Muffa

Il freddo che decide d'attaccare l'epidermide scoperta non perde certo tempo a tagliuzzare ed arrossare, dalle orecchie al naso, cercando di vincere la battaglia e imporre la ritirata in un bar, un negozio o casa di qualcuno, ovunque non risponda nebbia ad ogni respiro ed il collo possa lasciare la pressione sulle spalle e tornare a guadagnare centimetri d'altezza. Ovunque è casa sua, questa volta, lui che non si decide a lasciar le lenzuola e vi costringe ad una visita improvvisa quando però c'è tempo e voglia anche per queste cose. In fondo, son vacanze. C'è puzza di muffa qui - esclama uno del gruppo - quando forse sussurrare sarebbe stato più opportuno. Delicati, voi, non lo siete stati mai. C'è puzza di muffa qui e gli si arricciano le narici, s'inarca un sopracciglio e lo sguardo diventa quasi intelligente, ma solo per un attimo. Certi attimi, a vederli, non è facile. Ci hai provato pure tu, ad annusare per qualche istante ma niente, niente muffa per te.

Il calore che decide d'abbracciare tutti intorno al tavolo, finalmente nell'angolo di un bar, non perde certo tempo a trasmettere benessere e rilassare i muscoli del viso, quasi fosse una grossa carezza, quasi risvegliasse sorrisi intimiditi, che loro, i sorrisi, son come luci contagiose. Quando son sinceri, però. E sinceramente ti perdi un po', quando si parla soltanto dei tacchi delle ragazze, che van di moda quest'anno, altissimi, sembra, e di come da un tacco si possa supporre l'intera persona con aggettivi in dialetti stonati. Tu, con i tacchi, mai andato d'accordo. E ti perdi anche quando c'è chi insiste che lui, un figlio omosessuale, lo sparerebbe nella culla. Solo, nella culla, non è facile. Ma non hai il tempo d'approfondire, che c'è chi ha quasi un bisogno vitale nel riservare un tavolo in una discoteca di tendenza, quasi rappresentasse sangue blue nelle vene. Un tavolo, addirittura riservato, manco a casa ce l'hai. E all'improvviso ti si arricciano le narici, ti s'inarca un sopracciglio e lo sguardo diventa quasi intelligente, ma solo per un attimo. Sì, proprio lei. Puzza di muffa. Doveva essere l'alito di chi vantava il costosissimo regalo di natale alla ragazza. Puzza di muffa. O chi attaccava il pippone che le cose che aveva mangiato lui, qui, a sud, a natale, te le sognavi a Bruxelles. Tu, se per avere quelle cose a tavola, a Bruxelles, devi portarti mamma con te, no grazie.

Quando rientri con la testa gobba, inchinata al freddo vincitore, metti una mano davanti la bocca e t'aliti tra le dita, preoccupato. Arricci le narici. Inarchi un sopracciglio. Lo sguardo, non lo so, se diventa quasi intelligente. E per un attimo quasi tentenni, se ce l'hai pure tu, la puzza, la muffa. Un po', è probabile. Corri a domandare a Google, preoccupato: segno di decomposizione... scarsa ventilazione d'aria... si manifesta prima con piccoli puntini, poi si espande... spesso uccisa dalla luce diretta del sole. E tanto altro.
Che si espande, lo avevi capito. Che mancava l'aria, pure. Che dove c'è tanto sole non dovrebbe esserci, strano. Mi sa che t'ha distrutto la metafora, il sole, lì, a sud. Peccato. Niente muffa, forse. La puzza, però, c'era.

