Il guardiano del museo

C'era una volta un museo, in un paese del sud Europa lì dove anche il più piccolo museo era già ricco di storia e tracce di passati ammirabili, e c'era un guardiano, in quel museo, che ogni notte girovagava per alcune zone della struttura, sempre le stesse, quelle che meglio conosceva, quelle che più gli piacevano; le altre zone non contenevano oggetti troppo preziosi, secondo il suo giudizio, e quindi non valeva la pena sorvegliarli e comunque nessuno si sarebbe mai sognato d'andar a rubare quelli e non i suoi preferiti, i migliori; oppure, in altre zone dove non andava quasi mai, c'erano opere famose, che aveva visto una volta, che pur decantava agli occhi degli altri, ma erano talmente lontane che - sempre per il suo alto giudizio - avrebbe corso il rischio di abbandonarne cento per verificarne una, diceva; oppure, erano lì, a pochi passi, erano importanti, ma proprio perché vicine non avevan bisogno di troppa cura, le avrebbe ammirate il giorno seguente, forse. Così, in quel museo di un paese pieno di musei, quel guardiano macinava metri e metri delle stesse sale, ogni notte, ripetendo lo stesso percorso nei suoi modi tradizionali e conservatori, apprezzando quadri, sculture, di cui spesso non sapeva nemmeno il nome o, se lo sapeva, ne ignorava la storia, il messaggio, l'autore, erano dettagli, gli bastava sapere che fossero importanti, ne continuava a vantare il valore, il prestigio, di musei così ce n'erano pochi, d'opere così non se ne trovavan in nessuna parte del mondo. Il mondo però lo lasciava fuori, agli altri, il mondo era tutto quello che esisteva fuori dal museo, fuori dai suoi percorsi conosciuti, e non valeva la pena visitarlo se quanto di più importante era già nel museo, se altrove avrebbe dovuto addirittura pagare e far file per operucce, oggettucci, nulla di minimamente comparabile al catalogo di quel museo, anzi, alle solite sale che sorvegliava di quel museo, per essere precisi.

Ed in quel museo così colmo di storia e ricchezza dell'umanità, ogni notte, durante i percorsi d'occhi sonnolenti e controlli approssimati, nascosto da occhi altrui che ne avrebbero compromesso le azioni, quel guardiano compiva un rito del tutto speciale: ogni volta sceglieva un'opera distinta, la più bella, la più originale, la più elaborata, e la sostituiva con un falso praticamente identico. Era abile, a farsi trovare falsi d'autore tra i tanti mercati neri che conosceva, attraverso conoscenze ed amicizie che già gli avevano aiutato a trovare quel lavoro, tramite altre conoscenze ed altre amicizie, mantenendo cautamente il segreto senza però evitare poi di vantarsi continuamente di quelle opere, del museo, come se tutto fosse ancora originale e invece con il tempo non lo era più. Non lo era più ma il mondo non lo sapeva e continuava a morire d'invidia, per non possedere quelle opere così preziose, quel museo così importante, doveva essere un mondo bruttissimo fuori, anche se dentro, di quelle opere così preziose, non rimanevano che copie, imitazioni, con il tempo il valore di quelle collezioni pregiate si sarebbe ridotto a zero, mentre altrove nuove opere e nuove correnti artistiche avrebbero arricchito altri musei, lì fuori nel mondo lontano, quello degli altri, ma più ripeteva le solite lodi più si dimenticava del suo operato e si convinceva lui stesso dell'alto valore ancora presente, intatto. E ogni notte, mentre il mondo continuava a morire d'invidia, quel guardiano cautamente rimpiazzava un quadro famoso con un falso, scappava poi lesto in bagno con l'originale ed iniziava morbosamente a farlo a pezzi eppoi a mangiarlo, con morsi selvaggi e continui, deglutirlo a singhiozzi ma con piacere, trasformando tutta quella bellezza antica in rigurgiti profondi e sonori, ultime grida di un patrimonio che scompariva, tra mascelle rigonfie e riflussi gastroesofagei.

Così, mentre altrove e nei dintorni s'invidiava e si lodava quell'eredità unica e preziosa, ma si lavorava nel frattempo anche a creare altre esposizioni, altre opere mirabili, in quel museo si distruggeva ricchezza, per sempre, quel guardiano convertiva un passato oramai già consumato in un presente desolato di falsità e rutti.