Aritmetiche europee

Con il nodo alla cravatta che però ancora lasciava digerire pensieri e rimasticare memorie, sei stato al matrimonio di un italiano ed una irlandese e hai pensato: ecco, più Europa; sei stato al matrimonio di un italiano ed una serba e hai pensato: qui, più Europa; con la bocca piacevolmente impastata da una Grimbergen brune che però un po' lasciava annebbiare pensieri e rallegrare memorie, hai parlato con una coppia d'amici, lei italiana e lui greco, e hai pensato: beh, più Europa; sei stato in viaggio con un'altra coppia di amici, lui italiano e lei belga, e hai pensato: toh, più Europa. Eppoi c'è la collega portoghese ed il marito belga, l'amico italiano e la ragazza portoghese, il collega francese e la ragazza belga d'origini spagnole: più Europa per tre. Certo, c'è anche l'amica spagnola che dopo due anni decide di lasciare il ragazzo greco conosciuto a Berlino, perché lui non trova lavoro in Spagna e nessuno dei due lo trova né a Bruxelles né a Londra e la distanza col tempo fa male: eh, meno Europa. Ma c'è pure l'altra coppia di amici, lei spagnola e lui francese, che pur di star insieme si trasferiscono da Limerick ad Amburgo e da Amburgo a Londra, seguendo percorsi di scrivanie ed abbracci. E tu pensi: così, più Europa. Più Europa perché entrano in contatto realtà lontane per sfatare o confermare stereotipi e fantasie mentre alfabeti dagli accenti dissonanti producono sinfonie improvvise di promesse e diversità: e si genera ricchezza, di culture che s'annidano e di famiglie che si spostano, s'incontrano, di nuove generazioni che nascono dalle radici più estese.

Dev'essere grazie a quel progetto d'Europa senza frontiere, a queste generazioni di free movers - pensi - che varcano confini spinti da nuove opportunità e agevolazioni, spogliandosi di nazionalismi opachi e creando nuovi spiriti continentali. E invece no. Perché sebbene siano studi soltanto recenti, pare che in Svezia, ad esempio, l'avvento dell'Unione Europea non abbia influito in alcun modo nella crescita di matrimoni tra europei. Idem in Svizzera e Belgio, dove prevale da sempre il fattore linguistico più di quello europeo. Stabile in Italia e in leggero aumento in Spagna. Mentre tu vedi più Europa in giro quindi, nulla o poco più è cambiato a livello di mix secondo i dati. Tu ne sei diventato spettatore, semplicemente, e la tua percezione è lì pronta ad ingannarti. Già t'immaginavi, tra pensieri di crisi e propaganda e le memorie lontane di progetti iniziali e padri fondatori, i discorsi di Barroso a parlar d'amore quasi fossero pagine di Moccia, già fantasticavi sulle smorfie di Van Rompuy inneggiare a comizi di Antonio Albanese in Più pilo Più Europa per tutti, forse più efficace di tanti altri discorsi di tagli e rendiconti. E invece no.
Quello che invece ci dicono, i dati, è che aumentano i matrimoni tra europei ed extraeuropei, un po' ovunque, e che invece di guardare all'Europa, vecchia e consunta oramai, forse dovremmo percepire meglio altre aritmetiche, più globali e meno politiche, perché il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non può conoscere, direbbe giustamente Pascal, e i pregiudizi hanno le proprie statistiche, che le statistiche spesso non confermano.

Come si vive a Bruxelles?

È una domanda che viene posta spesso, da chi ha in programma un trasferimento a Bruxelles, ed è una domanda a cui non è facile rispondere, perché ognuno vive la propria Bruxelles, con le proprie aspettative, compromessi, abitudini, con il proprio carattere ed il proprio bagaglio culturale, esperienze lavorative, connessioni sociali. C'è una Bruxelles per tutti, ma non è detto che tutti la trovino.