toh, c'è uno straniero in casa

è natale, da qualche minuto, che hai aspettato la mezzanotte per lo scambio di regali e passata la mezzanotte è natale, non ci sono dubbi, i tuoi russano da 30 minuti, tuo fratello non c'è, è a casa della moglie, tu dici sempre ragazza perché moglie non lo riesci a dire, ma non perché non vuoi, è che proprio non ti esce. Tu, secondo me, hai qualche problema con le mogli. O con i matrimoni, in generale. E mentre i tuoi dormono, cioé russano, tua sorella si sta preparndo per uscire, che tu hai impiegato meno tempo ad addobbanare l'albero di natale, ma lei sul suo viso vuole decorazione, vuole, anche se poi tu non vedi quasi la differenza, sul suo viso. Tu, secondo me, hai qualche problema con le decorazioni. O con le sorelle, in generale. E mentre tua sorella si prepara per poi dare il regalo a quello con cui esce al momento, tu stai sul divano sotto una coperta, perché cazzo se fa freddo qui, poi dicono Bruxelles, poi dicono il nord Europa, che c'hanno il sole qui, a sud, che c'hanno la qualità di vita, che fa freddo dicevo, e leggevi un libro, che tu ami i libri, ti sei divorato durante il viaggio Fahrenheit 451 e adesso leggi Bassotuba non c'è, due libri due regali del compleanno, che non hai avuto il tempo di leggere da settembre perché il lavoro, gli esami di certificazione, il corso di francese e le combinazioni astrali, però a te, se ti regalano un libro, ti fan felice, che quando poi hai tempo te li divori, i libri, e ne stai leggendo uno qui, dicevo, questo di Paolo Nori, e tua sorella ti chiama un attimo, ma tanto non è mai un attimo, ti chiama un attimo per un consiglio e tu già lo sai. Sono le scarpe. Ma tu odi ste cose, che mentre stai leggendo ti chiamano e devi bloccare tutto, i pesonaggi del libro che nel frattempo hai posizionato in una scena, lì, da qualche parte nel cervello, e si muovono, parlano, interagiscano, secondo cosa dice il libro ma soprattutto secondo la tua interpretazione. Però tua sorella deve capire se le scarpe vanno bene, tu non vuoi lasciare quei personaggi lì, che ieri hai tenuto bloccato Montag, il protagonista di Fahrenheit, mezzora in mezzo ad uno stradone mentre la polizia lo stava inseguendo, solo perché tua madre ti chiamava dalla cucina e poi ti han chiamato anche al telefono e poi qualcosa ancora e Montag fermo lì, ad aspettare, con la polizia che lo stava inseguendo e tu dovevi affrettarti, coi sensi di colpa. E adesso le scarpe, che tanto tua sorella ignorerà il tuo parere, non le serve, ha già deciso infatti, ma deve romperti le balle ed è natale, i tuoi russano, tuo fratello non c'è e intanto hai lasciato Learco, il protagonista di Bassotuba non c'è, a stantuffare con Agata e tua sorella non lo sa. Che poi non le piaceva neanche, Agata a Leandro, e non sai se fino al tuo ritorno continueranno a stantuffare, lì, in qualche parte del tuo cervello, o saranno come congelati nel tempo, fino a che tu non riprenda la lettura. Non so cosa sia meglio, in verità, tra stantuffare 20 minuti e rimanere fermi immobili lì, con Agata. E non lo sa neanche tua sorella, che infatti ignora il tuo parere ma intanto ha rotto quella scena di complicità. Sarà anche per questo che poi lui la manda a casa senza troppi giri di parole, Leandro ad Agata, non tua sorella. Tu, secondo me, hai problemi con tua sorella. O con le scarpe da donna, in generale.

E insomma, stai lì sotto le coperte, che fa freddo qui, a sud, anche se vieni dal nord Europa e ti dicono che dovresti essere abituato ormai, che fa freddo lì, a Bruxelles, stai sotto le coperte invece, qui a sud, mentre di là russano, tuo fratello non c'è e tua sorella si è messa anche le scarpe, non quelle che avevi detto tu, ovviamente, e pensi Ma che cazzo è il natale se quei due lì russano, quello non c'è e questa scende adesso a scopazzare, dicono il natale, la magia, beh la magia con sottofondo di russate mica incanta tanto, primo, e poi ti domandi che ci fai lì, non lo so, sembra un film già visto, già vissuto, che si ripete, e non ti piace, sto film. Solo che i regali, gli acquisti, che volevi darli, i regali, e scambiarli e anche riciclarli, come al solito, hanno quella magia quando tutto inizia, quella dell'attesa, come il sabato del villaggio insomma, e invece poi arriva natale e loro russano, l'altro non c'è e tua sorella esce. Con le scarpe, le altre, ovviamente. Per fortuna poi ci sono gli amici, che a breve ti passano a prendere e ti portano in giro, per gli auguri di natale, che anche se quel film lo hai già vissuto uguale, non t'importa, è diverso con gli amici. Sarà che non russano, gli amici, e non portano scarpe femminili. Tu, secondo me, hai qualche problema con la famiglia. O con i film di natale, in generale.

