Ma è stata una bella estate, forse

Ah, i numeri. Quest'estate si son contati ufficialmente 60 giorni di pioggia in Belgio, sessanta, che sono due mesi di fila a volerli pensare in fila, o sono 4 mesi di pioggia a giorni alternati, d'estate, che insomma fanno tanta pioggia alla fine, a volerla contare, goccia a goccia, però l'istituto meteorologico reale, qui in Belgio, ha detto che non è stata un'estate particolarmente brutta e che loro hanno avuto di peggio, che per esempio nel 1860 ne ebbero 68, di giorni di pioggia, in estate. Nel 1860. D'estate. E la differenza tra la peggior estate di sempre, tra il record negativo assoluto ed una non-particolarmente-brutta estate è tutta in 8 giorni, di pioggia, d'estate. Per fortuna abbiamo ancora una ventina di giorni prima che l'estate termini ufficialmente: ce la possiamo fare.

Ma quanti evasori all'estero

Sei partito per l'estero con una valigia piena di speranze, incertezze e voglia di fare e hai iniziato a lavorare altrove? E hai iniziato a guadagnare, magari con qualche progetto di ritorno anche se poi ma non si sa dopo vedremo adesso non ci penso? E magari hai iniziato a lavorare a metà anno, magari a settembre? E tra trovare casa, trovare lavoro, lingua nuova, città nuova, reti sociali nuove, il pub, la scuola di lingue, l'ufficio e tanto altro, hai mai pensato per un attimo al fisco italiano? Sì, fisco, proprio lui. No? Allora probabilmente sei un evasore o lo sei stato. Ma, tranquillo: non sei solo e non è facile capirlo. Qui ci proviamo, ringraziando Francesco (da Bruxelles) e Simone (in partenza per Londra) per chiarimenti, correzioni e revisioni delle informazioni.

Già, perché per gli italiani all'estero non iscritti all'AIRE (e nel primo anno quasi nessuno lo è, anche perché l'AIRE non accetta consiglia iscrizioni per periodi maggiori all'anno almeno durante il primo anno) che abbiano lavorato in un paese straniero meno di 183 giorni durante il primo anno dovrebbero sempre pensare al fisco italiano e non solo loro. Anche per gli inscritti all'AIRE, bisogna guardare ai propri interessi mantenuti nel territorio nazionale e addirittura si parla non solo di proprietà, attività o statuti, ma anche delle presenza fisica dei familiari (sì, lo so, sembra assurdo) o di un conto in banca e l'uso di una carta di credito.
Il problema nasce dalla differenza tra domicilio fiscale e residenza fiscale, anche se affinché il soggetto venga riconosciuto fiscalmente residente in Italia, sarà sufficiente dimostrare anche soltanto la sussistenza in Italia del suo domicilio civilistico (cioè non iscritti all'AIRE, come una gran maggior parte degli italiani all'estero, nei primi anni ma anche oltre). E il proprio legame con l'Italia deve intendersi comprensivo non solo dei rapporti di natura patrimoniale ed economica, ma anche (e soprattutto) di quelli morali, familiari e sociali. La residenza fiscale in Italia si concretizza qualora la famiglia dell'interessato abbia mantenuto la dimora in Italia o comunque nel caso in cui emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato ha lì mantenuto il centro dei suoi affari ed interessi. Sorpresi? Dovreste pagare le tasse soltanto in Italia qualora si verificassero almeno una delle contemporaneamente tre condizioni all'estero: 1) il lavoratore residente in Italia presta la sua attività altrove per meno di 183 giorni; 2) le remunerazioni sono pagate da un datore di lavoro residente in Italia; 3) l'onere non è sostenuto da una stabile organizzazione o base fissa che il datore di lavoro ha nel paese straniero. Va bene, non capita spesso. Nel momento in cui tali condizioni non si verifichino, entrano in vigore le varie convenzioni (qui quella ancora in vigore tra Belgio ed Italia, per esempio) tra stato straniero ed Italia, per evitare le doppie tassazioni, stabilendo talvolta che i redditi di lavoro dipendente percepiti debbano essere assoggettati a tassazione sia in Italia sia nel paese straniero (sì, in entrambi). E se il lavoratore all'estero non è iscritto all'AIRE (quindi residente in Italia) ma è: I) impiegato per un periodo superiore ai 183 giorni annui, II) impiegato da una azienda straniera III) l'onere non sia sostituito da una stabile organizzazione o base fissa che il datore di lavoro ha nel paese straniero; ecco, l'imposizione fiscale sarà per la maggior parte esclusiva del paese sede del posto di lavoro, ma non è ancora sufficiente: gli stessi redditi dovrebbero (ma occhio alle convenzioni) essere comunicati all'Agenzia delle Entrate che applicherà, dove ritenuto il caso, l'imposizione rimanente. Supponendo che il lavoratore all'estero abbia già corrisposto il 30%, dovrà, se opportuno, pagare al fisco italiano il restante 10%. Questione di aliquote.

