Oggi sposi

E mentre i colleghi si guardavano la diretta su youtube, c'era la collega che commentava il colore del vestito e a un certo punto si è aperta una discussione se fosse bianco, panna o crema. Il mondo in un colore. E mentre ognuno cercava di trovare qualche nesso con il proprio matrimonio, nessi sulle cui idiozie potremmo scrivere trattati di psicologia e sociologia, te ne stavi al tuo computer perso tra cuffie e musica, cercando di ubriacarti di canzoni per non pensare al resto. E in quel momento lì ti sei ricordato della chiacchierata mattutina con la tua ragazza.
lei: "Allora oggi si sposano!"
tu: "Eh già, ho già la pelle d'oca... "
lei: "Eddai non fare così, è un evento..."
tu: "Un evento? Non me ne può importar molto di quest'evento eh.. e secondo me chi non vede l'ora di vedere quel matrimonio è malato!"
lei: "Non più di te con il calcio, quanto aspetti una partita... "
Ecco. E allora, proprio in quel momento, hai alzato il volume della musica, tanto.

Di desideri rubati

Che l'avrò fatto anch'io, più di una volta, di buttare la monetina nella fontana, quella lì famosa, a Roma, quella di Trevi, perché dicono che poi ci ritorni, a Roma, e anche perché alla fine dicono che devi esprimere un desiderio e anche se non lo esprimi, il desiderio, la moneta la lanci lo stesso, perché è divertente, perché è tradizione, perché è soltanto una monetina in fondo, ma anche perché poi ti dicono che tutte quelle monete insieme vanno poi alla Caritas. E allora poi sul fondo, lì, nella fontana di Trevi, a Roma, si ritrovano ammucchiate le monetine come tanti desideri, i desideri dei turisti e magari anche il tuo, e tutti insieme, quei desideri, fanno un gran bel desiderio (un desiderio di 14.000 Euro a settimana) che magari aiuta qualcun altro, tramite la Caritas, che pure aveva un desiderio. E allora un desiderio ne aiuta un altro, pensi tu, è bella la catena dei desideri. Però poi succede che arriva qualcuno, la mattina presto, a Roma, entra nella fontana, di Trevi, e si ruba i desideri degli altri, in realtà si ruba le monetine, ma anche i desideri, i tuoi, quelli dei lanci e anche quelli della Caritas, insomma se li ruba tutti. Però ci son i vigili che guardano e allora, pensi, non se le possono rubare, le monetine, e nemmeno i desideri. E invece no, perché i vigili lasciano fare, perché Roma ladrona e allora è tutta na crema. E allora c'è chi si ruba i desideri, chi li lascia rubare e chi non li riceve. Brutta questa catena di desideri. Certo, magari anche chi ruba avrà i propri desideri, che magari soddisferà con le monetine dei lanci, con i desideri degli altri, aiutando probabilmente anche qualche desiderio dei vigili, però non è carino fare soldi così, coi desideri degli altri. Certo, c'è chi costruisce capitali coi desideri degli altri, si chiamano banche, ma quelle sono legali, almeno così dicono. E allora avrei anch'io un desiderio, per i ladri di desideri e per i vigili che lasciano rubare i desideri degli altri, però è un desiderio, se lo dico poi non si avvera e finisce come quei desideri rubati. Comunque, non ha niente a che fare con l'inferno e i forconi e le fiamme, davvero.

I pensieri nella metro

Quando la porta si apre ed il vagone vomita via cento corpi in corsa verso bisogni innaturali, ecco che altri corrono dentro, ognuno a trovare un proprio spazio da riempire, come nella vita, nel vagone dove si compongono alberi di braccia intrecciate ed equilibri precari. E c'è sempre quell'odore strano, nel vagone della metro, quello di tutti quei pensieri rimasti sui finestrini della metro. Non risolti. E c'è sempre quell'odore strano, forte, a volte acido, che rimane in gola, forse ancora vivo, nel vagone della metro, di tutti quei pensieri lasciati nella fretta di arrivare alla scala mobile, schivare il prossimo e rincorrere le priorità quotidiane nel vortice frenetico, che c'è sempre tanta fretta, troppa. E i pensieri rimangono lì, a marcire.
Chi non ha mai preso la metro e non si è trovato lì, in un vagone della metro, nella faccia degli altri a cercare la faccia degli altri, per poi abbassare lo sguardo non appena lo sguardo di un altro si incroci con il proprio, ad abbassarlo fingendosi distratto e invece ci si distraeva nella faccia degli altri (perché nella metro c'è chi legge un libro e c'è chi legge la metro, ogni faccia una pagina da interpretare), chi non ha mai preso la metro e non si è trovato lì, nel vagone della metro dove passa vita d'ogni sorta, dove basta ascoltare soltanto un po' per pescare parole dagli alfabeti cittadini, che loro, le parole, sanno mescolarsi senza troppa burocrazia e confini, chi non si è trovato lì non conosce quella città. Ne conosce altre, diverse, magari fatte di traffico e semafori o d'alberi e pedali. E chi non si ritrova mai nella propria immagine, riflessa nel finestrino del vagone della metro, non ha pensieri. O è un fantasma.