Chi si lamenta di Bruxelles cade sempre su almeno uno dei classici argomenti:
- la città è sporca: vero, soprattutto in centro, i trasporti, le strade. Dipende molto dalle zone che si frequentano, ma il primo impatto è sempre un po' impressionante, più che altro per le attese e lo stereotipo di città del nord pulita e perfetta.
- la burocrazia è assurda: vero, ma è il Belgio in quanto stato ad essere complesso, spesso surreale, incastrato in un politicamente corretto perenne tra francofoni e fiamminghi e nella decentralizzazione di diversi poteri. L'Europa, seppur qui rappresentata con istituzioni e bandiere, è ancora un progetto molto lontano e la burocrazia e le tempistiche che affronterete ve lo confermeranno.
- la città è un continuo cantiere: vero, ma dovrebbe essere una cosa positiva, vuol dire che le cose si muovono, cambiano, si adattano. Ovviamente anche qui i cantieri durano tanto, spesso troppo, e nel frattempo bisogna conviverci.
- la microcriminalità impazza: vero secondo le statistiche recenti, e sono molti gli amici o conoscenti che hanno subito almeno una volta uno scippo, un finestrino della macchina sfondato, un furto in appartamento. Bisogna fare attenzione, anche nelle strade più alla moda potrebbero sempre strapparvi il telefono dalle mani e scappare. È una delle conseguenze negative del boom demografico degli ultimi anni. Per fortuna non riguarda tutti, personalmente in 4 anni non ho nulla da denunciare e non mi sono mai sentito in pericolo.
- il traffico è asfissiante: vero secondo le statistiche, che riportano Bruxelles tra le città più imbottigliate d'Europa, ma probabilmente vi riguarderebbe solo nel caso in cui doveste prendere il ring ogni giorno. I problemi di parcheggio poi sono quelli tipici di ogni città. E bisogna abituarsi alla santa precedenza a destra, sempre.
- il cielo è sempre grigio: siamo nel nord Europa, di cosa ci meravigliamo? Sebbene se ne parli sempre però, la pioggia non la fa da padrona, a Bruxelles piove relativamente poco. Il cielo però ha spesso quel grigiore che può influire sul morale. Quando i cambiamenti climatici porteranno il sole perpetuo anche qui, ci si lamenterà del troppo caldo (che rende la città appiccicosa e maleodorante, per la sua alta umidità e per la naturale inadeguatezza infrastrutturale).
- i belgi sono razzisti: chi lo dice è un tacchino, tutto qui.

Chi invece elogia la città vi parlerà sicuramente di almeno uno dei suoi punti forti:
- Bruxelles è viva: festival, concerti, manifestazioni d'ogni genere sono all'ordine del giorno: le mille organizzazioni europee ed internazionali, il mix culturale e le varie comunità della città generano una maratona continua d'eventi, di iniziative, per ogni tipo di pubblico. Annoiarsi è davvero difficile.
- Bruxelles è internazionale: probabilmente non ci sono altre città in Europa dalle stesse dimensioni e lo stesso livello internazionale di Bruxelles, un concentrato di multiculturalismo dovuto sì alla presenza delle istituzioni europee, ma anche alla NATO, al passato coloniale in Congo, alla lingua che richiama molti dai paesi nord africani, alla posizione geografica vantaggiosa, creando una torre di babele, un mix incredibile ed una diversità apprezzata da molti come ricchezza unica.
- Bruxelles è mediterranea: sebbene situata nel nord Europa, la città ha molto di mediterraneo, con i suoi pro e contro ovviamente. Ma i suoi mercatini multicolore, le sue piazze popolose, le terrazze incuranti del tempo e la vita che s'incontra per strada, ricordano a tutti gli effetti altre latitudini.
- Bruxelles è un villaggio: le dimensioni ridotte ed il sottoinsieme di città che alla fine ci si ritrova a frequentare, rendono Bruxelles un villaggio dove incontrerete spesso per strade facce conosciute, amici, colleghi, aiutandovi a sentire più parte del tessuto urbano, riducendo tempistiche di spostamenti ed incontri, sapendo di essere sempre a non più di 10 minuti di taxi da casa.
- Bruxelles è verde: più di 30 parchi sparsi per tutta la città (tra le più verdi d'Europa), molti spesso da scoprire, polmoni urbani che accolgono sportivi, lettori, famiglie, eventi ed attività, che si trasformano in spiagge estive e perfetti luoghi d'incontro per socializzare e ricaricarsi.
- Bruxelles offre opportunità: tantissime, grazie alle istituzioni ed enti, aziende internazionali presenti. Ma c'è anche tanta competitività, di persone qualificate che arrivano da tutta Europa pronte a farsi valere. Bisogna essere preparati e motivati. E provarci.
- Bruxelles è al centro di tutto: a metà strada tra Parigi ed Amsterdam, tra Londra e Francoforte, tutto è a poche ore di treno o di macchina, offrendo fughe rilassanti a portata di fine settimana.

