Congo in limbo

Da due mesi è in programma qui a Bruxelles una mostra fotografica sul Congo a cura del fotografo belga Cédric Gerbehaye. La mostra si intitola Congo in Limbo. Congo, un posto lontano. In limbo. Ma cosa significa un paese in limbo? Significa un paese in uno stato indefinito di incertezza, dove la situazione sembra non cambiare quasi in modo irreale, dove le cose sembrano bloccate in uno stato surreale da un tempo imprecisato, come sospese in una terra di nessuno dove però in tanti sembrano voler partecipare al banchetto prelibato di ricchezze e corruzione, lasciando intorno al tavolo lacrime, miseria e sangue.
Pannello all'entrata della mostra Congo in Limbo, a Botanique, Bruxelles. Foto scattata qui.

Ed eccolo il limbo del Congo. Ogni mese 45.000 persone vengono uccise nella Repubblica Democratica del Congo. Ogni mese più di 20.000 bambini muoiono di fame o per malattie facilmente prevenibili (in un mondo normale). Dall'inizio della guerra sono già morti 5.4 milioni di persone, il conflitto con maggior numero di vittime dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. La maggior parte delle vittime sono morte per cause non violente, per malaria, malnutrizione, di cui il 47% bambini. Al momento almeno un milione e mezzo di congolesi sono rifugiati o vagano dopo aver dovuto lasciare la propria casa. Ogni giorno in media 14 donne vengono stuprate, nello stato definito capitale mondiale dello stupro, dove anche gli uomini sono soggetti allo stupro, dove lo stupro è diventato un'arma di guerra, per diffondere malattie, per traumatizzare famiglie, dove donne stuprate vengono rifiutate alla porta di casa e costrette al vagabondaggio, dove molti degli stupri non vengono contati nelle statistiche perché terminati in decessi, in un paese in cui ogni statistica è soltanto una stima, durante una guerra che dura da oramai 15 anni ma che raramente compare sui giornali, nella televisione. Per il limbo non c'è spazio nei media.
Il mondo ignora il Congo o meglio l'occidente, perché conviene, perché Stati Uniti, Francia, Belgio e Gran Bretagna in competizione con la Cina sostengono parti diverse e conflittuali del paese, alimentando in questo modo un perenne stato di tensione, ma ben sfruttando le risorse del ricchissimo suolo congolese, di diamanti, d'oro e di coltan (utilizzato nei nostri cellulari). Per paradosso, l'estrema ricchezza di quei terreni è la maledizione del Congo, terra di nessuno in cui ogni potente cerca di arraffarsi la sua parte di profitto ben manipolando politica ed etnie in guerra, lasciando il resto ad accumularsi in quelle agghiaccianti statistiche prima elencate ed in uno stato immutabile di limbo.
Particolare di una foto di Cédric Gerbehaye, Congo in Limbo. Foto scattata qui.

Dall'olocausto nero del colonialismo belga del 1885 (qui immagini forti), ben più esteso e sanguinoso di quello ebreo (fino a dieci milioni di vittime) ma sicuramente meno importante perché scomodo per i poteri internazionali (e perché non legato ad una guerra, ma ad uno sfruttamento), alla indipendenza del Congo del 1960, anno in cui il congolese Patrice Lumumba prende la guida del paese pieno di speranze ed entusiasmo, quella terra nel cuore dell'Africa ha avuto tanto sole, ma poca luce, pochi sorrisi. I libri di storia (ma anche nuovi blog un po' deludenti) racconteranno che l'anno seguente Lumumba fu assassinato per una lotta al potere dal colonnello Mobutu, ma come per Thomas Sankara anche questa volta la CIA seppe compiere il suo dovere orchestrale e spianare la strada allo sfruttamento occidentale. Già, Belgio al principio, ma poi tanti altri arraffatori di ricchezze. Il presidente statunitense Eisenhower preferiva eliminare Lumumba e così fu. Poi gli U.S. fornirono 300milioni di armi e 100milioni di training militare alle milizie di Mobutu, giusto per incoraggiare il regime dittatoriale in cambio di domini commerciali, finanziando le bramosie di una persona non curandosi della povertà di un intero paese.
Particolare di una foto di Cédric Gerbehaye, Congo in Limbo. Foto scattata qui.

Il governo violento e dispotico di Mobutu cadde poi (1996) sotto la pressione delle varie etnie presenti sul territorio (circa 200) e degli stati limitrofi ansiosi di mettere le mani sulle ricchezze del Congo, al suo posto salì al potere il generale Kabila forte del supporto di Angola, Zimbabwe e Namibia contro la coalizioni formata da truppe congolesi alleate all'etnia dei Tutsi ed ai paesi del Rwanda, Uganda e Burundi. L'amministrazione Clinton fornirà poi supporto militare anche a Kabila, ma durerà poco, visto che nel 2001 verrà assassinato. Già, non solo Belgio e Stati Uniti, ma con il tempo anche i vicini han saputo sedersi al tavolo dell'abbuffata sanguinosa. Il Rwanda, ad esempio, si giustifica nel voler mantenere sicure le proprie frontiere, poi però ecco 20mila truppe per il controllo dei diamanti. E poi ecco anche la Cina alla ricerca del cobalto. Ed alla fine è limbo, in una storia di alleanze cambiate in modo da raggiungere profitti economici, ripetute operazioni militari e violenze in aeree ricche di minerali preziosi (diamanti, coltan, tin, cassiterite, copper, timber, 125 compagnie americane hanno avuto finora un ruolo di sfruttamento della guerra), ostacolando aiuti umanitari, attuando torture, stupri, saccheggi di villaggi, furti in centri medici, agevolando corruzione ed infuocando rivalità tra i vari gruppi etnici, tutto per interessi economici.
Particolare di una foto di Cédric Gerbehaye, Congo in Limbo. Foto scattata qui.