Ovviamente dichiarazione non significa tributo, probabilmente una dichiarazione non obbligherebbe a pagare nulla al fisco italiano, ma lascia ad ogni modo aperta la possibilità del dubbio, dove appunto si cela l'evasione. Inoltre, per redditi minori a 7.500 euro, il fisco italiano non richiede nessuna dichiarazione, ovviamente bisogna calcolare nel caso dei 183 giorni se tra lavoro in Italia e lavoro estero si sia superato il limite. Quindi, riassumendo, per i non iscritti all'AIRE, bisognerebbe dichiarare solo in Italia lavorando per meno di 183 giorni (e le altre condizioni di sopra), altrimenti bisognerebbe dichiarare (che non significa necessariamente pagare) le tasse nei due paesi (Italia e paese straniero), con un occhio alle convenzioni tra di due stati, che spesso rendono opzionale la dichiarazione nel paese natio; per gli iscritti all'AIRE invece, le tasse bisognerebbe pagarle soltanto nel paese straniero lavorando per più di 183 giorni (con datore di lavoro estero e stabile organizzazione all'estero), altrimenti ancora in Italia. Se in Italia avete lasciato una macchina a vostro nome o ancor peggio possedete proprietà, a quel punto dichiarare i vostri introiti esteri diventa un obbligo che, se volete, potete ignorare, ma ne saprete di più un giorno magari, al vostro rientro definitivo o alla richiesta di pensione o anche prima, visto che il fisco può applicare presunzioni sulle vostre connessioni con l'Italia e aprire un fascicolo.

Esempio facile: hai iniziato a lavorare a novembre a Dublino, hai un conto corrente in Italia e trasferisci denaro dall'Irlanda su quel conto. Ovviamente hai lavorato meno di 183 giorni in quell'anno e poi non hai dichiarato nulla in Italia, perché giustamente vivevi a Dublino, avevi lavoro a Dublino e pagavi le tassi a Dublino. Ecco, potresti essere un evasore (e come te migliaia) se nello stesso anno hai lavorato anche in Italia e la somma dei due redditi supera la quota dei 7.500.
Altro esempio: non siete iscritti all'AIRE, in Italia avete ancora un'auto, lavorate per più di 183 giorni in un paese straniero, dove pagate regolarmente le tasse, ma non dichiarate nulla in Italia. Ecco, magari non dovreste pagare nulla al fisco italiano, ma non avendo dichiarato nulla potreste essere già in difetto, la risposta bisognerà trovarla nelle convenzioni tra i due stati.

Morale della favola, è bene sapere che il cordone ombelicale non si taglia soltanto con una valigia ed un volo low cost ed i confini fiscali hanno disegni ben diversi da quelli naturali, linguistici o soltanto immaginati, purtroppo. Ovviamente, se avete esperienze a riguardo siete i benvenuti nei commenti, perché a quanto pare anche gli addetti ai lavori hanno pareri distinti e spesso contraddittori.

Tanti ricordi

Dice il Corriere che per le monete da uno e due centesimi "in Belgio la loro circolazione 
è di fatto un ricordo, seppure senza una decisione formale" (Non è vero). E io che le colleziono da
due anni oramai, che ne sapevo io, che collezionavo ricordi, che me le ritrovo in tasca ogni giorno,
e sono prodotte qui, basta guardare la faccina del re Alberto su ogni moneta, ogni ricordo,
che uno poi non vuole fare il pignolo, che ci sono cose più importanti da rettificare, però i ricordi in
tasca proprio non li volevo, che poi metti che ne perdi una e perdi un ricordo, mica poco.