Buscarse la vida

C'è un'espressione spagnola che mi piace tanto, che dal primo ascolto m'è rimasta come stampata su qualche parete celebrale, un graffito di quelli che quando i pensieri passano lungo quel muretto, la vedono lì, buscarse la vida, la rileggono e la ricordano, magari applicandola, di continuo. Buscarse la vida letteralmente significherebbe cercarsi la vita, ma in realtà è un'espressione che sta per risolvere i propri problemi da solo, senza troppi aiuti, cercare una soluzione, con impegno, perché per migliorare la propria vita bisogna cercarle le soluzioni, tanto meglio se da soli, tentando, sbagliando, ma impegnandosi. Buscarse la vida dovrebbe essere il motto di tutti, un po' come quel don't compain, just work harder di Randy Paush, come a ricordarci che bisogna cercare, bisogna lavorare e le soluzioni, poi, servono alla vita, che a suo modo va anche cercata, quella intensa, quella fatta di sudore ed emozioni, di sforzi e soddisfazioni.
Ecco, nell'epoca della generazione né né o della generazione ni ni della vicina Spagna, nell'epoca della generazione 1000 euro nostrana o la generazione Taunguy in Francia e Belgio, nell'epoca degli scapoli parassiti in Giappone o di quelli che sarebbe quasi da chiamarli Atipici di cognome, perché una volta il cognome richiamava alla professione tanto ne determinava la classificazione, l'appartenenza e l'identità, mentre oggi tra evoluzioni culturali e crisi globali spesso manca anche cosa scrivere sul documento di riconoscimento, dove la professione era tra i dati principali, tra quelli necessari appunto all'identificazione, ecco in questi tempi qui insomma, buscarse la vida non è sicuramente facile né si può giudicare, generalizzare e classificare la vita degli altri ponendola in una scatola piuttosto che un'altra, ma spesso è anche questione di stimoli a quella ricerca, quel buscar, o di intorni, perché non è detto che bisogni cercarla soltanto nel conosciuto, nel vicino perché comodo, meno rischioso ma probabilmente anche più affollato.
E allora nel buscarse la vida l'estero può essere un'alternativa, che sia in cerca della speranza di un mondo migliore su un barcone in balia del mare o più semplicemente (per chi può) grazie ad un volo low cost verso una capitale europea magari già pubblicizzata da qualche conoscente; l'estero può essere una scelta, per la voglia di scoprire, per dignità, per una rivoluzione personale o per un altrove in più, diverso, in cui cercare, in cui buscarse la vida, oppure no, perché c'è anche chi non riesce, chi cerca ma non trova, e c'è chi non considera, chi si limita al familiare. L'importante è non smettere, non smettere di cercare, magari addirittura nell'attesa che qualcun altro ci risolvi i problemi, comodamente, parcheggiati da qualche parte mentre intanto il mondo corre, nell'attesa di quel ognuno aspetta a' ciorta che non risolve nulla, perché non c'è nessuna fortuna se non quella che si crea con le proprie mani - retorico, lo so, ma quanto vero - scavando, sudando, cercando, buscandose la vida, appunto.