E il limbo è quello che resta oggi. Mentre la guerra continua e la parte est del paese è oramai in mano a forze straniere, le popolazioni sono costrette ad abbandonare le proprie terre, ci sono 2 milioni e mezzo di persone nella capitale, Kinshasa, che vivono con meno di un dollaro al giorno, in altre zone rurali si vive con meno, 0.18 dollari al giorno; ci sono più di 10.000 ragazzi soldati, più del 15% dei nuovi reclutati hanno meno di 18 anni ed un numero sostanziale meno di 12; il paese conta appena 2.000 dottori per una popolazione di 50 milioni. Il limbo ha queste facce e tante altre.
Quando sono uscito dalla mostra un senso di disagio profondissimo ha assalito ogni altro umore possibile. Parte della nostra ricchezza quotidiana, dei servizi, del progresso, dei benefici, è macchiata di sangue ma non lo sappiamo o preferiamo ignorarlo, dimenticare, coinvolti nella giostra veloce degli impegni importantissimi. E riusciamo anche a lamentarci, spessissimo, mentre viviamo in paradiso sulle spalle di chi è nato, è bloccato, tenta di scappare da un inferno senza uscite, un inferno tanto inamovibile ed immutabile da divenire un limbo surreale.
Particolare di una foto di Cédric Gerbehaye, Congo in Limbo. Foto scattata qui.

Da Sidney a Bruxelles, senza volare

Lavorava a Dublino da 3 anni e più, nel settore finanziario in Google, lavoro cool, ben pagato e divertente, che gli offriva l'opportunità di viaggiare anche per il mondo, con abbastanza frequenza; François, ragazzo belga originario di un paesino a un'oretta da Bruxelles, flatmate della mia ragazza in Irlanda, era sempre un tipo simpatico ai party ed aveva un sogno, quello di partire e iniziare un'avventura nuova, una sfida personale e appassionante. Così l'ottobre scorso François lascia tutto, lascia Google, lascia Dublino, compra un biglietto di sola andata per Sidney e decide di tornare a Bruxelles ma senza prendere nessun volo: utilizzerà navi, treni, auto, bici, piedi, ma nessun volo, attraverso un percorso che toccherà 22 paesi, dall'Oceania all'Asia, fino all'Europa ed il ritorno a casa.
E' arrivato qualche settimana fa, dopo 273 giorni di viaggio in solitaria, lui e la sua reflex, riuscendo ad arrivare in Asia dall'Australia grazie ad una nave cargo, attraversando Singapore, Indonesia, Malaysia e Thailandia, scoprendo i contrasti della Cambogia, meditando nel Laos, cantando Hotel California in Vietnam, impressionandosi per la socievolezza delle persone in Tibet per poi perdersi nell'immensa e scontrosa Cina e sorridere di nuovo in Kyrgyzstan, raccontarci disastri ambientali umani come quello del Mare Aral, rivedere finalmente di nuovo guide turistiche in Uzbekistan per poi lasciare l'Asia centrale ed osservare come lo sfarzo di Baku, in Azerbaijan, sembri quasi innaturale ed in contrasto con l'intorno, conseguenza del mercato del petrolio e delle ricchezze ben manifeste. Fino ad arrivare in treno, non dopo essersi innamorato della Georgia, in un tragitto abbastanza differente da quello progettato in principio ma sicuramente non meno entusiasmante e costruttivo.
Durante il suo diario di viaggio, François racconta perché mai abbia scelto di intraprendere un'avventura del genere e parla di stimoli quotidiani che andavano affievolendosi, di aver percepito che quelle 8 ore giornaliere davanti ad un monitor avevano bisogno di una scossa che lo facesse sentire vivo e che gli donasse un'esperienza di vita per scoprire il mondo e riscoprire se stesso. Il lavoro, la città, gli amici ed altre relazioni, tutto poteva aspettare, era il momento di partire per un qualcosa che lo avrebbe cambiato inevitabilmente.
Se avete qualche minuto da perdere, consiglio davvero di dare un'occhiata alle foto di François scattate durante il suo lungo viaggio, alcune sono davvero spettacolari e magari perché no, attraverso qualche immagine potremmo condividere se pur in minima parte alcune delle visioni mozzafiato del percorrere tre continenti senza volare.

The Iron Brussels Beer Marathon, 2010

Ecco, oggi ci hanno inviato la foto ufficiale dei 550 partecipanti, ricordando che
nonostante molti abbiamo perso camere, borse, cellulari, chiavi di casa ed altro a causa delle sbornie,
ecco quest'anno è stato un successone! Nella foto, da qualche parte, c'è anche andima.

