Gli astronauti ce l'hanno piccolo

Che quando sognavi d'andare sulla luna magari per vedere l'altra faccia, quella timida e misteriosa che non si mostra a noi comuni mortali, non pensavi certo alla gravità, quella forza che ti mantiene fermo al letto mentre dormi e non ti lascia volare come vorresti. E leggendo un'intervista a tale Mary Roach, autrice di tale libro Packing for Mars, capisci che il lavoro d'astronauta non dev'essere molto stimolante se, per esempio, tale Chris Hadfield, primo canadese a volare nello spazio, in 6 anni di lavoro (tra training, studi, test e stress) ha passato soltanto 8 giorni nello spazio, il resto magari a sognarlo, non meno che tu nel letto sognatore ma con meno esperienza. A volte però per sognare è meglio non conoscere troppi dettagli.
Perché se t'avessero detto che il corpo funziona in modo totalmente diverso in assenza di gravità, i tuoi sogni di viaggi lunari si sarebbero trasformati in scene di catastrofici ospedali, che senza gravità, per esempio, il sangue si accumula nella parte alta del corpo, lasciando i piedi in gonfi dolori, si perde massa ossea e addirittura la vescica non avvisa più. Già, perché la vescica ha dei sensori per saper quando sia piena, per avvisare, stimolare, comunicare ai piani alti che sarebbe ora d'andare in bagno, spesso anche in fretta. E quei sensori si azionano con il peso dell'urina, che in assenza di gravità scompare, il peso, ma non l'urina, e allora gli astronauti, nei programmi spaziali Geminis e Apollo, dovevano usare qualcosa simile ad un preservativo, un preservativo spaziale, con un tubo di plastica collegato ad una borsetta, dove si accumulava quello che ai sensori scappava. Però alla NASA raccontano che avevano soltanto tre taglie, S, M ed L, ma che nessuno prendeva la taglia S, che magari small non piaceva tanto quando si trattava di indossarlo lì giù, e spesso succedeva che il preservativo spaziale usciva dalla sua posizione e gli astronauti, questi simboli di viaggiatori estremi, eroi d'avventure stellari, ecco se la facevano addosso. E alla NASA raccontano d'aver risolto il problema cambiando semplicemente il nome alle taglie in L, XL ed XXL. Potenza dell'auto-stima interplanetaria. E allora per sognare spesso è meglio non aver troppe conoscenze, che nell'ignoranza almeno passeggi sulla luna, asciutto, continuando a pensare di non avercelo poi tanto piccolo.

I ragazzi sono (poeticamente) in giro

In giro per la bellissima Firenze durante un fine settimana abbastanza intenso,
ecco che c'è arte anche dove non te l'aspetti, grazie al MEP, Movimento per
l'Emancipazione della Poesia. Bravi. Foto scattata qui.

La patria che non è in te

Quando leggo certe storie, ecco mi domando sempre quale sia più importante: la patria che hai in testa, semmai ce ne fosse una, o quella francobollata su qualche foglio o magnetizzata in qualche carta. E finisce che c'è sempre qualcuno che si divide, su qualcosa che non c'è, che si evolve, che si sente o che ci inducono ad amare, da piccoli, come le religioni, come quei luoghi comuni antichi ma sbagliati. E non basta la propria determinazione o l'autocoscienza delle cose, perché poi se non ce l'hai burocraticamente parlando, finisce che ti mandano via, che se per qualcuno sei solo straniero, un immigrato perché nato altrove, per altri sei addirittura clandestino, di che patria sei non importa. Gramsci diceva che "i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassate", ma a noi certi sorpassi proprio non ci piacciono, spesso stiamo troppo bene incastonati in qualche idee secolare mascherata da tradizione e convenienza. E così finiamo col create figure non mitologiche ma reali, l'eroe clandestino, il fratello bastardo o il vicino extracomunitario, tutto perché quel bivio, la patria, si mischia con amministrazione e confini, leggi e stereotipi, che se non è in te non importa, son gli altri che applicano, che non dimenticano, che te lo ricordano, come una pirandelliana patria per gli altri e, poi all'improvviso, ti espellono, caro eroe clandestino.