Ah, il mar del nord...

Sabato ci siam tuffati in un mare che vanta bandiera blu e natura, in Olanda, peccato che poi
a meno di un km dalla costa sia passata un'enorme nave da carico, così, con disinvoltura.
Foto scattata qui.


C'è un bambino che grida

C'è un bambino che grida, ma grida come se avesse visto il diavolo, grida con gli occhi chiusi di chi non riesce a trattenere un dolore che dentro lacera, ma da far male davvero, e dietro di lui un altro e poi gente che esce da una porta, venerdì sera a pochi passi dall'uscita della metro di Parvis de St. Gilles, qui a Bruxelles, e c'è subito chi si affaccia dai balconi, dalle finestre, chi esce fuori, per la strada, a cercare di capire i perché, anche se loro, i perché, non son mai facili da risolvere, soprattutto quelli improvvisi. Eppoi c'è una rissa, davanti ad una porta, escono due donne, un ragazzo addosso ad un uomo e a pochi metri, lì, quel bambino che grida ancora, senza sosta, quasi fosse una sirena, a richiamare tutto il quartiere. E mentre c'è già chi per strada chiama la polizia per segnalare quel caos, noi ci avviciniamo proprio a quei bambini, con una mano dietro la schiena a cercare di calmare grida e panico, a cercare di fermare quelle urla in un respiro, profondo, bravo, così, un altro ancora, tranquillo.
Intanto c'è chi ferma la rissa o almeno ci prova, c'è chi rientra in quella porta e le donne fuori a piangere, due, con il velo, ferme sugli scalini della porta affianco, c'è chi ferma l'auto in mezzo alla strada per correre a cercare i suoi perché, c'è una donna con un bambino tra le braccia che esce a capire di cosa si trattasse e lui, il bambino tra le braccia, guarda tutti con due occhioni curiosi e chissà quale semplificazione nella sua testa ricciuta; eppoi c'è un'altra signora, con il velo, che si avvicina, cerca anche lei di calmare i bambini. E allora tra una voce, una spiegazione alla persona a lato e un'altra dei bambini balbettanti si capisce che un uomo aveva picchiato la moglie, aveva rotto un tavolo e anche un muro - racconta uno dei bimbi, che lo chiama ripetutamente codardo, codardo, codardo - ma che adesso tentava invano di riordinare la casa prima dell'arrivo della polizia, che arriva dopo più di mezz'ora dalla chiamata, in borghese, con le radioline e l'aria da film poliziesco.
A quel punto l'ordine sembra richiamare gli spettatori e ognuno lentamente abbandonare la scena ed i propri perché irrisolti, anche noi andiamo via, non prima d'aver domandato a quella donna col velo se fosse qualcosa d'insolito o d'abituale, è la prima volta  - ci dice - conosco la famiglia, sempre tranquilla. Eppoi quella donna col velo, quella che qualcuno a vedere l'avrebbe associata a mancanza di diritti umani, a soprusi, sottomissioni, a religioni fanatiche o addirittura a terrorismo, quella che da noi la Santanché avrebbe provato a toglierle il velo perché lei, del governo, donna libera, gridava al cambiamento, ecco quella donna lì, con il velo, minuta, gentile, ci lascia con un deve denunciarlo, anche se chiede scusa, le consiglierò di denunciarlo ugualmente, che io potrei fare una lista di donne, senza velo, che una cosa del genere non l'avrebbero mai detta. E ci lascia con un sorriso, un saluto cortese, anche se mi sarei fermato volentieri a parlarci, ma con tante domande, forse troppe, decisamente.