Maratona della birra a Bruxelles

Che il Belgio sia indiscutibilmente il paese della birra è abbastanza noto, grazie ai suoi 800 e più tipi differenti di birra, alla miriade di birrerie e terrazze, boccali e sorrisi che colorano caratteristicamente ogni piazza, stradina e via secondaria dai piccoli centri alle città più conosciute. Un modo sicuramente divertente per assaporarne alcune ed esplorare vicoli e segreti di Bruxelles è partecipare alla maratona della birra che da cinque anni impazza per le strade della capitale.
Partecipanti della IBBM 2010 al punto di raduno prima della partenza. Ogni anno
con un colore differente, questa volta è stato il rosa a colorare la notte di Bruxelles.
Foto scattata qui.
L'evento non è ancora molto pubblicizzato e le iscrizioni iniziano qualche mese prima tenendo d'occhio il sito ufficiale della Iron Brussels Beer Marathon: nel giro di pochi giorni si raggiunge subito la quota limite di partecipanti e si attende impazienti la notte della maratona, il 20 luglio, giorno che precede la festa nazionale dell'indipendenza belga (e nessuno dovrà andar al lavoro il 21, smaltendo con calma i postumi della probabile sbornia). La maratona è una sorta di caccia al tesoro durante la quale i 500 e più concorrenti saranno dotati di mappa del centro, casacca di riconoscimento ed un vero e proprio kit d'avventura: dovranno bere 10 birre in 10 differenti pub di Bruxelles, fotografare passanti con una maschera della maratona, costruire un castello quanto più alto possibile con sottobicchieri da birra, cercare in giro simboli e segnali noti soltanto al momento della partenza e tanto altro ancora, il tutto nel giro di 6 ore fino allo scoccare dell'una e mezza, ora in cui tutti si riuniranno per la festa finale in una discoteca brussellese.
Foto di gruppo prima del fischio liberatorio. L'onda rosa è partita da Piazza di Spagna
alla ricerca delle dieci birre e dei mille sorrisi da trovare e condividere.
Foto scattata qui.
Trovare le dieci birrerie e collezionare foto, simboli, rispondere a ventuno domande e tanto altro è l'unico modo di collezionare punti per cercare di vincere il premio finale, un viaggio in Europa del valore di 500 euro. Ogni team è formato da una coppia e ha un itinerario differente in modo da non dirigere l'onda rosa verso un solo punto tutti insieme. Probabilmente pochi hanno in mente di vincere, la maggior parte pensa soltanto a divertirsi, senza fretta in ogni pub, assaporando le dieci birre e conoscendo gli altri partecipanti, fermandosi per una chiacchiera con il barrista o con i passanti coinvolti nel gioco della maschera.
Questi sono i passanti che io e la mia ragazza abbiam fermato, 5 punti ogni foto
e tante risate, soprattutto all'avvicinarsi della meta finale (e con le dieci birre tracannate).
Perché la maratona è soprattutto un evento sociale e con l'aiuto di dieci birre anche i più timidi sapranno trovar il modo di conoscere e condividere sorrisi. Impazzendo tra una birreria, una domanda ed una foto si conoscono anche angoli di Bruxelles magari prima sconosciuti, luoghi davvero carini colorati d'improvviso dall'onda rosa della maratona.
Otto delle dieci birre di quest'anno. Le ultime due mancano a causa dell'effetto
delle otto precedenti...
Se il prossimo anno capitate da queste parti, la maratona della birra è davvero da non perdere, i sorrisi sono assicurati, per capire meglio cosa intendo, basta dare un'occhiata a quella dello scorso anno:

D'eroi e santi moderni

Alla fine arriva l'eroe, quello che salva l'umanità da un pericolo incombente o che risolve con gesta incredibili un evento altrimenti catastrofico, l'eroe del bene contro il male, e arriva nella fiaba del bimbo che cresce e alimenta la propria fantasia, creando nella sua infinita immaginazione poteri straordinari, capacità e forze sorprendenti, disegnando su carta e scarabocchi il suo eroe di sorriso e coraggio. Poi crescendo magari quel bimbo davvero sogna di diventare eroe almeno per un giorno, ascoltando forse la voce di David Bowie ("we can be heroes, just for one day"), o tentando d'essere ordinario, un eroe quotidiano, come quello di Dave Grohl ("There goes my hero, he's ordinary"). Certo, non si aspetterebbe mai di immedesimarsi in qualcuno condannato all'ergastolo per duplice omicidio, qualcuno che Paolo Borsellino definisce in un'intervista del 92 come "uomo d'onore appartenente a cosa nostra.. risiedente a Milano, città dove costituiva un terminale per i traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane.. e conversando con un altro personaggio di una famosa famiglia palermitana preannuncia o tratta l'arrivo di una partita di eroina, chiamate in gergo cavalli". E non si sa se per questa esperienza con cavalli del tutto speciali o per altre doti da certificare, quel qualcuno poi giunge addirittura a far da stalliere alla villa di Arcore in amicizie e giri di poteri che il buon senso facilmente associa ma la legge si sa ha bisogno di prove. Poi alla sua morte, per non aver parlato di quei precedenti e di chi nel frattempo è salito al potere (addirittura come primo ministro), viene subito proclamato eroe una prima volta nel 2008 dall'amico Dell'Utri, riconfermato eroe dall'amico Berlusconi nonostante gli avesse preparato una piccola bomba al cancello di casa, ed infine giusto per ribadire il concetto, di nuovo eroe nel giorno di una sentenza da non dimenticare.
Quel bimbo cresciuto, quella fantasia maturata, quell'immaginazione un po' razionalizzata, si saranno confusi nei due concetti di eroi, nelle due fonti che narrano ed eleggono eroi: le fiabe irreali di colori ed inchiostro ed i personaggi politici di fama ed immutabile realtà. Quando ieri Fini ha poi smentito tutto nel giorno del vero eroe, nessun Mangano eroe, la confusione sarà aumentata o forse ogni dubbio si sarà risolto in un sospiro, in un sol colpo, finalmente. Ma subito un altro punto interrogativo, un'altra questione di fonti e surrealismi, ecco che prima proclamatosi unto del Signore (1994), poi Gesù Cristo della politica (2006), poi santo (2008), fino ad arrivare alle dichiarazioni di ieri a Milano, "mandato dalla divina provvidenza per salvare questo paese" per chi invece ha un curriculum davvero imbarazzante, ecco che d'eroi e santi moderni è davvero facile parlare, cantare, applaudire, senza pesare parole o pensare a quanta fantasia beata si ammazza, a quanta falsità sfrontata si manifesta; e la domanda del bimbo cresciuto cambia direzione ma non argomento, chiedendosi se davvero possa esistere un paese con quegli eroi e quei santi, un luogo con quelle fonti e quelle credenze.
E vissero (e continuano a vivere) tutti felici e contenti.