La matematica del tuo nuovo cellulare

Poi ti trovi di fronte un video così, crudo, lontano e tagliente, di mondi altrimenti sconosciuti eppure connessi in maniera così invisibile ma necessaria, di scene a cui non penseresti mai e a cui probabilmente non crederesti, se qualche ragazzo per strada cercasse di farne tua l'attenzione distribuendo volantini e coscienza; e ti ritrovi circondato da tecnologia, c'è il televisore nuovo ultrapiatto al centro della stanza, c'è il portatile e l'i-coso, la fotocamera e il lettore mp3, per ascoltare, vedere, stupire, confrontare, per quell'appagamento dell'acquisto alla moda o l'acquisizione dell'ennesimo simbolo, primizie sempre in offerta nel grande mercato digitale del progresso tecnologico che ha prodotto senza freni per anni tra l'incoscienza e l'indifferenza dell'impatto delle sue macine meccaniche.
E gran parte di quello che si cambia, di quello che già non piace, che già non appaga e quindi si butta, magari finisce lì, lontano dagli occhi occidentali, in mondi alieni dove bambini lavorano con rifiuti elettronici e mentre bruciano metalli e plastiche, composti chimici altamente tossici ne inibiscono lo sviluppo del sistema nervoso, riproduttivo e parti del cervello. Bell'equazione: tu getti via un cellulare perché già non sai che farne e un bambino si ritrova a non poter più percepire alcune emozioni. Però quel bambino è lontano, lontanissimo, non lo conosci, neanche immagineresti una conseguenza del genere né mai vorresti che qualcosa del genere accadesse. Adesso che però lo sai, senza moralismi sterili o commozioni temporanee, rimarrai comunque lontano, lontanissimo, continuerai a non volere conseguenze del genere, ma tra qualche mese sarai quasi obbligato a cambiare lavatrice per un guasto (magari programmato), a comprare un altro portatile per necessità, un altro lettore mp3 per aumentarne la capacità, e anche non volendo quell'equazione rimarrà invariata. Bisognerebbe proprio cambiarla, questa maledetta matematica.

Questo pomeriggio a Bruxelles...

Cariche e gas lacrimogeni per una manifestazione degli indignados contro i
prossimi tagli previsti per la manovra Euro-plus. Foto presa da Le Soir, qui.
Altre foto qui.

Lamento estivo dell'emigrante sfasato

E tu, Bruxelles, che con questa pioggia quasi mi fai dimenticare l'estate, mentre altrove già c'è sale sulla pelle e un sole d'accumulare impazienti in colori artificiali (da sfoggiare felici poi la sera), sei lì a raccogliere lamenti perché quelle nubi nere non rispettano il calendario dell'emigrante sfasato, che con la testa ricorda un giugno d'estate e non piove, no, non piove lì da dove si è partiti, sai? Ma non importa, lascia fare, che di lamenti ce ne sarebbero anche per il troppo calore, quando il sudore costringe a rifugiarsi in un gelato e non c'è vento a smuovere un pensiero, perché magari l'afa annulla anche lui, lui che adesso qui vorrebbe estate e non la pioggia, che ti costa accontentarlo? Lascia passare quelle nubi e lasciati fotografare d'azzurro e luce, che anche il turista non porti con sé questo grigiore e ricordi uggiosi, che d'accordo il nord, van bene statistiche e previsioni, ma perché non un fine settimana di giugno vestita brillante e serena? Immagina quanta gente a popolare i tuoi parchi e i bambini e i cani, immagina quanti sorrisi in bici e gli affreschi d'art nouveau riflessi lontani, quanto rumore nelle tue terrazze, mercati, piazze e boccali: immagina adesso che immagino anch'io senza metter le ali, prendo l'ombrello ed esco in attesa del prossimo umore, che sia di pioggia o di sole non importa, dicono sia estate altrove e lo sarà anche qui, a singhiozzi ma senza esagerare, con umiltà e la mattina da interpretare, stai tranquilla che non vado via, restiamo allegri insieme e senza monotonia, in qualche tuo vicolo stasera troverò inatteso un punto esclamativo e sarà d'improvviso, lo so, qualcosa d'estivo, come il sole che regalerai domani.

