il giusto nutrimento dalla terra che le circonda e lo trasmettono a tutto il resto, ecco perché non si possono trascurare le radici, ecco perché non si possono ignorare le radici, ecco perché son così importanti, la cosa più importante, vitale, le ra-di-ci!
Ma cosa dici? - contestò immediatamente - I rami e le foglie sono la cosa più importante, catturano l'energia del sole e mantengono viva la pianta, si estendono in mondi nuovi cercando il modo di sopravvivere, interagiscono con animali e clima, rappresentano il presente ed il futuro!
Ma che schiocchezze sono queste? Ma cosa vai dicendo? Senza radici la pianta muore! Senza radici non c'è futuro!
E senza rami e foglie? - replicò - E senza il nuovo che viaggia, si estende, cerca la luce, vita nuova, vita diversa, la luce! Per questo fai bene ad andare figliolo, trasformati altrove, per questo va, va!
Il ragazzo rimase un po' interdetto, osservando quel teatrino improvviso sulla soglia della cucina, cercando di capirne messaggi e significati, casomai ce ne fossero, casomai servissero davvero.
Non stare a sentire queste idiozie, nipote mio! Rimani dove sono le tue radici, rimani dove la terra continua a darti il nutrimento di cui hai bisogno!
Ma è proprio quello il punto! - infierì nuovamente - Che non c'è più nutrimento per loro in questa terra, che le radici vanno ammuffendosi, o seccandosi, insomma muoiono, meglio che la pianta cerchi altrove la propria vita, meglio che i rami si muovino dove la luce li possa riscaldare!
Ammuffite? Secche? Ma lo vedi che dici una cosa e il suo contrario nella stessa frase! Se tutte le piante vanno via, lo sai che succede al terreno? Che frana al prossimo diluvio! Ci vogliono radici giovani per tener il terreno, mentre le vecchie oramai non hanno più forza, non ce la fanno più..
Il terreno! Il terreno! - diresse lo sguardo al soffitto quasi a cercarne una prova - Il terreno è oramai inquinato! Lo abbiamo contaminato per troppi anni, è impastato di cemento, rifiuti, veleno.. Guarda, guarda che bosco ne esce fuori per chi lo vede con occhi esterni! C'è sempre meno verde, ci son sempre più rami secchi e ragnatele... eppoi ci son quei mostri, quelle querce giganti che non si muovono, in mezzo al bosco, che succhiano il nutrimento agli altri e il resto non cresce o cresce male.. va, figliolo, va, va dove nuova luce possa riscaldare le tue foglie e intrecciare i tuoi rami, altre radici nasceranno, ne son sicuro, quella valigia è una margotta in fondo..
Se metti radici altrove, nipote mio, se metti radici altrove... - ancora un po' restio, ma oramai agli ultimi tentativi - poi non torni più.. Ma almeno, almeno non dimenticare quelle che avevi, che un po' rimangono con te, che t'hanno fatto crescere e nutrito finora, oggi sei quello che sei anche grazie a loro!
Non dimentico nonno - rispose il nipote, a tagliare corto ed annuire - non dimentico le radici. Afferrò la valigia con energia e si diresse alla porta. Il padre lo guardò in silenzio, masticando pensieri, per poi mugugnare: i frutti, i frutti che nasceranno da quei nuovi rami, avranno un retrogusto amaro, a volte, tu però manga giù, ti faran bene, ti faran crescere.
Non lo rivide più, o almeno non più lo stesso.