Behind the corner, waterskiing

Non solo turismo di cannabis e red lights, appena ad un'ora e mezza di macchina
 da Bruxelles ecco l'Olanda e le sue mille attività sportive.
Ed eccolo, il water ski centrum Schotsman, pronti per sci acquatico dove
non avrei mai pensato di provarci.
E con un tempo così davvero non si rimpiangono le nostre spiagge, perché poi
alla fine conta la compagnia e l'umore da contagiare.
Ecco come funziona: niente barca, una carrucola vi trascina (se riuscite a stare a galla)
lungo il circuito di 800m. Il mio record dopo 2 ore? Appena 20 metri...
Prima o poi ci riesco anche io con quella disinvoltura, prima o poi.
Foto scattate qui.

Iva Zanicchi for president

Ieri sera ad un barbecue a casa di amici francesi, conosco una ragazza italiana che lavora qui a Bruxelles, lei del nord, all'estero da cinque anni oramai, mi inizia a raccontare una sua giornata al Parlamento Europeo.
lei: L'altro giorno, ad esempio, chi c'era? Iva Zanicchi e...
io: Iva Zanicchi?
lei: Sì, non lo sai? E' deputato del parlamento europeo per il popolo delle
io: PDL? va bene.. va bene.. preferisco non ascoltare il nome di quel partito, già il nome è tutto un programma di falsità...
lei: come vuoi, comunque ti dicevo, c'era Iva Zanicchi e c'era l'Iva Zanicchi Fun Club!!!
io: Che???
lei: sì, c'era il Fun Club all'ingresso, neanche io volevo crederci. Poi quando lei ha preso la parola, qualcuno ha iniziato subito ad applaudire e allora lei "no grazie, sono abituata agli applausi quando canto, ma adesso non è il momento di cantare"
io: eh beh...
lei: ed allora un tizio inglese a fianco mi ha sussurrato "ma forse è meglio se cantasse"

In effetti mi era sfuggito che al Parlamento Europeo ci rappresenta anche Iva Zanicchi e dando un'occhiata al suo curriculum vitae sulla pagina ufficiale del Parlamento Europeo, c'è anche il record personale: unica donna in Italia ad aver vinto il Festival di Sanremo per 3 volte. Che merito! Già immagino l'invidia di tutti gli altri deputati parlamentari degli altri paesi membri! Loro sicuramente non potranno mai avere al parlamento europeo una voce di quel calibro.
Poi incuriosito, vedo che è stata eletta anche vicepresidente della Commissione Sviluppo del Parlamento Europeo, che tra gli incarichi ha quello di promuovere, attuare, controllare la politica di sviluppo e la cooperazione dell'Unione europea, in particolare il dialogo politico con i paesi in via di sviluppo, a livello bilaterale e nelle pertinenti organizzazioni internazionali e sedi interparlamentari, la promozione dei valori democratici, del buon governo e dei diritti dell'uomo nei paesi in via di sviluppo. Iva Zanicchi. Che poi vabbé, che detenga anche il record europeo di assenteismo parlamentare, è solo un dettaglio. Cacchio, ha vinto tre volte il festival di Sanremo, lavorava nel colosso televisivo del presidente del consiglio e poi è tanto amata dagli italiani...
Se mia nonna sapesse che sto parlando così male di Iva Zanicchi, probabilmente cancellerebbe subito il mio nome dal testamento, semmai ci fosse stato. Ma in fondo è così che funziona, in quel partito in cui tra Barbareschi, Carlucci, Carfagna, Brambilla e tanti altri, la televisione è l'anticamera della politica ed il merito è come un'offesa da evitare, conta solo l'apparenza e la notorietà, conta di più il favoritismo e la casta e ancora una volta aveva proprio ragione Ennio Flaiano, quando affermava che fra 30 anni l'Italia sarà non come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la televisione. Il problema è che abbiamo iniziato a varcare anche i confini.

Gianni, Mario e quell'Italia percepita

Gianni e Mario son due grandi amici, vivono a Roma e sorridono insieme. Un giorno Gianni parte, lascia l'Italia, decide di provare altrove, stanco di lavorare più del dovuto senza nessuna remunerazione extra e sentirsi dire di ritenersi fortunato per il sol fatto di aver un lavoro. Mario cerca di convincerlo a restare, ma Gianni è deciso ed inizia la sua avventura all'estero.