L'allegria del Sud

Il blogger andima durante un incontro sull'allegria del sud, poi alla fine hanno
riso tutti insieme, li ho visti io, lo giuro.
lui: E allora tu vivi nel nord Europa? Eh, altro mondo quello, altro mondo...
l'altro: Già...
lui: Sì, sono più organizzati, dicono che le cose funzionano meglio, ma fa freddo, piove sempre e anche loro son freddi, c'hanno la pioggia dentro ormai, no?
l'altro: In che senso, scusa?
lui: Ma come... il Sud, la Spagna, l'Italia, noi siamo i paesi dell'allegria, il sole porta allegria, siamo più felici, è risaputo dai! Lo ha detto pure Benigni a Sanremo!
l'altro: Aspetta un attimo, ma... vedi che la gente sorride anche nel nord Europa, non vivono mica lì con le facce tristi dalla nascita!
lui: Sì, ma è diverso, da noi c'è festa, c'è spensieratezza, si vive nelle strade, il tempo lo permette, e...
l'altro: E c'è il sole, sì, ho capito, ma c'è anche più corruzione, disorganizzazione, disoccupazione, non ci vedo molto da ridere in queste cose...
lui: Eh, eppure...
l'altro: Allora è un riso incosciente, il vostro, un riso irrazionale, sconsiderato, folle!
lui: Oddio, pure folle!
l'altro: Sì, mentre lì son felici magari meno ma in modo ragionato, contenuto, funzionale...
lui: Scusa, mi fai un sorriso funzionale?
l'altro: Ma allora dimmi, son meglio due risate sconsiderate o una soltanto, ma ragionata?
lui: Hmm... è meglio averle tutte e tre, magari...
l'altro: Va bene, hai ragione, ma solo una incosciente, magari...
lui: Ecco, lo vedi, è l'equilibrio che ci manca!
l'altro: E forse anche un po' di buon senso... ma guarda che alcuni sondaggi dicono che si è più felici al nord! E le città dove si vive meglio non mi sembrano molto a sud!
lui: Questa poi! Chissà come le fanno quelle classifiche.. ma se siam famosi per l'allegria, il vivere nelle strade, la festa... è il sole, è tutto merito del sole che abbiamo tutto l'anno!
l'altro: Sì, è scientificamente provato, lo so, stimola alcune vitamine e l'umore, tant'è che c'è chi soffre di depressione stagionale e ricorre alla luminoterapia...
lui: E allora lo vedi! Ho ragione io! C'abbiamo il sole, c'abbiamo!
l'altro: Sì ma è nu sole amaro, come cantava Pino Daniele...
lui: Eh, però poi quando piove da noi diventa poesia, come cantava sempre lui!
l'altro: Va bene, ma tutto questo per dire cosa? Io non voglio eleggere il migliore o il peggiore, volevo solo dire che c'è allegria anche altrove!
lui: Va bene, saranno compromessi, a ciascuno i suoi, adesso però fammi una risata, dai!
l'altro: Ma certo che te le faccio e, guarda, non importa la latitudine, il sole basta averlo dentro!

Restiamo umani

Che poi suonano banali, certe parole, oniriche o addirittura inutili e invece siamo sempre lì.
[..] è un invito a ricordarsi della natura dell'uomo, io non credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere, credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini, dalle longitudini, alla stessa famiglia che è la famiglia umana [..]

Poi all'improvviso una grande merda

Esci da una brasserie brussellese dopo una simpatica cenetta con amici, che loro, gli amici, son simpatici e rallegrano l'umore, e ti dirigi verso casa, verso le 22, verso Place du Grand Sablon, mentre Bruxelles decide che il sole degli ultimi giorni è stato fin troppo acceso e quindi prepara il cielo d'un velo scuro e meno festoso. Davanti all'improvviso vedi un gruppo di persone in posa per una foto, tipo quelle compagni di classe, tipo una tribuna in miniatura in attesa del flash, e senti qualche voce italiana, pensi a un gruppo di studenti allora, un gruppo di turisti o un gruppo di ragazzi italiani a Bruxelles, che ce ne son tanti qui, di passaggio e non. Ci passi vicino e vedi un tizio al centro, bassino, con gli occhiali, i capelli bianchi e la circonferenza prorompente, Ma dov'è che l'avrai già visto - pensi - quando l'occhio, passando, ti cade su qualcosa di verde che porta alla giacca e allora il dubbio ti mordicchia la fronte e il sopracciglio s'intreccia con le rughe, mentre rallenti il passo e ti volti, di nuovo, di nuovo, Ma lo conosco - ti domandi - mentre la tua ragazza ti mette fretta, che ha freddo e si fa tardi, e il dubbio è sempre lì e all'improvviso incontra la luce, il cielo tuona, all'improvviso una grande merda, all'improvviso ti accorgi che quello lì è Borghezio, sì, è proprio lui!