Io sono quello che non ce la faccio, scrive Paolo Nori. Secondo me, volevi scrivere lo stesso adesso, però ti sei dilungato giusto un po'. Buon natale allora, anche se l'avete già vissuto e l'anno prossimo arriva uguale.

Sta arrivando


Ma non giudicatelo dal numero di pigiama che riceverete nelle prossime ore.
Buon natale, insomma.

Vieni più vicino

Ma no, lascia stare il tempo, non pensare al ritardo né alla fretta di cui si ciba, portami in giro, in macchina, per le stradine di questo paese, voglio ricordare tutte le volte che mi son passate veloci davanti, le facce degli altri attraverso il finestrino, le ricorderò come una sola volta, un impasto di memorie per il collage di un solo paesaggio. E lascia stare pure l'italiano, parlami come sei, lascia pure che il dialetto colori le tue parole e insapori queste eco d'intercalari e dittonghi saraceni, voglio rivedere quelle facce che ho sempre visto in giro e distinguerle da quelle nuove, sconosciute, di generazioni che vengono a prendersi il proprio posto nella piazzetta sempre all'ultima tendenza, voglio rivedere il barista che non cambia se non nelle rughe che disegnano anni accumulati e smorfie d'abitudini, voglio rivederli tutti, quelli che riportano il tempo indietro come se qui, a sud, anche il tempo andasse a rilento, anche il tempo cambiasse marcia e ritmi eppoi - come cantava quella vecchia canzone - vulesse arrubbà' senza me fà' vedè' tutt'e facce d'a ggente.

E dimentica ti prego che vengo da Bruxelles, c'è questa parte qui, guarda, dietro gli occhi e quel batuffolo di ricci cerebrali, che non s'è mossa, è rimasta qui, uguale, come immagine di questo intorno, me la porto dietro, in segreto, quando m'occorre un palcoscenico dove piazzare gli amici nel mezzo di una nostalgia o quando ricevo una tua email e devo pur immaginarti su uno sfondo che non sia nero di caratteri e il bianco della pagina monotona. Ma ecco, non mi hai capito, cerca d'ignorarla Bruxelles, no, non è un altro mondo lì, non pensare a perfettissime strutture e umanoidi incorruttibili, non pescare una frase fatta dal tuo repertorio di frasi fatte (sono già fatte e son fatte male), prova ad abbandonare stereotipi di fughe, di mondi migliori e valigie mutanti. Io adesso non sono Bruxelles né tutti gli italiani all'estero in rappresentanza istituzionale, io adesso non sono in comizio a venderti il mondo che c'è fuori, tanto meno a puntar il dito contro il tutto che non funziona qui. Sono un altro con la faccia di qualcuno che conosci, ecco, prova a conoscermi, togliti questi occhiali di giudizi e sapienza, lasciami fare, qui, te li poggio qui, dopo li riprenderai, tranquillo, ne avrai bisogno perché odi la miopia eppure basterebbe avvicinarsi un po' di più, per vederle meglio, le cose. Vicino, vieni più vicino, è così semplice a volte, hai visto? C'è un sorriso. Ché per quanto possa dire che non son vacanze queste qui o ripetermi che il rientro dell'emigrante è un'altalena amara che poi lascia bile nera, non è vero niente, no. C'è un sorriso, hai visto? Me lo tolgo subito però, che altrimenti sembro scemo.

Poesia di natale

E se domani cade la neve
non rinchiuderti in casa,
non coprirti con i guanti,
ma prova a toccarla, la neve,
non fosse altro che per capire
se lo sei oppure no, ecco,
un fantasma.