Passano 4 anni. Gianni ha una posizione di lavoro che lo soddisfa, lo stipendio è alto, in ufficio è rispettato ed ha fatto più carriera negli ultimi 3 anni che in 10 in Italia. Da quando vive all'estero ha dovuto imparare una lingua, tentare di integrarsi, cercare di attenuare i lamenti per clima, vedere alcuni amici soltanto in webcam su Skype e sentire la voce del nonno invecchiare inevitabilmente. Gianni non ha mai smesso di interessarsi all'Italia, leggendo ogni mattina le pagine web di diversi quotidiani, siti di giornalismo partecipativo, blog di firme note e non: per lui è come mantenere il contatto con il suo paese, per sapere cosa accade, per essere aggiornato, per manifestare un legame indissolubile. Da tutto questo accumulo continuo di notizie sulla politica e la vita sociale del paese che ha lasciato, inizia a nascere un certo senso di distacco, perché Gianni si sente cambiato e non capisce come si possano accettare certi livelli di corruzione, perdite di pluralità di informazione, mancanze di correttezza, di educazione civica, di giustizia.

Durante questi 4 anni Mario ha continuato a vivere in Italia, a Roma, risucchiato dagli impegni quotidiani, dal lavoro, dalla vita di coppia, da qualche hobby iniziato e poi abbandonato, dalla Serie A ed ogni anno a sperare in un calcio migliore. Anche Mario ovviamente non ha mai smesso di informarsi sulla situazione politica del suo paese, ma in modo meno ossessivo rispetto a Gianni, perché Mario non ha bisogno di rafforzare un contatto che non si sta perdendo, lui è rimasto lì e non sente il bisogno morboso di conoscere tutto, proprio perché non avendo cambiato intorno, il suo intorno lo conosce già. Sì Mario sa che le cose non sono certo da paradiso, ma è consapevole che non lo sono mai state e tanto meno cambieranno e poi c'è il lavoro, c'è la vita di coppia, ci sono le scadenze a fine mese, c'è il derby domenica.

Quando Gianni e Mario si incontrano, per un caffè due, tre volte l'anno, o in chat durante la settimana, partendo da una notizia del giorno spesso l'argomento scivola sulle solite considerazioni, sui lamenti di Gianni per la situazione in Italia, quella rassegnazione amara allo stato delle cose e quell'incredulità incessante su come quelle cose possano continuare in quel modo. Mario spesso si sente attaccato, come se di colpo il suo amico diventasse un nemico, come se Gianni avesse dimenticato tutto il resto pensando che l'Italia sia solo quella descritta nei giornali e nei blog. Gianni ripete che anche Mario è vittima della propaganda e di una certa assuefazione e che se le cose vanno così è anche perché conviene un poco a tutti o perché ci si è arresi all'immutabilità delle cose. Mario gli chiede allora una soluzione, la rivoluzione? Una magia? Fino alla classica stoccata del tu intanto sei andato via, facile così. Gianni gli ripete che quell'atteggiamento non è certo costruttivo, ma poi Mario si sente stressato per un problema che sì avverte ma non di una tale gravità, così finisce che il discorso termina incompiuto, con un impegno imprevisto, un saluto veloce, un vaffanculo amichevole.
Domani Mario e Gianni si incontreranno per l'ennesima volta in chat e probabilmente cominceranno di nuovo a parlare d'Italia, difficilmente qualcuno dei due si stancherà né cambierà d'improvviso la propria visione delle cose, mentre fuori gli eventi continuano il loro corso, senza curarsi di tutte quelle chiacchiere, quegli attacchi, quelle difese, quelle amarezze e quelle incomprensioni. E Gianni e Mario continueranno, ognuno immerso nella propria Italia percepita.

La tua felicità è soprattutto dove vivi

Recentemente ho letto alcuni brani tratti da un libro, Who's your city, di Richard Florida, studioso dell'urbanistica statunitense ed ogni sorta di argomento correlato alla evoluzione delle città moderne, in cui si descrive quanto la nostra felicità sia collegata direttamente al posto in cui si vive. Anzi, la decisione, la scelta del luogo, della città in cui vivere, viene descritta come la scelta più importante della nostra vita. Alcune delle considerazioni che seguono possono sembrare semplici e banali, ma raggruppate con ordine e tematica creano un quadro ben preciso di fattori che indubbiamente influenzano il nostro stato d'animo e quello che, per vie dirette o indirette, finisce con essere la nostra felicità.