Dejà vu europei

Spirus è un ragazzo greco che sta cercando lavoro a Bruxelles, ha vissuto 12 anni ad Atene, dice, tra università e lavoro, per poi trasferirsi nell'isola di Paros, 12.000 persone e tanta tranquillità. Quando gli domandano della crisi greca abbassa gli occhi, come a cercare qualche parola sul pavimento, come a decifrare il nodo scomodo dei lacci delle scarpe, e le parole, quelle che trova, indossano svelte un manto d'amarezza, che c'è poco da sorridere anche se si stava degustando una birra belga, che magari scende più rapida, per mandare giù quel nodo che dalle scarpe è salito in gola. Quando invece gli racconti, per cambiare argomento ma non troppo, che in quattro anni all'estero ne hai incontrati di ragazzi stranieri, ma greci davvero pochi e gli chiedi dove cavolo siano, se emigrino come gli altri, vista la crisi (e qui ti accorgi che l'argomento non l'avevi cambiato poi tanto), lui ti risponde sorridendo che in Grecia sono appena 10 milioni e tu ti (ri)scopri ignorante, poi però pensi che in Irlanda sono appena 5 ma son ovunque, gli irlandesi, e allora Spirus sorride di nuovo, meno male, e dice che loro, i greci, amano stare tra loro e magari non si mescolano tanto come gli altri. La prendi come una sua teoria, magari il tempo la confermerà, magari no.
Eppoi gli domandano di Atene, dove ha vissuto tanto tempo, troppo per lui, che già ne aveva abbastanza, la descrive come sporca, disorganizzata, con la gente non amichevole, brusca, dove l'Acropolis e le rovine di una civiltà antica e imponente sono solo ricordi che attirano i turisti ma che non si rispecchiano nella città di oggi. Ed ecco di nuovo l'amarezza che gli torna in gola, con i lacci delle scarpe oramai sciolti e il boccale di birra vuoto, anche se poi aggiunge che per quanto possa essere così negativo su Atene, è sicuro che col tempo la gente se ne innamora, succede così, dice. E allora all'improvviso hai come un dejà vu: ti stanno raccontando che una città una volta culla di splendore e conoscenza e ricca d'arte ed opere che nessun altro al mondo può vantare, adesso appare sporca, disorganizzata e con la gente cafona, ma che poi uno finisce che se ne innamora. Ma dov'è che l'hai già sentita questa storia?

Le scimmie, la matematica e il Belgio

Quando al liceo il prof di matematica ci consegnava i fogli per il compito in classe, quello sempre difficile, c'era sempre chi chiedeva quanto tempo ci fosse concesso, anche se si sapeva, anche se era sempre lo stesso, ma al prof piaceva ripeterlo, con un'espressione quasi di soddisfazione, e lo ripeteva, mai stanco. Però poi c'era sempre qualcuno che chiedeva quella mezzora in più, addirittura quell'ora in più, perché era difficile, perché gli integrali o le serie o i limiti e l'infinito, ma il tempo, quello lì, non poteva andare all'infinito e il prof lo sapeva bene (lo sapevamo bene anche noi, ma a ognuno la sua parte da recitare) e puntualmente risuonava quella sua frase "anche una scimmia riuscirebbe a passare questo compito di matematica, se avesse tutta l'eternità per farlo, la vostra bravura (e la vostra distinzione dalla scimmia) sta anche nel finirlo in 2 ore". E se poi qualcuno proprio non ci credeva, via con la storiella che all'infinito una scimmia potrebbe scrivere la Divina Commedia (e tutti i testi in tutte le lingue del mondo, incluso questo post) soltanto battendo a caso lettere su una tastiera. Il fascino del caso, che poi è un anagramma di caos, ma è solo un caso.
E un anno fa i belgi furono chiamati al voto, perché cadde il governo per la terza crisi di governo in tre anni, e ci furono vincitori e sconfitti e il re, quel povero re che oramai non sa più che fare (o quale nome inventarsi per i mediatori) diede un compito a quella classe politica, di formare il nuovo governo, dopo che il popolo aveva deciso le coalizioni maggiori, un compito non facile, per carità, ma dovrebbero saperlo anche loro, che all'infinito anche una scimmia sarebbe capace di formare un governo, anche in Belgio.
Foto di un anno fa del Metro, la scattai senza rendermi conto che a un anno
di distanza sarebbe stata ancora attuale, pensa te.