Difficile descrivere tutto ed in modo verghiano. Nessuno vi dirà mai come voi vivrete in una città, perché nessun altro è voi. Chi valora o si ritrova in diversi punti forti, dimentica, si adatta, assorbe più facilmente quelli lamentabili; chi invece cade nella spirale dei lamenti, ignora, sminuisce, critica quelli positivi o semplicemente non li ritiene abbastanza consistenti per giustificare la propria permanenza. Come in tutte le città, sono scelte, tutta questione di compromessi e bilanciamenti personali. E siccome la vostra felicità dipende soprattutto dal posto in cui vivete, compromessi e bilanciamenti sono vitali per il vostro sorriso.
Ah, e Bruxelles è anche italiana, tanto, forse troppo, punto forte per alcuni o lamento per altri, l'importante è non prendere troppo sul serio la propria nazionalità. Soprattutto a Bruxelles.

Equilibri itineranti

Da quando hai lasciato l'Italia è successo che hai visitato tanti panorami distinti in giro per l'Europa, ma anche Capri, Pompei, Amalfi, Positano, che son sempre stati lì, a poche ore da casa, e pure Firenze, Milano e la Valle d'Aosta, che non erano a poche ore da casa ma c'erano limiti di risorse economiche, di priorità, di rimandi, e alla fine conoscevi poco più del tuo intorno memorizzato, sicuro, conservatore. Da quando hai lasciato l'Italia è successo che hai incontrato tante culture distinte, tra alfabeti e mondi da decifrare, ma anche piemontesi, siciliani, emiliani, pugliesi, toscani, friulani, alcuni avresti potuto incontrarli anche in Italia, altri forse pure, nelle casualità di connessioni ed amicizie, ma ad incontrarli fuori c'è meno diffidenza, c'è qualcosa in più in comune, lo star fuori, e hai imparato espressioni in dialetti lontani, provato ricette dai sapori sconosciuti, imparato cose di chi condivide sì la stessa lingua ma abitudini spesso completamente opposte. O le stesse, a distanze fatte di chilometri e luoghi comuni. Da quando hai lasciato l'Italia è successo che hai studiato tante cose, lingue straniere e cose di lavoro, culture e storie di città che t'ospitavano per periodi sempre più lunghi del previsto, ma hai studiato anche gli anni di piombo in Italia, le vicende di Pippo Fava, del piccolo Alfredino, la storia dei briganti, le parole di Gramsci e tanti altri eventi, momenti, personalità collegate a quella nazionalità riportata su documenti ed accenti, che altrimenti basta soltanto alla burocrazia e poco altro. Ce ne son tante, di cose che non sai. Cose che magari avresti ricercato comunque, per età, interesse, per un riferimento non immediato in un articolo di giornale, per caso, ma che fuori poi hanno un sapore diverso, perché da quanto hai lasciato l'Italia è successo che hai interagito con tante patrie, tue ed altrui, banali e inattese, in giochi pirandelliani di stereotipi e conferme, ritrovandoti ad odiarla, quell'Italia che hai lasciato, ma anche ad apprezzarla, ancora evitarla, poi cercare di capirla, leggerla negli altri e riconoscerla in te, perché si lasciano panorami ma non si cancellano nell'oblò di un aereo, si calpestano terre nuove ma rimangono odori di quelle di ieri. E si sviluppano nuove radici, inevitabilmente, rompendone altre, alleggerendole, per poi rafforzarle, come se si dovesse colmare una mancanza o giustificare una partenza, come se scoprire e gustare nuove tonalità d'umanità inneschi una reazione di curiosità e rimpianto, alimenti la volontà di conoscere quello che si dovrebbe conoscere ma non s'insegnava, visitare quello che si dovrebbe aver visitato ma si rimandava, e non per nazionalismi o altri sentimenti religiosi di bandiera, ma per la semplice voglia di sapere, pur con la consapevolezza di non voler tornare, perché si sta bene dove si sta, in una sorta d'equilibrio da appagare c'è bisogno anche di conoscere meglio quello che si è lasciato. E masticarlo, conservarlo, portarlo con sé.