Secondo Florida, la città scelta come luogo in cui vivere avrà un impatto molto profondo perché determinerà la tipologia di lavoro a cui avremo accesso, la direzione della nostra carriera professionale, come saranno le nostre reti sociali, il tipo di persone, di coppie che si incontreranno, come sarà la nostra famiglia e il nostro stile di vita. Pesando tutto ciò, si determina la nostra felicità. Classificando il tutto, il benessere dipenderebbe da cinque fattori principali:
1. Abbiamo sicuramente bisogno di sicurezza, è importante quindi scegliere un posto dove ci sentiamo al sicuro. La percezione della sicurezza ed i dati statistici potrebbero anche discostarsi leggermente, ma difficilmente avranno un divario notevole, è ovvio poi che in quasi tutte le grandi città esistono zone più e meno pericolose, ma il sentimento quotidiano di sicurezza è relativo ai luoghi che si frequentano.
2. Bisogna pensare alle opportunità che il luogo ci offre, a livello sociale e lavorativo, alla possibilità di trovare lavori che ci soddisfino, appaghino le nostre ambizioni (meritocrazia, ascesa al successo, ambiente lavorativo, rapporti umani, ovviamente ognuno ha le proprie esigenze e priorità); ma anche agli ozi, alle attività che possiamo sfruttare, che la città offre ai cittadini, dal cinema al teatro, dai concerti ai festival, dalle aeree verdi a tutti i servizi presenti sul territorio e a cui si possa avere facilmente accesso.
3. Terzo punto è la importanza del condividere l'etica della nostra scelta, sentire che le norme civiche di convivenza siano giuste e rispettate. Ragion per cui molti eviterebbero paesi in cui per un bacio in un luogo pubblico si corra il rischio di essere arrestati o dove il livello di corruzione raggiunge livelli non tollerabili, giusto per fare qualche esempio.
4. Inoltre, necessitiamo integrarci con il luogo in cui viviamo, è fondamentale sentire che possiamo essere noi stessi ed essere accettati per come siamo, incontrare persone come noi. Questo punto probabilmente richiede adattamento e flessibilità, potrebbe richiedere sforzo nel caso di spostamenti all'estero, dove lingua, cultura, abitudini potrebbero rappresentare un ostacolo, ma rimane strettamente legato al punto precedente e nel lungo termine integrarsi risulta fondamentale.
5. Infine, la qualità estetica ha una ripercussione non marginale, cerchiamo luoghi che ci risultano attrattivi, un intorno che sia gradevole, perché anche la vista ha un impatto sul nostro umore, soprattutto quando si tratta di un intorno quotidiano che ci circonderà per anni o forse per tutta la vita.

Leggendo questi cinque punti è ovvio pensare anche alla scelta di provarci all'estero e qui un passo di Richard Florida diviene essenziale: bisogna ricordare che al momento della scelta, come ogni altra cosa importante nella vita, non si può avere tutto; ci sono compromessi da affrontare. Molte persone che si spostano per la propria carriera devono rinunciare alla vicinanza di famiglia ed amici d'infanzia; altri che preferiscono rimanere vicino a famiglia ed amici, magari rinunceranno a migliori opportunità economiche. A ciascuno la propria bilancia, ovviamente. La mancanza di tutti i punti elencati non implicata perentoriamente una mancanza di felicità, le condizioni non sono necessarie né sufficienti, si può essere felici anche senza incontrare nessuno dei fattori descritti o essere infelice pur applicandoli tutti, ma dovendo effettuare una scelta, potrebbe essere utile tenerne in considerazioni alcuni o addirittura tutti.
E voi? Riuscite ad applicare i cinque punti elencati alla vostra città o alla città in cui vi siete spostati (e che quindi avete scelto)?

¡Que viva España!

Il centro di Bruxelles completamente bloccato, la polizia intenta a domare traffico e caroselli,
monumenti storici coperti di rosso e giallo e cori, inni, grida, lacrime: ¡que viva España!
Foto scattata qui.

Merci à la police

Un ringraziamento dovuto alla polizia a cavallo brussellese che invece di passare per
 il sentiero in terra battuta, ha preferito tagliare per il prato, dove uno dei cavalli ha
lasciato un chilo abbondante di ricordi, ad un metro appena dal nostro picnic.
E il vento soffia sempre nella direzione sbagliata...
Foto scattata qui.


p.s. una cazzata lo so, sarebbero altre le cose di cui lamentarsi e di altro tipo i ringraziamenti alle forze dell'ordine, ma ogni tanto bisogna anche alleggerirsi un po' e poi la foto a suo modo è... arte :)

How old are you?

Passeggiando per Bruxelles come non fare caso all'anno di costruzione inciso sulle
facciate di molti edifici, ognuno con il suo stile particolare. Mi son fermato a 24 e
già il collage ha iniziato ad affollarsi confusamente.
Foto scattata qui e qui e qui e... 

Quella luna troppo lontana

Dopo una lettera pubblicata su Italians, qualche giorno fa, ho ricevuto numerose email, come al solito di ogni tipo: dalle approvazioni agli insulti. La lettera parlava della recente sentenza riguardante Dell'Utri (parte di un post pubblicato su questo blog il giorno prima), argomento indubbiamente delicato, ma apparire in uno spazio web di così ampia portata è anche un modo diverso per confrontarsi con gli altri ed osservare le reazioni dei lettori. Avendo avuto già in passato l'opportunità di comparire sullo spazio web gestito da Beppe Servegnini, quello che sembra prevalere da questo insieme empirico di risposte collezionate è un quadro amaramente deludente di sentimenti scontrosi, talvolta addirittura di minacce, per la maggior parte di attacchi se non personali sicuramente ad argomenti che slittano decisamente da quello della lettera.
Dicono che quando il saggio indichi la luna, lo sciocco guardi il dito. E lungi da me dal definire l'autore saggio e detentore della Verità né tanto meno gli altri stolti per il sol fatto di avere una opinione diversa, una percezione dei fatti differente, ma se parlando di una sentenza di concorso esterno in associazione mafiosa si risponde con un elenco di avvenimenti del passato riguardanti perentoriamente la sinistra, si accusa di leggere soltanto Repubblica o di essere uno sporco rosso, se si sottolinea che tanto la cosa è ininfluente, che ne hanno già fatte di peggio o che ci sarebbe da parlare tanto anche dell'opposizione, allora ci si continua a distrarre, a sviare l'argomento, a fissare un dito o voltare lo sguardo indietro nel passato e non guardare un fatto compiuto, una condanna, una luna che sta lì e che invece sembra troppo lontana, come se non la si volesse affrontare, come se per la distanza divenisse davvero irraggiungibile, incomprensibile o soltanto priva di interesse.