Referendumonio

Insomma c'è chi non vuole andar a votare e c'è chi si batte per trascinarne di altri, ai seggi, in un nome del raggiungimento di un quorum che in realtà non è mai avvenuto negli ultimi referendum, tant'è che pur di raggiungerlo si pensa subito anche di annullare il voto degli italiani all'estero, per l'ennesimo pasticcio italico, dopo che la Cassazione ha cambiato il testo della domanda sul nucleare e allora non si sa che fare, con quegli altri italiani all'estero, quelli lontani, quelli che si indignano, quelli a cui non importa in fondo o semplicemente quelli che vogliono votare perché torneranno quest'anno, no, l'anno prossimo, no, l'altro, forse. Chi non vuole andare si rifiuta perché il referendum, come concetto, non ha senso, visto che poi cambiando qualche virgola loro, i politici, ripresenteranno il loro volere immutato, perché funziona così, è tutta apparenza e finzione, il cittadino soddisfatto del proprio contributo al cambiamento e il politico soddisfatto di avergli dato quella fittizia, temporanea, sterile soddisfazione; o si rifiuta perché disincantato da ogni forma di cambiamento, perché non andando a votare manifesta (in che modo?) il proprio sdegno e lancia (o crede di lanciare) un segnale ben chiaro, ma in realtà lascia decidere agli altri, i politici, s'intende. C'è chi invece vuole ad ogni costo votare e lo fa in preda a mille interpretazioni e propagande, che il referendum è contro il governo, che il referendum è per l'acqua pubblica, che il referendum è per un mondo migliore senza nucleare e tante altre semplificazioni errate ma convincenti, o semplicemente per raggiungere il quorum, che è come una lotta di tutti contro i pochi del potere. Eppoi ci son quelli che si dibattono sul quorum: il quorum è un concetto democratico perché permette solo alla maggioranza di poter cambiare qualcosa, il quorum è un concetto antidemocratico perché permette a chi si disinteressa delle sorti del paese di influenzare o addirittura decidere lo stato delle cose. Eppoi c'è chi vede il referendum come un'occasione per lanciare un messaggio, manifestare la propria voglia di cambiare e sottolineare (si spera) la presenza di massa nella vita politica del paese, per dar un senso ai lamenti quotidiani e un domani poter dire d'averci provato, almeno, ed essere andato in quella cabina elettorale anziché al mare, in vacanza o attaccato ad un'ideologia politica di destra pensando di difendere un governo che ha fregato un intero paese, dicono.
C'è da perderci la testa, insomma, ma si spera non il buon senso, che chi abbia davvero voglia di cambiare non si fermi a un semplice referendum ma dimostri la medesima volontà anche altrove, di fronte ad altri quesiti o in quei pochi spiccioli di potere che la democrazia lascia al popolo, sovrano forse della propria pensione, un giorno, magari incanalando le risate settimanali per le battute di Crozza in uno spunto per la rivoluzione, non di sangue ma costanza e coerenza, che quella manca spesso, tanto.

Eureka!

E insomma volli, fortissimamente volli e dopo 7 telefonate tra consolato e Italia
alla fine a meno di 48 ore dall'ora limite ho finalmente ricevuto il famoso plico,
che uno poi pensa sia una cosa facile e invece no, certe cose bisogna volerle.