Il cappotto

Tutto l'inverno così, raccogliendo passivamente freddo, pioggia e odori urbani di metro e sedili, inzuppandosi di città, di quella scura di giornate uggiose e di quella sporca di spazi ristretti tra foreste di braccia e code e attese, la ritrovi tra il collo e in altri parti del tuo cappotto, dopo mesi di onorato servigio, quella puzza che spesso risveglia sensi in tonalità di disgusto e apnee, è quel misto d'odori forti che riconosci in alcuni angoli del vagone della metro, indicativo del passaggio di qualche senza tetto, di qualcuno dal sudore impregnato, d'insalate di presenze umane che lasciano il segno non per marcare il territorio ma per inevitabili frammenti che si perdono, nei crocevia metropolitani in cui spesso si sopravvive. E te lo ritrovi sul cappotto o n'è soltanto il presentimento, la percezione, quasi fosse il presagio d'intensità maggiori, quasi potesse infettare, attraversare i tessuti spessi del cappotto e attaccarsi a quelli epidermici; quell'odore di città, che brutto dipinto ne uscirebbe se si limitasse a raccoglierne solo quello per descriverla, eppure le appartiene, tanto che te lo ritrovi addosso, l'odore di città, di metro, di autobus, di treni, di pioggia e smog, di bar, di traffico, di persone, dovrebbe essere altra poesia, dovrebbe riempirsi di colori e voci e diversità, e invece sul cappotto si trasforma in acidi aromi; dovrebbe essere una fragranza da esporre in vetrina tra marketing abilmente addobbato e frasi ingrassate ad effetto, il profumo di Bruxelles, e invece non c'è poesia quando l'effluvio ha il sentore di quella cosa, anche quella, soprattutto quella è ciò che veramente ti fa storcere il naso e si ferma amara in gola, perché un po' fa paura. La povertà. Ma bastano poche ore in una lavanderia vicino casa e pochi euro alla consegna ed il cappotto torna come nuovo, al profumo di lavanda, per dormire fino al prossimo inverno ed assorbire poi nuovamente la città, in tutti i suoi gusti, anche quelli più forti, con il cinico sollievo di poter dimenticare tutto in un lavaggio a secco e la consapevolezza però che quella cosa è lì e per tanti altri non va via.

Come da ragazzini nei bagni della scuola

Ma caro ragazzo italiano che non posso far a meno di ascoltare, quando l'orecchio si sintonizza inevitabilmente su suoni che riconosce distinti, linguaggi che sa decifrare pur tra il rumore accentato della metro brussellese, te ne potrei fare una colpa del fatto che hai prontamente nominato La grande bellezza all'amico o conoscente straniero che pur si destreggiava in un italiano altalenante, mentre lui ti voleva invece parlare di 12 anni schiavo e tu non conoscevi il film né sapevi che faceva parte della famosa notte degli oscar, e relative premiazioni quindi; te ne potrei fare una colpa per quel sorriso da orgasmo repentino quando hai nominato La grande bellezza richiamando vittorie adolescenziali di chi ce l'ha più lungo nei bagni della scuola, solo perché quel film ha un nesso con te per semplici appartenenze nazionali ed ecco che automaticamente te ne fai ambasciatore, mentre l'amico o conoscente voleva in realtà parlare d'altro, ignorando lunghezze ostentate e doti inappropriate; te ne potrei fare una colpa, caro ragazzo italiano nella metro di Bruxelles, per quel sorriso da vantaggio acquisito al nominare il titolo di un film, come se ne avessi partecipato alla realizzazione, quasi se adesso, per magia, comparisse tra i tuoi segni particolari sulla carta d'identità, ma solo per qualche giorno, il tempo di vantarsene, il tempo di dimenticarsene, il tempo di ripescarlo alla prossima occasione e presentarlo sul banco di conversazioni doganali in cerca di bandiere da ostentare; e te ne potrei pure fare una colpa perché non conoscendo invece gli altri film, anzi proprio quelli che han ricevuto più premiazioni, confermeresti quell'atteggiamento tipico di chi filtra soltanto i dettagli che ne possono aumentare prestigio e ignora il resto, il contesto, gli atri, confermeresti quella gloria dei monumenti più belli del mondo che però non si son mai visitati, stan lì, vicino casa, son bellissimi, ma si lasciano ai turisti, o al degrado, o quell'altro del cibo più buono del mondo, tacciando il diverso per inferiore, inconfutabilmente.
Ecco, caro ragazzo italiano, non te ne posso fare una colpa però, perché sarebbero soltanto supposizioni personali o giochi di parole di chi vuole in realtà arrivare ad una conclusione ben precisa con il pretesto di una leva occasionale, come si fa spesso sulla rete come al bar, o in salotti di scimmie urlanti a riempire palinsesti televisivi; ma soprattutto non te ne posso fare una colpa perché quel sorriso, quell'emozione improvvisa per un proclamo illegittimo non è altro che una delle tante espressioni della patria che è in te, fatta spesso di superlativi assoluti e reazioni istintive, che all'estero più che mai ha il bisogno d'eiaculazioni celebrali appena sente odor di confronto, conflitto, identificazioni e orgogli improvvisi quanto fragili. Avrei voluto dirtelo però, che vivendo altrove un giorno - magari - ne avrai la consapevolezza, di quella patria che è in te, e tutto ti apparirà esattamente come quella scena, tra imbarazzante e simpatico, un po' ridicolo però spontaneo, quella scena dei ragazzini a misurarsi il pistolino nei bagni della scuola.