Ecco, perché parlando di una condanna per mafia si continua a parlare di destra e sinistra, del passato e degli altri, di come Tizio e Caio fecero cose simili o non meno gravi? Se lo hanno fatto in passato, se lo fa l'altra parte, allora è meno grave? E' così che si pensa di voler cambiare le cose (se davvero c'è la volontà di cambiarle)? Una sentenza per mafia diventa davvero meno grave se si parla di sinistra, di leader del passato, di personaggi non meno disonesti? Non c'è nulla di costruttivo in questo modo, si applica esattamente la strategia berlusconiana di attacco, denigrazione e grida, etichettando tutti come comunisti.
Quando si parla di mafia invece, di tribunali, non dovrebbero essere coinvolte parti politiche ma bisognerebbe soltanto interessarsi alla giustizia. Se vogliamo, sinistra e destra non esistono, sono concetti estremizzati ed utilizzati per confondere il popolo, in uno stato non più di diritto quello che veramente esiste è soltanto un insieme di persone in lotta per una fetta di potere, tutto qui, semplicemente.
Quello che conta è che i giudici della seconda sezione della Corte d'Appello di Palermo hanno condannato Marcello Dell'Utri a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Questa è la luna. Il cofondatore di Forza Italia, il partito dell'attuale primo ministro, è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ma passeggia indisturbato per le aule del senato, stipendiato dai cittadini; una sentenza di questo tipo in un paese normale, con una democrazia normale, con una pluralità di informazione normale, creerebbe un putiferio. E invece ci si fissa sul dito, si richiama ai partiti, alla storia, agli antenati.
E lo stesso potrebbe accadere nel parlare delle manganellate di oggi ai terremotati aquilani scesi in strada, a Roma, per protestare e richiamare attenzione: si parlerebbe delle ultime elezioni comunque vinte in Abruzzo, della necessità di tempo per terminare tutte le strutture, dei record e degli interventi lampo di questo governo e via con in confronti con quelli passati e tanto tanto altro, dimenticando delle teste insanguinate e di come il tg1 ha relegato la notizia appena prima dello sport.

Quando Ciàula scopre la luna nella novella pirandelliana, inizia a piangere, sorpreso del mondo di fuori, di quel buio diverso dalle miniere e di cui precedentemente aveva avuto paura, di quella luce che priva ignorava. Allo stesso modo sembra che in tanti si abituino assuefatti all'oscurità delle proprie conoscenze decennali, rinnegando cambiamenti e accusando d'eresia. Ed anche di fronte ad uno squarcio di luce continuerebbero a fissare il dito o cercare difetti nella mano piuttosto che guardare quella luna e condividerne le impressioni, ma un po' come incatenati nella caverna di Platone non si conosce altra verità, si rinnega la luna e si continua, normalmente. Ecco, tutto questo vale per quell'insieme empirico analizzato ma non mi sorprenderei se si potesse estendere ad un insieme più ampio, visto che le cose vanno avanti nonostante tutto, come se fosse secondario, lontano, amaramente comico. Ecco appunto, come diceva Ennio Flaiano, La situazione politica in Italia è grave ma non è seria.

Independence day

Sabato siam stati invitati alla celebrazione della festa della indipendenza statunitense, qui a Bruxelles. Normalmente soltanto cittadini americani possano accedervi ed in casi particolari gli stranieri devono presentare un passaporto, perché se è pur vero che siamo in Europa, ci sono pezzi di terra che appartengono agli Stati Uniti d'America ed è come varcare una frontiera transoceanica con un passo avanti ed uno indietro, trovando all'ingresso proprio quei tizi da film visti e rivisti, con mimetica e mitra alla mano. Tramite parentele californiane della mia ragazza, siamo entrati senza troppa burocrazia e con sorrisi gentili in un pezzo di stati uniti brussellesi, con tanto di scuola per ragazzi, clinica ospedaliera, studio dentistico, campo da calcio, campo da baseball e tanti altri servizi a cui gli americani che lavorano alla NATO qui a Bruxelles possono accedere. Insomma un pezzo di USA ma in Belgio, alla faccia della integrazione per la quasi totalità di loro che a quanto pare dopo 3 anni e più ancora non saprebbe ordinare un waffles in francese (piacerebbe a voi andare a vivere e lavorare in un altro continente per diversi anni per vivere poi in un pezzo di Italia trapiantato altrove?).
Cimeli di guerra esposti alla festa, cambiano i mezzi, ma lo scopo è sempre lo stesso.
Foto scattata qui.
E non è tutto: nei pressi di Mons abbiamo già visitato con loro un altro pezzo di Stati Uniti con supermercati, ristoranti ed ingrossi utilizzati per acquisti e rifornimenti di ogni tipo, tutto ovviamente in dollari ed a prezzi americani. Se poi sentono davvero la mancanza, mi hanno detto che a poche ore di macchina, nella vicina Germania, c'è la più grande base americana in Europa, dove praticamente esiste una vera e propria città, sono in 60mila.