Giro giro tondo

Dunque, c'è una rotonda a Bruxelles, si chiama Barrière de St. Gilles, che per entrarci c'è un semaforo (e lo so che già sembra strano, che forse le rotonde eran nate come alternative ai semafori, ma c'è pur sempre un'eccezione) e nella rotonda ci passa un tram, che in Belgio ha la precedenza su tutto e su tutti, e in più, siccome siamo in Belgio, appunto, c'è la precedenza a destra, sempre e comunque. E allora, facendo molto attenzione, dopo aver atteso il semaforo verde, entri nella rotonda dando precedenza al tram, se c'è, che il tram taglia la rotonda, non ci gira mica attorno come dovresti far te, e non è nemmeno sincronizzato con il rosso del tuo semaforo, sarebbe troppo facile, e poi non dimenticare di dar la precedenza a destra, nella rotonda, che qui la pretendono più del sole a ferragosto. E finisce che non ti muovi, sei in una rotonda ma in realtà ti stanno prendendo in giro, ti suonano appena ti fermi e non puoi entrare in panico, devi essere veloce e non sbagliare, ci vuole un doppio passo alla Ronaldo e forse qualcosa di più.
E il Belgio è tutto lì, riassunto magicamente in pochi metri quadrati e, quando anche pensi d'aver visto il peggio dell'ingegno sterile e della complessità satanica, ecco che succede anche di più. Forse aveva ragione la prof di francese, siamo nel paese del surrealismo...
In Belgio dicono sia una rotonda, ma dicono anche sia una nazione, il Belgio, ecco.
Foto scattata qui.

Volere votare

Due giugno, festa della Repubblica, tu iscritto regolarmente all'AIRE (anagrafe italiani residenti all'estero) ancora non hai ricevuto il plico per il prossimo referendum, leggi che se non ricevuto entro il 29 maggio bisogna andare a prelevarlo direttamente, allora ti prepari ad andare al consolato, prima però pensi bene di chiamare:
voce (robotica ma gentile): "Consolato d'Italia a Bruxelles... per italiano premere 1, per francese premere... per anagrafe e elettorato premere 3... "
tu: "... la la la... Salve.. plico.. iscritto.. da 3 mesi... referendum... votare, tanto... "
signore: "Bene... i suoi dati?... Bene... bene... Ah, ecco... ci manca il nulla osta del suo precedente comune di residenza... Non può votare fin tanto che non lo riceviamo... "

Allora oggi chiami al comune dove vivevi in Italia:
tu: "Salve... ah signora! Come sta?... bene... Bruxelles... votare, tanto... plico... niente... nulla osta... bisogno... "
signora: "Sì, qui risulti regolarmente inscritto all'AIRE... è tutto ok per noi... che dicono al consolato?... qui è tutto ok... se vieni in Italia non puoi votare al momento, sei nell'altro elenco... non puoi votare... "

Allora richiami al consolato italiano a Bruxelles:
voce (robotica e ripetitiva): "Benvenuti al consolato ita... italiano premere 1... elettorato premere 3... "
tu: "Salve, chiamo per avere informazioni.. sì, sono il ragazzo di ieri, come sta? Tutto bene?... comune... tutto ok... come mai... votare... "
signore: "Bene... bene... no... qui manca la dichiarazione per aggiungerla all'elenco aggiunto... nulla osta... non può votare... "

Allora richiami al comune dove vivevi in Italia:
tu: "Salve.. sì, signora, di nuovo io... no... nulla osta... bisogno... votare... "
signora: "Bene.. bene... no... manca richiesta, il consolato non ha inviato nessuna richiesta, per questo non abbiamo inviato nessun nulla osta... qui non puoi votare.. "

Allora richiami al consolato italiano a Bruxelles:
voce (robotica e stancante): "Benvenuti... premere 1... premere 3... "
tu: "Salve, sì, son sempre io... comune... tutto ok... attendono richiesta.. mai arrivata... bisogno.. votare.. "
signore: "Capisco... va bene... facciamo così... di solito mandano loro direttamente... inviamo allora... poi ti chiamiamo noi... se... altrimenti non puoi votare"

E il plico, che doveva arrivare entro il 29, che non hai ricevuto, che non puoi avere al momento, deve essere rispedito al consolato entro il 9 giugno, altrimenti il voto non è valido. E non puoi neanche tornare in Italia soltanto per votare perché al momento sei nel limbo di chi dovrebbe votare all'estero ma non può e tu volere, bisogno, votare. Incrociare, dita.