Italiani a Bruxelles

Anselmo è a Bruxelles da qualche anno, ci è arrivato per caso e si contano più le volte in cui ha detto lavoro a Bruxelles che vivo a Bruxelles. Lavora presso la Commissione Europea ed in ufficio parla soltanto inglese, l'inglese in realtà non l'ha mai studiato ma alla fine riesce a comunicare e va avanti così, spesso traducendolo dall'italiano, qualche volta inventandosi un'espressione, un verbo, un aggettivo. Anselmo non parla francese e finora è riuscito a vivere a Bruxelles grazie al suo inglese. Il mese prossimo si iscriverà ad un corso serale di francese, dice, da circa un anno. Quando l'impiegato del comune o il commesso della farmacia gli rispondono in francese perché non conoscono l'inglese, Anselmo quasi si innervosisce lamentandosene poi con un amico o un collega, che è assurdo che non parlino inglese, lì a Bruxelles, in Belgio. Anselmo è felice a Bruxelles.

Bertoldo è arrivato a Bruxelles grazie ad una telefonata, aveva inviato il cv a qualche sito di recruiters dall'Italia. Oramai sono anni che Bertoldo è a Bruxelles, parla francese, inglese e riesce anche a dire buongiorno e buonasera in olandese, con il sorriso, felice di dimostrare lo sforzo. Si trova benissimo in città, ma durante gli anni ha sviluppato un certo sentimento di intolleranza verso i propri connazionali, ogni volta che ascolta qualche italiano nella metro, per strada, in un negozio, non riesce a non percepire i loro difetti, sottolineandone ogni negatività, anche la più innocua, magari dovuta soltanto ad una inesperienza o una distrazione. A volte Bertoldo vorrebbe che non ci fossero altri italiani a Bruxelles, vorrebbe essere il solo ad approfittare di quella città, come se gli altri potessero in qualche modo contaminare il suo equilibrio, come se la sua felicità dipendesse dal confronto con gli altri italiani e dalla loro inferiorità, presupposta. Bertoldo è felice a Bruxelles.

Camillo ancora non sa che Bruxelles in italiano si scrive Bruxelles, anche se ci vive da qualche anno, lavora utilizzando un inglese stentato e ha soltanto amici italiani. Il mercoledì va a Place du Chatelain, il giovedì a Place du Luxembourg e il Venerdì all'aperitivo alla Piola Libri, sempre con amici italiani. A casa ha la televisione in italiano, riesce ancora a vedere il tg1 e la domenica segue il campionato come d'abitudine. Grazie ai voli Ryanair riesce a rientrare in Italia spesso e a bassi costi, ricordando ai colleghi in uffici che tempo magnifico c'era di là e di che pranzi squisiti si è riempito lo stomaco. Il fine settimana compra La Gazzetta in edicola, va al cinema a vedere film in italiano e non manca ai vari eventi organizzati da associazioni culturali italiane. In realtà vive ancora in Italia, ma non lo sa, però quando in Italia qualcuno gli domanda dove viva, lui risponde a Bruxelles provando quasi una sensazione simile a un 14enne che dice ce l'ho più grande io. Camillo è felice a Bruxelles.

Demetrio è a Bruxelles da due anni, era arrivato per uno stage di 6 mesi e alla fine ci è rimasto. Esce tutti i fine settimana, con amici e colleghi di ogni nazionalità, è innamorato della diversità culturale della città, ma soltanto di quella occidentale. Quando arrivano amici dall'Italia a visitarlo, vanno sempre e soltanto alla Grand Place, all'Atomium e al Parc du Cinquantenaire. Qualcuno gli ha detto una volta che vale davvero la pena andare al museo di Magritte e ci andrà il prossimo weekend, dice, da circa un anno. Quando gli domandano della crisi politica belga, risponde che per lui è assurdo che francesi e olandesi vivano insieme in un pezzo di terra poco più grande della Lombardia. Quando gli chiedono un piatto tipico belga ci pensa un po' e risponde ridendo cozze e patatine fritte, anche se poi se lo mangiano solo i turisti. Demetrio è felice a Bruxelles.

Di Evaristo, Fedora e Genoveffa non posso parlare per motivi di privacy.

E io sto con te

"Delle mie imposte, al Papa ZERO", da un balcone del centro di Madrid, sabato sera,
durante l'immancabile festa della Paloma, qualcuno protestava contro le somme assurde
stanziate per la visita del papa in tempi di crisi.