All'ingresso era tutto un insieme di bandiere a stelle e strisce e macchine americane d'epoca. All'interno un enorme tendone con tanto di palco, spalti e diverse tavolate che a giudicare dagli odori erano già pronte a lanciare hamburger in ogni direzione. Visitando la NATO non è permesso fare foto per alcun motivo, nemmeno davanti l'ingresso, ma soltanto una volta attraversata la strada (un po' esagerati?); questa volta invece con una pacca sulla spalla mi han detto che qualche scatto lo potevo fare, nessun problema con un classico accento acuto da serie televisiva.
Non vi vengono subito in mente note di qualche canzone di Elvis?
Foto scattata qui.
Ad un certo punto la donna al microfono invita tutti ad alzarsi in piedi, parte l'inno, mani sul cuore come in un perfetto gesto di ginnastica sincrona, dall'esterno entrano soldati marciando con bandiera americana e belga mentre il loro superiore gli strilla comandi a pochi centimetri di distanza. Quando prende la parola uno dei pezzi grossi (a giudicare dalle medaglie al petto e dall'aria autoritaria) lo stomaco inizia ad accusare dolori addominali e non so se per quel profumo di hamburger che aspettavano lì a pochi metri belli e pronti o per tutte quelle parole davvero insopportabili, per falsità e fanatismo, del rispetto per quella bandiera rappresentante libertà e speranza, dello sforzo degli uomini del passato per raggiungere tali diritti e di quello degli americani del presente per diffondere quegli uguali diritti ovunque, fino ad arrivare ad affermare che in nessun altro paese al mondo esiste una democrazia così perfetta come quella conquistata e che quelle stelle e quelle strisce debbano rappresentare per tutti libertà e speranza. Libertà e speranza. E democrazia. Non importa se poi si manipola mezza Africa a braccetto con l'Europa nel neocolonialismo moderno o se si manovrano decine di governi fantocci soltanto per lo sfruttamento di risorse naturali, come non importa se poi si guerreggia da anni nei paesi arabi per la conquista di petrolio e potere, è tutto per la libertà e la speranza, la loro. E la democrazia, la loro.
Bandiera di libertà, speranza e democrazia. Per tutti. Per chi ci crede.
Foto scattata qui.
Dall'ombra del tizio mi è sembrato di vedere la sagoma di Capitan America e Superman brindare con una Budweiser, ma forse erano allucinazioni causate da quei dolori addominali, che alla fine mi son quasi passati, ma scartando la tavolata di hamburger e andando per costolette di maiale e frites al bancone belga di un signore insudiciato e indaffarato, dall'inglese balbettante ma sufficiente. Al sentirmi rispondergli timidamente in francese si è quasi emozionato, nonostante il mio accento imperfetto ma palesemente non americano, e probabilmente lì in mezzo a quel frastuono di cori e coriandoli in festa in un occhiolino sorridente ci siam sentiti entrambi per un attimo meno soli.

Lovely rain

E così la pioggia che tutti aspettavano è arrivata: succede anche questo in Belgio,
dopo due settimane di sole estivo con punte record di 36 gradi, molti hanno iniziato a lamentarsi
per il troppo caldo (quasi un colmo), sarà che non ci si accontenta mai, alla fine
la pioggia è tornata, abbassando le temperature di dieci gradi.
Foto scattata qui.

Quell'imperativo bastardo

In settimana ho concluso e passato gli esami di francese per il secondo livello (comprensione alla lettura, prova di grammatica, produzione scritta, comprensione audio, orale) e da settembre già mi attende il corso di terzo livello, non ancora abbastanza per parlare fluentemente si sa, ma almeno si riesce a comunicare, esprimersi, se pur con immancabili errori e quelle pronunce ancora imperfette. Ci vuole pazienza (e costanza).
Quando a pranzo un collega francese mi ha chiesto come fosse andato l'esame di grammatica, ho risposto tutto bene, meglio del previsto, se non per un imperativo, quello del verbo avere, niente, non me lo ricordavo per niente. A proposito, qual è l'imperativo del verbo avoir - domando - Cyril?
L'imperativo del verbo avoir? Beh.. l'imperativo del verbo avoir... è... è... - Si blocca e fissa l'altro collega francese, come a cercare una risposta o un aiuto.
Oh merda, l'imperativo del verbo avoir... è... - L'altro inizia a ridere, non gli viene, allora si volta verso il terzo collega francese, cinquantenne e probabilmente ispiratore di saggezza.
Che volete sapere? - borbotta con la sua voce un po' rauca - L'imperativo del verbo avoir.. ehm... ma perché, si usa?
Mentre i tre (francesi) rimangono almeno due minuti in attesa di illuminazione, ecco che il belga (fiammingo) a sorpresa risponde a tutti: Dai, l'imperativo del verbo avoir è aie, ayons, ayez! - Creando un po' di imbarazzo tra i madrelingua che subito han giustificato ridendo - Esatto, è quello... Dai, è che non si usa molto, non importa se non te lo ricordi! Tranquillo!
Ecco, lungi da me dal pensare che loro non conoscano la propria lingua, ma il belga ha continuato a mangiare con un certo ghigno di soddisfazione. Qualcuno di loro gli avrebbe chiesto probabilmente l'imperativo in fiammingo, se solo ne avesse capito le parole, mentre io ho pensato a quello italiano (non immediato) o a quante volte la mia ragazza mi domanda una regola ed io inizio a ridere di quel riso tra sforzo ed incredulo come i colleghi francesi, perché è così, quando si parla la propria lingua tutto viene naturale, ovviamente. Per esempio, voi quanti secondi impiegate per ricordare l'imperativo del verbo avere? Pochi? Molti? Non vi viene? Tranquilli, verrà, abbiate fede!