Che certe cose, poi, non te le aspetti così all'improvviso, in una serata tranquilla di vita brussellese e invece ecco che, lì, a pochi metri, c'è qualcuno di quelli che, la tua ragazza ti domanda, le balbetti qualcosa, lei capisce e cerca di tirarti verso casa, strattona la tua giacca, ti conosce e quanto è saggia, quanto sono sagge loro, eh? Ma tu non trattieni, te lo senti salire dentro, il conato di vomito, il testosterone che fibrilla impaziente, le voci di quella scena di Quinto potere rivista proprio in mattinata dopo la morte di Lumet, la tua ragazza ti strattona, i ragazzi fanno le foto, il gruppo è già a una decina di metri, il cielo si fa tetro, la tua ragazza quasi ti spinge, Bruxelles sembra incazzata, troppo sole, troppo sole all'improvviso e poi all'improvviso una grande merda, non trattieni, ecco, esplodi: "SEI UNA MERDAAAAAAAAAAAAAAAAAAA" - ti esce che neanche te ne accorgi - "SEI UNA MERDAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA" - sale fuori che è un piacere, mentre lei ti strattona ancor più forte, dal gruppo qualcuno si volta, se lo circondano per bene, mentre nella notte si spegne quell'eco "RDAAAAAAAAAAAA A AAAAA.. A.. A... a.. ", che ovviamente dopo aver letto qui, era riferito al cielo, a chi sennò?

Maratona della birra a Bruxelles, 2011

Ci siamo, controllate la vostra agenda, prendete i giorni di ferie necessari, un'occhiata ai voli low cost ed un'altra agli alloggi, chiamate i vostri amici di Bruxelles e preparatevi per il 20 luglio perché oggi, proprio oggi partono le iscrizioni per la maratona della birra di Bruxelles, che non è affatto una calca di alcolizzati che tracannano birra e a più non posso, ma una spassosissima caccia al tesoro (con contorno di birra belga, ovviamente) per le strade del centro brussellese. Avete pochi giorni per iscrivervi e qualche mese per allenarvi!

Dei sonni brevi

M'ero svegliato da poco quella notte, avevo addirittura dormito 3 ore, che eran tante 3 ore di sonno, in quegli anni lì, e la notte alla finestra era tutto una luce di traffico e lavoro. Che strana, la notte, da quando non si dormiva più. Tutto era iniziato con esperimenti del 2009, quella ricercatrice tailandese che voleva ridurre le ore di sonno senza danneggiare la salute, quella che impiantò il gene di quelli che potevano dormire poco e lo impiantò in un topino da laboratorio, povero, il topino, che ignorava a cosa stesse collaborando ed arrivammo così, coi nostri sonni brevi. Che poi loro, quelli che potevano dormire poco, all'inizio li chiamavano sleepless élite, che potevano dormire anche solo 4 ore al giorno e star bene, godersi le ore in più rispetto agli altri. Poi la scienza decise che sarebbe stato bello, per tutti, se tutti avessero avuto più ore di non sonno, più ore di vita non spese in un letto, anche se molti, nei letti, magari vivevano già gran bei sogni e non era mica tempo perso, per loro. Così accelerarono gli studi, quelli prima dedicati all'ambito militare, per esempio, per dormire meno in condizioni estreme, sempre meno, e divenne una ricerca forsennata al non sonno, che non passava per il metodo Uberman, quello di dormire mezzora ma 6 volte al giorno, ma per i geni e i topini da laboratorio, sempre loro.

Avevo dormito addirittura 3 ore quella notte, troppe, decisamente, e sarei arrivato in ritardo in ufficio. Sì, perché se all'inizio era una scelta, d'avere quel gene alla nascita, poi divenne per tutti e tutti felici, all'inizio. Non si dormiva più 8 ore, non ce n'era il bisogno, mica male, ognuno con più tempo libero e quanto. Poi dissero che c'era crisi, ma della crisi, che mi ricordi, han sempre parlato, quasi fosse stata qualcosa naturale, tipo la gravità, che se ti lasci andare vai giù, e ti fai male. La crisi richiedeva maggiore produttività e siccome avevamo ore di non sonno in più, si poteva lavorare di più, si doveva lavorare di più. E si lavorava fino a 12 ore al giorno, ma in fondo quando se ne lavorava solo 8, c'era già chi ne lavorava 14, di ore, e adesso chissà quante, quante ore a lavorare per quelli lì, mi domandavo.