Ciao Rino

Chissà come l'avresti raccontata tu, quest'Italia sempre piena di problemi, di ferite antiche mai ben chiarite e di nuove, impreviste, che fanno di quell'Aida una donna bella ma dannata, che sfoglia i suoi ricordi, le sue istantanee, i suoi tabù, le sue madonne, i suoi rosari e mille mari, senza trovare quello spunto per la rivoluzione che tanto cercavi, nella tua dannata periferia, magari proprio negli occhi di chi parte e ne parton tanti oggi, sai? Avevi 30 anni quando t'hanno ammazzato, 30 anni fa, ne avresti fatti 31 qualche mese dopo ma non ci fu il tempo, se non quello di una scia sull'asfalto e poi quella danza assurda in cerca di un ospedale che ti accogliesse, di quei 5 rifiuti assassini che nella mente semmai cosciente ti ricordavano la tua ballata di Renzo, in quell'ambulanza ti sarai sentito solo, che escluso il cane tutti gli altri son cattivi - lo sapevi bene - pressoché poco disponibili, miscredenti ed ortodossi, di aforismi perduti nel nulla. Non rimane che gente assurda.

L'avevi letto Froid? Tuo fratello avrebbe detto che non importa, avresti vissuto comunque 100 anni, in realtà ti dirò, hai fatto di più, che per me sei già immortale e io a volte che t'ascolto, che stupido, quasi mi sento più solo sapendo che 30 anni fa t'hanno ammazzato così, per fortuna ci hai lasciato la tua voce e tutto il genio della tua libertà, che poi anche a me piace il sud, ma come fare non so, semmai qualcuno capirà, sarà senz'altro un altro come me - dicevi - e io ci penso spesso, senza sentirmi speciale, per carità, che poi uno si perde nell'inutilità irreversibile del tempo che non si ha il tempo di vedere la mamma e si è già nati e i minuti rincorrersi senza convivenza, ma tu forse non essenzialmente tu avresti raccontato il mondo intero, che le cose poi non sembrano cambiate, che ancora si lotta per l'oro nero, chi spende e chi spande, che ancora c'è chi fila lana e amianto e c'è l'operaio della Fiat e il tuo lavoro ti incatena che curva a poco a poco la tua schiena, la catena è assai veloce e non solo a Torino, c'è chi vive in baracca e chi suda il salario, chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria, chi tira la bomba, chi nasconde la mano e beati sono i ricchi perché hanno il mondo in mano, beati i potenti e i vecchi, beata la frontiera anche se poi c'è anche chi come te cerca una bandiera diversa, senza sangue e sempre tersa ma io con la mia guerra voglio andare ancora avanti e mi accorgo che son solo ma in fondo è bella però la mia guerra e io ci sto, dicevi, e t'hanno ammazzato così, a pochi giorni dal matrimonio, che sia stata la rosa che hai incontrato e perciò questa vita più valore non ha o soltanto la danza degli ospedali questo non lo so, sei rimasto l'ennesimo mistero italiano, tu che ne cantavi già tanti nei tuoi nonsense che solo gli imbecilli come Boncompagni potevano denigrare, spero soltanto che se sognavi una stella ed un veliero che ti portino su isole dal cielo più vero, adesso sia sereno intorno a te, magari in quel mondo diverso, con stelle al neon e un poco d'universo, però ecco supponiamo un mattino, tu ti alzi e torni qui, io non dico niente a nessuno, ce ne stiamo in un angolo ad ascoltare una tua canzone, di come sfiorivano le rose mentre l'estate che veniva con le nuvole rigonfie di speranze o di come lei si masturbava mentre la notte scendeva stellata stellata, e poi vai via però, a far compagnia ad altri con la tua voce e le parole, anzi adesso ne diffondiamo un po', che io quasi te lo canterei e tu non torni più da me, perché non torni più da me? Ciao Rino.