E se stanotte cade la neve,
ma ne cade tanta, di neve,
non ti faranno volare domani,
italiano all'estero nel nord Europa,
come l'anno scorso qui a Bruxelles,
ma non bestemmiarla, la neve,
che se insisti puoi volare, con la neve,
ma poi rischi di diventarlo anche tu,
ecco, un fantasma.

Ah, le vacanze

Ecco, pensavo al volo della prossima settimana e alla fine ne è uscita fuori questa
vignetta, che più che una vignetta è una sfera di cristallo.

C'è chi si perde

C'è chi si perde a Bruxelles tra il freddo dell'inverno che lento più del solito decide d'abbracciare edifici e sciarpe, mentre tra le casette di legno del mercato natalizio paga un vino caldo che riscalderà la gola rauca ma chissà i pensieri, appena il fiato fa nuvole nell'aria perché sì fa freddo, appunto, ed i pensieri son fugaci, s'intravedono nella condensa e poi van via, veloci, quando scompaiono perché caldi ma non abbastanza. Son più caldi in compagnia, quando c'è chi si perde tra salti e sorrisi in un concerto degli Shantel all'Ancienne Belgique, dimenticando giornate di lavoro ed impegni voraci, voraci di tempo ed energie, che non son mai troppe se nel girar lo zucchero al caffè c'è il sonno che bussa all'epifisi perché - dice - c'è quel sogno da terminare e un bisogno bulimico da accontentare, sicuramente non adesso, adesso che sei lì ballando allegro e c'è un tizio a lato che si accende una sigaretta dove non si può. Non si può, hey, hai visto il cartello? mi dispiace ma bisogna spegnerla - gli fai notare - e lui lo fa, ti stringe la mano e continua a ballare, con te, che gli avresti dovuto offrir una birra per il gesto, che non è da tutti, lo sai, come sabato sera all'Antitapas qui a Bruxelles, serata organizzata anche da italiani, dove ad un certo punto fumavano tutti ovunque, dove non si può. Non si può, mi dispiace, hai detto all'organizzatore, italiano, che fumava anche lui e rispondeva spallucce, perché non basta andar all'estero, non c'è filtro allo sportello Ryanair, non c'è mica un'Italia migliore fuori dai confini, c'è la stessa miscela nel campionario statistico, gli stessi talenti e gli stessi idioti, solo che si perdono, anche loro, tra accenti stranieri e un salario migliore, tra la speranza di trovare soddisfazioni represse e la convinzione di poter far legge propria solo perché altrove, e son proprio quelli poi che ti fan sentire come chi normalmente deridi: italiani all'estero che odiano altri italiani all'estero. Ma sarà lo stress, sarà che c'è chi si perde in qualunquismi dannati ed opinioni affrettate, mentre una chouffe scende veloce in gola ed il ragazzo tedesco ti racconta storie di gente che t'immagini, distrattamente, e ti perdi anche tu, tra facce sconosciute e fantasie stereotipate, mentre l'ultima birra raccoglie i pensieri già più allegri e l'orologio ricorda che domani ci son mostri da affrontare, ti perderai anche tu, nuovamente, appena la metro striderà la chiusura delle porte e sarai arrivato, mentre altri, intorno, si perderanno a loro volta, ognuno coi propri mostri da piegare.

Povera Italia


Video sulla fuga dei talenti, anche se io son sempre contrario a gridare
alla fuga, che per me dovremmo andar in giro anche se l'Italia fosse
il paese con il tasso d'occupazione più alto del mondo, non fosse altro
che per scoprire quello che c'è fuori e scoprire in modo diverso anche il posto
da cui si viene, da fuori, e anche se stessi, attraverso gli altri. Però il video
non è male, anche se più che a Bruxelles è girato nel micromondo
degli eurocrats, ma va beh, ve lo condivido.