Cose che fanno ridere gli stranieri, tantissimo

Esperimento consigliato: provate a spiegare ad uno straniero che con gli spaghetti rimasti da un pranzo potete preparare una bella frittata ed avrete risate assicurate, incredulità e stereotipi consolidati, perché la pasta, la pasta, la pasta.
Poi però ditegli che è pure buona, ma senza ridere.

Perché senza Linkedin hai un'arma in meno

Rimango ancora sorpreso dal numero di persone che mi contattano perché alla ricerca di un lavoro all'estero, in particolare a Bruxelles, ma senza un account Linkedin. Anche i più riluttanti e contrari ai social network dovrebbero abbandonare certi preconcetti, soprattutto se alla ricerca di un lavoro, e creare un profilo Linkedin, quanto prima, curarlo anche più del proprio curriculum e lavorarci, migliorarlo, espandere la propria rete di contatti. Perché? Linkedin, comunità virtuale che conta oramai 200+ milioni di utenti, è diventato praticamente indispensabile per la ricerca di un lavoro qualificato ed utilizzato da recruiters e personale delle risorse umane (HR) per cercare profili interessanti e proporre opportunità di lavoro. Non averlo significa perdere già una serie di possibilità e canali di comunicazione che, se state cercando lavoro, potrebbero risparmiarvi tempo ed energie.
I consigli che non smetto di ripetere potrebbero farne capire l'importanza:
  • Create un profilo a partire dal vostro curriculum, affinatelo, cercando di essere brevi ma precisi; elencando titoli ed esperienze e concentrandovi su parole chiave e punti da mettere in risalto. Siate onesti, ma sappiate anche vendervi per quello che potete offrire. Periodicamente revisionatelo e domandatevi se rispecchia davvero le vostre potenzialità, se risulta interessante a chi lo vede e potrebbe chiamarvi per un colloquio.
  • Espandete la vostra rete di connessioni, con colleghi, amici, conoscenze. No, non siamo su Facebook, vanno bene anche quelli che non conoscete bene. Perché? Perché più connessioni avete, più la vostra rete di possibili contatti (quelli a 2 gradi di connessione) si estende, aiutandovi nei risultati delle ricerche, nei dettagli che potrebbero interessarvi, nei profili che vorreste aggiungere (nei limiti di un account gratuito).
  • Arricchite il vostro profilo con competenze e progetti a cui avete lavorato. Chiedete ai vostri colleghi di raccomandarvi o incoraggiare (+1) alcune conoscenze. No, non c'è gara all'abbondanza e non avranno un ruolo determinante nel vostro profilo, ma averne non vi danneggerà di sicuro.
  • Se state cercando lavoro a Bruxelles, per esempio, vi servono contatti del posto che aprano nuove connessioni (a 2 gradi da voi). Cercate recruiters e personale HR di aziende che operano sul posto e che potete contattare direttamente: nella maggior parte dei casi vi aggiungeranno e automaticamente avrete nel vostro flusso di notizie i loro aggiornamenti, quasi sempre relativi ad offerte di lavoro da valutare e magari considerare. Quando qualcuno mi contatta cercando lavoro a Bruxelles, lo aggiungo alla mia rete per facilitarne il raggio d'azione in Belgio ed in più ho già pronti una trentina di contatti (recruiters, HR, ma relativi al campo informatico) da proporre, che saranno quindi a 2 gradi di connessioni e che potrebbero aiutare nella ricerca del lavoro.