M'ero svegliato da poco quella notte e la città era tutta una luce, che da quando non si dormiva più tanto, si consumava tanta elettricità e c'erano le ore di oscurità programmata per evitare il collasso, quasi inevitabile, e la notte, senza sonno, non era più notte. Ci pensavo ogni volta alla finestra, alla nonna che diceva dormi, che la notte porta consiglio, ma coi sonni brevi non li afferravo, nonna, i consigli. E c'avevo come una voglia, uno stimolo strano, di fare qualcosa, lo chiamavano sbadiglio se non sbaglio, non se ne facevano più, neanche ai test, quando ti facevano ascoltare quello lì, Amedeo Minghi, niente, non funzionava neanche con lui. Non si sbadigliava più, coi sonni brevi. E dicevano che avremmo sognato lo stesso, perché si andava direttamente in fase REM, ma io nei sonni brevi avevo i sogni di fretta, della fretta di finirli e quando mi dicevano sogni d'oro era tutta una corsa, all'oro. Lo diceva pure il collega nuovo, quello col bebè di qualche mese, che puntualmente si svegliava nella notte, durante le 2 uniche ore di sonno e lui, il collega, tornava a letto di corsa, nella fretta di sognare un poco in più.
Così avevano tolto alla notte l'oscurità e i sogni, c'erano le stesse lassù, da qualche parte, ma non le vedevo né più me le immaginavo. Tutto per imitare quella fottuta sleepless élite, che poi quando dai a tutti i superpoteri di pochi, non è detto che stai facendo bene, no, ma noi volevamo, ingordi, sfruttare ogni momento. L'ingordigia ci ucciderà.
Nell'illustrazione, fatta a mano, è possibile notare un esemplare di blogger
non appartenente alla sleepless elite, che la mattina si sveglia con in testa
ancora i sogni e la voglia di dormire, tanta.

La guerra BIO

Iniziò tutto con le prove positive sugli F-22 degli americani, con i biocarburanti alimentati al cavolo, che il cavolo a molti non piace, invece fa bene, è nutritivo, lo diceva sempre la mamma, e adesso ci si poteva fare pure la guerra, non a lanciarli, i cavoli, ma come benzina; e c'è chi pensò addirittura che un giorno avremmo fatto le guerre, no, volevo dire le missioni di pace, non per il petrolio ma per i cavoli, sì sarebbero stati amari, ma necessari. Anche le navi iniziarono a funzionare ad alghe, alle alghe pochi ci pensano e invece stanno lì, in fondo al mare, ad ondeggiare, e la notizia sembrava tanto ambientalista e invece il fine era solo il risparmio, anche se si spendeva di più, un po' come le buste di plastica ed i sacchetti di carta, che nessuno sa mai a quale voce credere e loro, le voci, rimbalzano e stridono a seconda degli interessi. Poi un giorno s'udì uno stridulo viscido e stonato ed un gran casino nel giardino di casa, c'era la guerra, anche se in alcune parti del mondo la chiamavano missione di pace, anche se poi si moriva lo stesso, e la mamma disse di rimanere in casa, che era pericoloso, ma uscimmo ugualmente, troppa la curiosità, la curiosità uccide il gatto - disse la mamma -, ma noi gatti non ne avevamo e allora andammo lo stesso. C'era un foro proprio affianco ai cavoli piantati dal babbo, alcuni erano stati distrutti da qualcosa, qualcosa che adesso stava lì, ad affacciarsi si capiva subito, era una bomba, una bomba inesplosa, e ad avvicinarsi ancora un po' si leggeva chiaro in verde e bianco "Prodotto BIO". Una bomba BIO, di quelle che uccidevano senza inquinare, di quelle che la chiamavano la guerra pulita, ecologica, biodegradabile e sostenibile. Una bomba BIO, che pensavamo stesse lì a dormire, tra i cavoli a riposare dopo il lungo volo, e invece poi all'improvviso iniziò a vibrare. Boom.
Toh, tra un clean&build, una release e una slide ho fatto anche un'illustrazione,
però non prendeteci l'abitudine, alle illustrazioni, e nemmeno alle release.