O forse sei solo più simpatica

Ma aspetta un attimo Bruxelles che così finisci per confondermi, se quando arrivo alla fermata della metro tra il sonno che ancora oscilla sulle sopracciglia ed il rumore della ferraglia affollata che arriva da lontano, tu diffondi tra i corridoi sporchi della stazione quella canzone che lì non m'aspettavo, un Ancora Tu di Battisti che a tanti chilometri di casa quasi non riconoscevo e invece era lei, ancora lei, e come stai? domanda inutile, appunto; e non contenta il giorno dopo, alla solita fermata, ecco che la testa quasi inizia a ballare in quella piacevole sveglia mattutina che sembrava quasi irreale, tu Bruxelles che fai? Metti Mille bolle blu di Mina, lì, che volano e volano e volano, che qualcuno direbbe mal s'adattano a quell'intorno sotterraneo, al vagone intasato, gli odori viziati, e invece no, porta allegria improvvisa quando il riflesso del finestrino opaco ti regala un sorriso sincero. Di tutte le facce che nei tuoi vicoli germogli, sei anche italiana, Bruxelles, che non me l'aspettavo quasi 3 anni fa né potevo mai dedurre dalle parole del ragazzo americano, di tutte le città del nord Bruxelles è quella più a sud, diceva, anche se magari lui, il ragazzo americano, avrà visitato soltanto te, Bruxelles, e poco importa se c'è sempre chi arriva euforico e si aspetta d'incontrare la capitale d'Europa, poi finisce che lo sorprendi, magari un mattino nella metro, in una colonna sonora di un film di cui non ricordi il titolo perché forse non l'aveva, o c'è chi ti vorrebbe efficiente, ti vorrebbe efficace, ti vorrebbero perfetta e non vorrebbero te, sappilo, perché tu non sei. Ma poi ci penso meglio, Bruxelles, quando arrivo felice in ufficio e lancio in una smorfia che abbiamo un governo! il collega belga, quello del nord, mi spegne come una candela dove c'è già la luce elettrica, ma tu non sei belga, non dovresti dire "abbiamo", mi dice, forse irritato, è solo che dopo quasi tre anni qui con te, Bruxelles, non mi sento belga, no, ma se ti vivo e pago le tasse, se continuo e pago pure un mutuo, allora permettimi d'esser felice d'un governo, che sarà mai, anche se non l'ho votato, anche se non son belga e forse mai lo sarò, se solo sapessi cosa significhi, essere belga, se solo qualcuno me lo potesse spiegare e invece tu no, mi sussurri Battisti e Mina nella metro del sonno e le lancette frettolose, a ricordarmi radici che a volte ho pure bestemmiato, come si bestemmia il nome di un dio che non ha mantenuto le promesse sussurrate, come si odia un fratello maggiore dopo una sfuriata di schiaffi e grida. Solo che poi le ascolto, quelle canzoni inattese, chiudo gli occhi e per un attimo sto anche meglio, Bruxelles, tutto il resto scompare, stai come me e ci scappa da ridere, diceva lui.

Ma tanto tu vivi all'estero, che ti frega?

Le lacrime della Fornero hanno lasciato uno sconcerto disarmante, immediato, profondo, quell'immagine, quelle lacrime, per quanto non si voglia attribuire loro metafore o demagogia, rappresentano un passaggio preciso, esattamente alla parola sacrifici, un'introduzione che probabilmente meglio non si poteva esprimere per trasmettere il futuro prossimo, seguite da quel sorriso cinese e le parole robotiche di Monti, come bollettino di guerra, dettato del prof da ingurgitare stando attenti a non lasciarci le penne. Il primo che oggi magari distrattamente, magari soltanto in una battuta senza peso, mi dirà quella frase tipo "ma tanto tu sei all'estero, che ti frega?" si becca un gran bel vaffa, netto, sincero, con piacere. Perché ci son sempre quelli lì, quelli che credono che andando all'estero si passi per un ponte di dimenticanza ed alterigia, come se parlare un'altra lingua o vivere sotto un altro cielo possa ricoprire pelle e pori di un'armatura, e ci son anche quelli che non hanno bisogno di sentirselo dire, lo credono, ne vanno fieri, son felici di star da un'altra parte e quasi si gustano con soddisfazione le notizie di questi giorni riassumendo in un "che mi frega, io son altrove", magari provando un orgasmo d'orgoglio nel commentarle. E se anche non fosse che oramai nel mondo globalizzato tutto è connesso e più che per un volo di farfalla in una foresta amazzonica, l'uragano si scatena per un vecchietto che non riceve la pensione in un paesino dell'entroterra meridionale, c'è dell'altro meno lontano dei grafici dei mercati e più semplice delle teorie economiche moderne: c'è la sfera personale, c'è la famiglia lì, amici e parenti, quelli che la crisi non la leggeranno soltanto sui giornali seduti al loro ufficio la mattina, ma la vivranno probabilmente sulla propria pelle: è per quelli lì che il mio vaffa uscirà netto, sincero, con piacere, è per quelli lì che c'ho come un nodo in gola adesso, perché prima di essere italiano all'estero, prima ancora d'essere qualcuno in un paese straniero, sono un figlio, sono un fratello, un amico, un conoscente.