  • Con un profilo professionale ed una rete ben estesa, contattate direttamente recruiters e personale HR: il messaggio deve essere breve (per limite di caratteri consentiti), formale e preciso; siete alla ricerca di un certo tipo di impiego a Bruxelles (non qualsiasi cosa), disponibili, in attesa di riscontri; andate al sodo, mandatelo in inglese, non perdetevi in traduzioni francesi o addirittura olandesi. E attenti ai copia e incolla.
  • Preparatevi una lettera di motivazione (in inglese) che sarà un modello da mantenere per il 70%, ma da personalizzare in base ad azienda, posizione, competenze richieste. Non elencate di nuovo il vostro cv, si chiama lettera di motivazioni: esprimete le vostre motivazioni. Vi servirà quando i contatti acquisiti tramite Linkedin inizieranno a rispondere. E ricordate che i recruiters non sono angeli: chiarite sempre tutto prima di accordare colloqui.
  • Linkedin vi offre un mare di dati: usatelo. Siete interessati ad una azienda? Cercate chi ci lavora, cosa fa, come descrive il suo lavoro nel proprio profilo, che tecnologie usa, che clienti hanno, progetti, esperienze. Cercate chi ci ha lavorato (sempre tramite la ricerca avanzata di Linkedin) e come ha evoluto la sua posizione, per quanto tempo ci ha lavorato e cosa ha fatto durante quell'esperienza di lavoro (potete rendervi conto, per esempio, se un'azienda di consulenza fa davvero del body shopping facendo cambiare progetti ogni 3 mesi ai propri impiegati). Avete un colloquio fissato? Cercate il vostro contatto su Linkedin, la sua carriera, i suoi punti forti, studiatevelo in modo da poter essere pronti a qualsiasi domanda (funziona, ve lo assicuro). Cercate il direttore del dipartimento per il quale dovreste lavorare, il suo profilo, le sue competenze (e mentre guardate profili altrui, potete anche nascondervi). I dati sono tutti lì, se siete motivati e svegli, saprete come usarli per il vostro fine e, sì, adesso capite sicuramente meglio perché vi serve una rete estesa.
  • Giocate alla pesca: andate a visitare i profili di personale HR o recruiters che non potete contattare o preferite non contattare direttamente. Nei loro aggiornamenti sapranno che avrete visto il loro profilo, una buona parte verrà incuriosito a visitare il vostro, qualcuno potrebbe contattarvi. Chi dorme non prende pesci, vale anche su Linkedin.
  • Nella maggior parte dei casi, non vi serve un account a pagamento. Consideratelo solo se in difficoltà con l'espansione della propria rete e in caso si volessero contattare determinate persone (con i messaggi InMail).
  • Come al solito, Linkedin è solo uno strumento, complementare ad altri che non vanno abbandonati nella ricerca del lavoro, ma che usato con creatività e astuzia può aprire nuove ed interessanti opportunità grazie all'enorme mole di dati fornita. È tutto lì, dovete solo usarlo: in bocca al lupo.