Maledetto sud

Andate a sud, in quel sud d'Italia lontano, attraversando dall'aeroporto a casa un'autostrada abbastanza famosa dove il sorpasso a destra, le distanze di sicurezza insicura e la fretta continua danno l'aspetto di un Far West dove la prepotenza domina su tutto, ma non vi spaventate perché al sud ci sono madonnine ovunque, si vedono agli incroci, nei giardini, nei bar e appese al collo, e infatti la legge più in voga è sempre quella del taglione. Ma voi siete in due e allora vi fate coraggio a vicenda, anche se vi manca uno statuto e infatti quando vi sposate? chiedono in continuazione al sud quasi fosse un obbligo, quando lo potranno far tutti, rispondi e non capiscono e alla fine salta fuori la parità dei diritti, ma quali diritti? dice la ragazza di un amico che non comprende, che non ha senso concedere il diritto di matrimonio a coppie che non sono naturali, ma forse - pensi - voleva dire comuni, e che ci vuole più disciplina che lei non le sopporta, quelle coppie lì, quelli omosessuali. Omofobia, le dici e dice no, eh no, che lei semplicemente ha disgusto a vederle certe cose e ci vuole disciplina, te lo ripete, d-i-s-c-i-p-l-i-n-a, ma magari non avrà pensato che 50 anni fa proprio lì, in quel posto dove vive lei, anche una donna lavoratrice sarebbe stata denigrata, perché non potevano lavorare, non potevano portare i pantaloni, non avevano gli stessi diritti, che ci voleva disciplina, d-i-s-c-i-p-l-i-n-a per le donne, e che a certi semplicemente disgustava l'idea della donna indipendente. A questo non c'avrà pensato e il problema è proprio quello: se pensa. Ma non importa, che al sud la gente ha un cuore grande così e infatti nessuno si ferma per farti attraversare la strada, anche se sei sulle strisce, al più ti schivano, se sei troppo lento.
E al sud hanno paesaggi bellissimi e posti meravigliosi da visitare e infatti di tutti gli amici soltanto uno era stato a Capri o alle rovine di Pompei, a un'ora di trasporti, che le cose belle sono per i turisti, agli altri basta sapere che ci siano e potersene vantare, senza mai averle viste coi propri occhi, che gli occhi possono vedere con le voci degli altri e le voci possono parlare con gli occhi degli altri e io me li immagino questi altri, chi con 8 occhi e chi con 4 bocche. E infatti Bruxelles è bruttissima per loro, per esempio, anche se non ci sono mai stati, sanno già che alla fine non c'è niente da vedere, sicuramente. E ci torni quasi con piacere, a Bruxelles, però mentre mezzo mondo grida al collasso economico e personaggi presunti illustri parlano alle proprie nazioni, al sud sembra non esista crisi, perché quando dici di tornare a Bruxelles, dopo 10 giorni di vacanza, le facce sono sempre sorprese, perché torni a lavorare l'8 agosto, che quel verbo, lavorare, con agosto non fa rima e sembra quasi una bestemmia, piuttosto, per quelle facce che ritrovi davanti allo stesso bar, forse congelate nel tempo, ma con il mano sempre l'ultimo i-coso. Il sud è un mondo a parte - pensi - dove maschilismo, corruzione e falsa morale cattolica si camuffano tra una qualità di vita vantata superiore e tutto è grave ma nulla è urgente, e dove torni, inevitabilmente, perché una panchina non è una panchina, se lì ci sono i tuoi ricordi che passi e ti salutano impazienti e una piazzetta non è una semplice piazzetta, se lì ci sono memorie e amici che passi e ti abbracciano repentini. Eppoi fai il bagno alle 8 di sera in un mare calmissimo in una baia naturale a bandiera blu, con il sole che ti muore alle spalle e qualche pesciolino che ti passa tra i piedi, e ti dimentichi di tutto, maledetto sud, perché anche a te, come diceva Rino, poi mi piace scoprire lontano il mare se il cielo è all'imbrunire seguire la luce di alcune lampare e raggiunta la spiaggia mi piace dormire.
Alla fine ci son andato anche io per la prima volta, a Capri. Sono diventato un turista.
Foto scattata qui.