Chicchi di mais

Poi leggi ed in mente hai la scena esatta, davanti agli occhi. E finisce che la disegni.

Un governo in Belgio, F.A.Q.

Dove eravamo rimasti?
Praticamente dal 13 giugno 2010 (ultime elezioni in Belgio) la formazione del nuovo governo ha preso più tempo del previsto, tanto da assegnare il record assoluto di paese senza governo per il maggior lasso di tempo, anche se c'è bisogno di chiarire una cosa: la notizia "il Belgio non ha un governo da un anno e mezzo" non è propriamente corretta, perché un governo nel frattempo c'è stato, quello temporaneo guidato dal primo ministro uscente. La notizia corretta dovrebbe essere "in Belgio la formazione di un nuovo governo sta impiegando più di un anno e mezzo", altrimenti c'è chi pensa che qui possa regnare l'anarchia, cosa praticamente impossibile vista la tela di comunità e decentralizzazione di alcuni poteri.

Perché tutto questo tempo?
Perché il Belgio è il paese del surrealismo, ma anche perché si era chiesto di creare un governo alle due parti vittoriose dopo le elezioni, rispettivamente di destra a nord (nelle Fiandre) e di sinistra a sud (in Vallonia), insieme, cosa alquanto impossibile. La differenza profonda di vedute e di interessi, la divisione culturale tra olandofoni e francofoni e la delicata questione degli interessi linguistici ed economici intorno alla regione di Bruxelles hanno creato diversi momenti di stallo e sconforto per il re che ha dovuto cambiare più di una volta nomine di formatori, ispettori, mediatori, informatori per il nuovo governo. I cittadini hanno manifestato il proprio disappunto, senza però influenzare in modo decisivo la situazione.

Cosa è successo di recente?
Finalmente il punto chiave della rottura è stato risolto lo scorso 11 ottobre 2011, quando dalle trattative è stato escluso il partito che aveva vinto le elezioni al nord e si è giunti ad un accordo sulla questione dei diritti giudiziari ed elettorali della famosa BHV, un insieme di comuni in cui una maggioranza linguistica non aveva alcuni diritti altrove evidenti, ma il Belgio si sa è un paese abbastanza complesso.

Eppoi cosa è cambiato?
Il nodo cruciale è stato sciolto eppure una nuova situazione di stallo si è creata sull'approvazione della nuova finanziaria. Il formatore ed acclamato eroe fino a quel momento, Elio Di Rupo, ha consegnato le proprie dimissioni al re, deluso ed incapace di andare avanti con i partiti coinvolti fino a quel momento. In un oramai famoso editoriale de Le Soir, il maggiore giornale francofono belga, si legge addirittura che s'impone a questo punto la separazione del paese. Per molti invece le dimissioni son state soltanto un modo di far pressione sui partiti in modo da accelerare le trattative, viste anche le pressioni dei mercati.

Infatti, i mercati come commentavano la situazione in Belgio?
La lentezza della formazione del nuovo governo ha suscitato più volte l'interesse dei mercati, visto anche il grande debito pubblico del paese, etichettando il Belgio come il prossimo paese, dopo l'Italia, prossimo ad una crisi economica. Il governo temporaneo non poteva approvare la finanziaria, avendo poteri limitati, eppure il primo ministro uscente, Laterme, è riuscito in un quasi miracolo, chiedendo al popolo belga di acquistare quanti più titoli di stato e così è stato: record storico, 4.5 miliardi di euro son stati incassati dallo stato, prestati dal proprio popolo. Questo ovviamente non tampona il debito ma rassicura sicuramente da eventuali pressioni dei mercati, almeno per il momento.