Quando parli con un fiammingo

Ci son due cose essenziali da non trascurare, quando parli con un fiammingo (e probabilmente anche quando parli con un tedesco, un danese, uno svedese), che saltano all'occhio quando ne inizi a studiare la lingua e quindi la cultura, cose che nell'evoluzione di un popolo s'influenzano a vicenda, inevitabilmente. La prima, all'apparenza banale, è che il linguaggio è molto più diretto rispetto a lingue latine, rispetto anche alla tua quindi, e non ci sono troppe giravolte intorno ad un concetto o formule esasperatamente lunghe in ambiti formali: meglio andare al sodo, brevemente, senza ambiguità né altalene linguistiche. Può sembrare a volte troppo diretto, quasi sgarbato per alcuni, e invece è semplicemente la lingua (e le abitudini che poi si trasmettono alle altre lingue parlate). Attenti però a non cadere nell'errore del tacchino, nel concludere che la lingua sia meno espressiva, meno ricca, soltanto perché meno pomposa: ogni lingua ha una propria espressività, perfetta per la cultura che ne è indissolubilmente associata, ed in grado di comunicare tutto quello di cui si ha bisogno. Capita spesso, per esempio, d'incontrare italiani all'estero elogiare l'italiano perché mille volte più espressivo dell'inglese, confondendo però per inglese quel 20% d'inglese che si conosce: la tua lingua madre sarà sempre più espressiva delle altre, per te, perché è tua e perché sei cresciuto nella cultura che combacia con essa.

La seconda cosa da non trascurare, quando si parla con un fiammingo, è che spesso il verbo o la negazione possono comparire alla fine della frase, in costrutti linguistici a noi ovviamente non familiari, e proprio a causa o grazie a questa struttura interrompere qualcuno mentre parla più che intollerabile diventa insensato: se il verbo è alla fine e m'interrompi alla terza parola, hai solo il 30% delle informazioni necessarie, non puoi sapere cosa sto per dirti, mentre in una lingua latina probabilmente avresti già il verbo e con esso l'80% del significato. Certo interrompere non è mai cosa gradita, ma in certe lingue diventa ancora più difficile da giustificare. E abituati a certe lingue, anche parlandone altre rimane l'abitudine a non essere interrotto (o non tollerarlo come in altre).

Per questo, se vi trovate a Bruxelles per un colloquio e di fronte avete un fiammingo - e ve ne accorgerete facilmente, non solo dall'aspetto, ma anche dall'accento nel parlare inglese (o francese) - meglio non interrompere, mai. E meglio non girar troppo intorno alle domande, dando risposte veloci e precise. Un fiammingo, per esempio, avrebbe scritto questo post con la metà delle parole. O anche meno.

Equilibri necessari


E dopo un mese d'estate inattesa, proprio lì dove s'andava al mare qualche
fine settimana fa, ecco che la natura riporta i suoi equilibri, in modo maestoso.
A Knokke, sulla costa belga.

Se venire dal sud diventa un vantaggio

Il nodo alla cravatta non troppo stretto, ad un colloquio interminabile però stimolante, è perfetto per evitare che ansia e pensieri si blocchino in un rigurgito di panico, e quella finestra alle spalle della tua intervistatrice aiuta a lanciare lo sguardo fuori, anche solo per qualche instante, come se tra le pennellate di nuvole nel cielo ci fossero le risposte a quelle continue domande. Non ci sono, ma aiutano a trovarne, nella distrazione apparente o soltanto nel cambiare sguardo e lasciar scivolar via un po' di pressione. È lì, la pressione, tutta sul pavimento, la tocchi con il tacco delle scarpe, dopo la prima ora di colloquio preliminare, classico, di quelli fatti e rifatti, un po' memorizzati, un po' fastidiosi quando si arriva (sempre con quell'espressione quasi fosse una tecnica personalissima, inventata, che spiazza) alle domande sui tre punti deboli. Ne hai tanti, da dire, ma nessuno da condividere, come al solito, se non quelli preparati, pure loro come la poesia di un bambino, però più espressivo, furbo.
Quando poi si è passati alla Case interview, il nodo alla cravatta s'è stretto ad abbracciarti il collo, forse a proteggerti. Perché - ti ripeti in monologhi segreti però continui - perché c'è bisogno di tutto ciò? Perché adesso deve porti di fronte ad un problema assurdo, come per esempio spostare il Colosseo in Sicilia o calcolare quanti barbieri ci sono a Sidney? Dopo la prima selezione di lettere di motivazione e i test online di matematica, statistica e logica, c'è davvero bisogno di questa benedetta Case Interview? Sì, ti sei risposto, perché in fondo non potevi altrimenti, mentre lei sfoglia i suoi appunti, scrive qualcosa, sottolinea parole che avevi mescolato a carriera, passato e aspettative, percorre una lista di paragrafi che non sanno nulla di te ma che serviranno a giudicarti insindacabilmente. Intanto fuori c'è ancora luce quasi ci fosse stato un altro giorno da attraversare, nonostante le 19:00 passate, e le nuvole procedono lente, ignorandoti. Tranquillo - ti ripeti - mal che vada sarà comunque una bella esperienza. Tranquillo - ti rincuori - se sbagli qualcosa, how fascinating.

