Quando Saint-Gilles non sangillava

Parlamene ancora, caro nuovo collega belga, di quella Bruxelles di 30 e più anni fa, quella Saint-Gilles che hai vissuto fin da piccolo, dove sei nato e cresciuto, di come tutto sia evoluto, delle cose che succedevano, che non ho vissuto, parlamene perché mi piacerebbe viverle attraverso i tuoi racconti ogni giorno a pranzo e immaginarmela, anche nei suoi aspetti più brutti, quando non era sicuramente il tempo où Bruxelles bruxelait, quando bande malfamate di marocchini e polacchi si scrontravano sulla piazza del Parvis - a quanto dici - ed era pericoloso anche solo passeggiarci, quando al bar de l'Union lì all'angolo controlli della polizia più che ordinari entravano addirittura nei bagni in cerca di spacci illegali, quando in place Morichar c'era chi moriva per una parola sbagliata e la Barrière era il centro di un bronx e non l'ombelico del mondo; parlamene perché son tutti posti che oggi hanno il sapore di casa per me e non avrei mai potuto immaginarmeli a quel modo, parlamene perché riderò la prossima volta che qualcuno mi parlerà di criminalità crescente a Bruxelles o di quando la vicina del piano di sotto si lamenta delle cose che vanno sempre peggio, che il quartiere peggiora ogni giorno di più ma probabilmente è la percezione di chi a causa dell'età che avanza ha meno forza e pazienza, ha più paure e ritornelli; parlamene perché apprezzerò ancora di più quell'equilibrio di tranquillità e vivacità che adesso popola le stradine di Saint-Gilles, frutto d'attriti e anni difficili, ora in pace e periodicamente in festa, soprattutto in tempo di mondiali di calcio, ogni sera un carosello perché c'è sempre un vincitore, c'è sempre una comunità che brinda ed un'altra che si consola, ci son bandiere alle finestre come fiori a colorare le facciate sporche di smog e vecchiaia, c'è quell'aria di villaggio al mercato la domenica e le facce sorridenti di chi ti riconosce e saluta, facce che magari avranno pure vissuto quegli anni più bui d'attriti e integrazioni, se la meritano adesso, tutta questa tranquillità. O forse i tuoi ricordi annebbiati d'adolescente brussellese non son poi tanto affidabili, caro collega belga, ognuno a modellare la propria realtà secondo percezioni e schemi personali? Non m'importa, parlamene piuttosto perché dovrò pur filtrare, digerire, collegare, da qualche parte bisogna pur partire per costruirsi poi le proprie, di percezioni, che per il momento comunque non son per nulla cattive.

Scintille postelettorali

Le facce dei manifesti elettorali, che rimangono lì appese dopo settimane dalle elezioni, con i loro sorrisi da vincenti, con i loro sorrisi da perdenti, con i sorrisi da abbiamo vinto tutti, ti continuano a fissare, quando il tram ci si ferma affianco, quando lo sguardo ti ci cade sopra, e ti continuano a sorridere, nonostante il sole inizi a mangiarne i colori, nonostante qualcuno abbia aggiunto baffi, occhi neri, firme strane e street art da interpretare, e ti continuano a promettere, come se oramai avessero vita propria, come se ci credessero davvero, in quelle parole decorate di loghi e punti esclamativi; qualcuno dovrebbe salvarle, le facce dei manifesti elettorali, un po' come per i nani da giardino, per cui esistono gruppi che si organizzano per liberarne cento in una notte e poi seminarli in parchi, spianate, boschi, così dovrebbero liberare quelle facce dei manifesti elettorali dalla condanna del tempo che li sbiadisce, che trasforma il sorriso in paralisi, la promessa in contraddizione, il colore del partito in controparte politica, o più semplicemente salvarle dai loro proprietari, da se stessi, e dall'ennesima perdita d'onestà, dovrebbero organizzarsi di notte e strapparli via da pareti, cartelli, esposizioni abusive, raggrupparne tutti i sorrisi, le parole, gli slogan, e formare una sola grande risata, un'enorme mosaico di lettere e garanzie per il futuro, per dare vita ad un'unica grande bugia. E poi darle fuoco.

Cose a cui non ti abitui

Poi ti ritrovi a supportare il Belgio nella sua prima partita di questo mondiale, in un'azienda molto belga che organizza per l'occasione un evento molto belga, maxischermo accompagnato da Jupiler e frites, birra belga e cibo nazionale belga, appunto, in un edificio in cui ci son quasi tremila dipendenti e quindi l'atmosfera è quella da stadio, di festa, d'attesa e sofferenza, e ti trovi a soffrire con loro, a gridare con loro, a riempirti di Jupiler con loro, a sudare con loro, a ingozzarti di frites con loro, a ridere con loro, e ti accorgi che tutto è davvero tanto tanto belga quando poi all'improvviso dopo la trasmissione del primo tempo con telecronaca francese, ecco che inizia quella della seconda parte, politicamente e rispettosamente in fiammingo.

Male non farà

Ma quanto sono belli questi belgi quando li vedi parlare della squadra di calcio, delle previsioni, il calendario, il girone, i possibili cammini fino alla finale, quanto sono belle quelle speranze che colorano i loro discorsi alla macchinetta del caffè, tra le curve di sorrisi che nascono spontanei e si caricano nell'attesa della prima partita, quanto sono belle quelle prime volte come questa all'avere una squadra addirittura candidata alla vittoria finale, dovrebbero vincerlo, il mondiale, perché sarebbe una gran bella festa, perché tutte quelle speranze hanno pur bisogno d'esplodere insieme, lo hanno già vinto, il mondiale, nella simpatia e l'euforia, nel politically correct di chi ancora insiste nel non dover emozionarsi troppo, nell'abbandono a quell'estenuante politically correct quando c'è chi dice che ci crede, che è la volta buona, ha steso la bandiera del Belgio alla finestra, ha ricoperto dei colori nazionali gli specchietti dell'auto, li ha estesi al guardaroba del figlio; quanto sono belli questi belgi che s'innamorano del calcio e magari ritrovano identità nazionali spesso dubbiose, che coltivano adesso generazioni di ragazzini che ricorderanno il mondiale con tutte le emozioni che verranno, di gioie e sofferenze, e forse è proprio quello il vero motivo dei mondiali, d'unire e appassionare, sperare e festeggiare, non lo è nella realtà degli interessi privati, leciti e non, discutibili e non, ma loro, i belgi, quest'anno, con questa squadra, non lo sanno, se lo dimenticano, lo rimandano, lo riassumono in un eh, se ne fregano, e continuano a sognare.