Torniamo alle dimissioni. Cosa è successo poi?
Come previsto da molti, la strategia delle pressioni ha funzionato ed ecco che il 26 novembre è sbocciato l'accordo sulla nuova finanziaria, Di Rupo ha ritirato le proprie dimissioni (sospese dal re con riserva) e si appresta ad essere il primo premier vallone da più di 30 anni in Belgio. La crisi, salvo eventuali catastrofi dell'ultima ora, è terminata: per il 5 dicembre è previsto un nuovo governo in Belgio.

Finalmente! Beh, tutto bene quel che finisce bene, no?
Vedremo. La prima sfida di questo governo sarà sicuramente durante tanto quanto ci ha messo per formarsi. E non è poco. Inoltre, sono già scoppiate le polemiche sui problemi linguistici di Di Rupo: in Belgio il primo ministro dovrebbe essere linguisticamente neutro, parlando bene sia il francese che l'olandese, mentre il futuro designato ha carenze palesi con l'olandese (e anche con l'inglese), addirittura peggio della donna delle pulizie nigeriana di De Wever - secondo lui - da appena due anni in Belgio. Sarà sicuramente un'eccezione su cui molti passeranno, visto il periodo di crisi, ma che sarà una forza in più dell'opposizione, guidata inoltre proprio da colui che le elezioni le aveva vinte in giugno, De Wever. Quindi non si preannuncia per nulla un clima politico di serenità. Ad ogni modo, sì, finalmente!

Sonno.

T'ho visto nello sguardo puntato al pavimento di chi cercava tra qualche macchia e le scarpe allacciate male l'energia per un risveglio troppo lento, sonno, e t'ho visto di riflesso in chi si fissava apatico nella propria immagine del finestrino opaco, perso in un vuoto in movimento, mentre la metro sfrecciava veloce nei suoi scricchiolii metallici. E tu, sonno, sei lì, imperterrito, ogni mattina, mentre una calca di braccia e gambe entra cercando inerme un appiglio per la mano che non è per la mano, è per appenderci il corpo, aspettando che tu lo abbandoni, nell'attesa d'energie mattutine che verranno, repentine come frustate quando la fermata sarà quella della destinazione e l'ultimo sorso avrà terminato il bicchiere e la dose mattutina di caffeina, in attesa che aumenti il flusso di sangue ai muscoli ed il fegato rilasci glucosio; sei lì, quando uno sbadiglio intona i tuoi ritmi blandi ed il colore violaceo sotto gli occhi manifesta ore strappate alle lenzuola, riportate alla realtà da una sveglia insensibile che scocca l'ultimo secondo prima d'azionarsi quasi nel piacere di rompere quel legame con la notte, che sia di sogni beati o d'un buio fatto di nulla non importa: t'avrebbe annientato se abbastanza e invece non è mai abbastanza, perché poi sei lì, maledetto, sonno.
C'è chi nella metro tenta di distrarti cercando il senso di un articolo tra le pagine stropicciate di un giornale e chi prova a stordirti con cuffie e musiche convinto che il risveglio passi per il fracasso dei timpani. Anche di quelli altrui. T'ho visto anche nel nodo imperfetto della cravatta a strisce e nell'abbinamento, della cravatta a strisce sulla camicia a strisce. Poi t'ho visto come spazzato via, avrai avuto quasi paura o non avrai nemmeno avuto il tempo di avvilupparti a qualche altro ricciolo di connessioni neurali, quando il bambino dal passeggino ha sorriso, lì in mezzo al vagone, d'improvviso, in quel suo verso stridulo ma inconfondibile, e come raggi di luce diffusa ha richiamato l'attenzione e le smorfie del riflesso nel vetro, del corpo appoggiato ad una barra e anche della testa bombardata da urla rock, di colpo ha conquistato la scena, quel pezzo di carne avvolto in un plaid, e t'ha sconfitto, l'ho visto, t'ho visto, sei morto nel sorriso contagiato.