La corruzione - dice lei. La corruzione - ripeti muto fissandola con attenzione. La corruzione nel mondo, dobbiamo eliminarla - continua lei. Eliminarla - scandisci muto a scanso di equivoci tra udito e cervello. Ed eccola, la domanda della case interview, eliminare la corruzione del mondo, voilà, tocca a te, eliminarla, spiegare come, mostrare ragionamenti e strategie, impressionare se possibile. Una goccia di sudore attraversa lenta il collo per perdersi assorbita dalla camicia già bella stropicciata, sulle spalle, mentre una mano ti strofina una gamba quasi a ricaricare meccanismi necessari per reazioni immediate, come se stesse per far partire il colpo di pistola che fa poi scattare tutti i corridori allineati.
La corruzione. Inizi col descriverla in modo generico, col menzionare indici globali di trasparenza che vanno letti al contrario, riempiendo la stanza di parole come potere, gerarchia, burocrazia, tracciabilità, morale, abitudini, orchestrandole in gradi di granularità e contesti, cercando negli occhi di lei consensi, indizi, direzioni.
Almeno 5 vantaggi della corruzione - chiede lei, annotando qualcosa, lenta. Cinque vantaggi - ti chiedi muto. E come una serie d'immagini nitidissime ti ritorna in mente tutta una realtà passata, fatta di negoziazioni, accordi, pagamenti in nero, amicizie, parentele, al comune, dal meccanico, alla scuola, alle elezioni, potere, il vicino di casa, l'appalto, scene chiarissime di sopravvivenza e cultura, usi e costumi, in terre del sud di brava gente. Ti è bastato elencarne gli scopi, le giustificazioni, in un esercizio di memoria tanto spontaneo quanto fastidioso.
Cinque svantaggi adesso - ti chiede lei, continuando a prendere appunti, accennando approvazione con un sorriso sottile. Cinque svantaggi - ti risuona muto però doveroso. E via, altre immagini, di ecomostri a piè di spiagge, di autostrade dai lavori eterni in mano alla malavita, d'utopie di meritocrazia, di rifiuti tossici smaltiti in campi di limoni, evasione fiscale, malasanità, sfruttamento d'immigrati, e blimp, s'accende una lampadina, s'aprono altre connessioni, spinta alla brain drain, mancanza di brain gain, vedi la penna di lei riempire righe e righe, mentre la stanza s'affolla di ricordi, rancore, amarezza.

Sei stato appena nominato project manager del team che si occuperà della riduzione della corruzione, cosa fai? - ti chiede, con una mano riordinandosi capelli fuori posto, come se le parole vomitate fino a quel momento le fossero arrivare al viso, cadendo magari sugli appunti. Cosa fai? - vorresti ripeterti ma già cominci a parlarle, di POC, esperimenti locali, progetti sperimentali in UK di trasparenza in rete da analizzare e replicare, di ROI, stime, capriole e acrobazie nell'aria, se ne va, di nuovo lo sguardo fuori a giocare con le nuvole, appena lei ti ferma, soddisfatta, cosa avrà scritto non si sa, ma si complimenta, contenuta, dopo quasi 3 ore di colloquio. Non lo sa, che sei sudatissimo, e che un po' l'hai ringraziata, nel stringerle la mano alla fine, per averti domandato della corruzione, che era come chiederti di descrivere un piatto di pasta, un panorama, un proverbio. Ti saluta, con il sorriso del dentista che già sa che ti rivedrà presto. La saluti, con il sorriso compiaciuto di chi ha trasformato merda in cioccolato, un po' amaro però.