Tu chiamala se vuoi flessibilità

Devi chiudere il conto in banca che avevi in Irlanda, ma vivi in Belgio adesso e l'ubiquità, no, quella ancora non c'è e nemmeno il teletrasporto, per il momento, però siamo nell'era di Internet - pensi - dove il digitale si espande nei sottostrati di civiltà in evoluzione e non estrarranno petrolio, i nostri pronipoti su macchine volanti, ma ricordi elettronici e spazzatura cibernetica. Tanta. Fai una telefonata, invii un'email allora, ed ecco che quello che ti avevano promesso come futuro abbagliante sembra davvero appartenere alla realtà, a quel presente che poi passa per le mani e sembra quasi una sorpresa quando banalmente agisce con coerenza. Questione d'abitudini. Così con poche email, stampe, firme e scansioni, senza muovere il posteriori dalla scrivania impolverata, ecco che da Bruxelles chiudi il conto in banca a Dublino. Facile, troppo facile. Poi ti chiama la banca, quella di Bruxelles, che c'è bisogno di una firma per il rinnovo di un'assicurazione, non puoi delegare alla tua ragazza e siccome non lavori più in zona centralissima, come si fa? Semplice: scansione, email, stampa, firma, scansione, invio. Fatto. Ancora non ci credi che ti contattano quelli delle dichiarazioni delle tasse, servono alcune prove di pagamento per il 2011, aspetta un attimo, un'altra email alla banca ed ecco che arriva il documento che ti serviva, te lo stampo, te lo firmo, caro ufficio delle tasse, e te lo invio. Troppo facile, fortunato - ti ripeti, con il dito del saggio a mezz'aria - sarai stato soltanto fortunato. Ma vuoi vedere che funziona anche con il comune? Sei in Belgio, l'inferno della burocrazia insensata - ti ricordi - il paese della firma con tanto di lu et apprové, eppure basta un'email all'ufficio urbanistica che a sua volta contatta l'ufficio regionale e che alla fine ti invia per email, ancora, il documento di cui avevi bisogno, con tanto di timbro e saluti cordiali. Così, quasi non ha senso. No, non hai fatto file, nessuna, però hai mandato files, tanti. Ti affiorano alla mente confronti antipatici che rinneghi repentino, lì, in fondo, dove tieni gli umori amari e gli aggettivi scortesi, però spesso mascherati da critica, però poi stemperati in una smorfia, di quando hai dovuto chiudere il conto in banca in Italia o di quando - folle - hai voluto votare dall'estero, ma è soltanto un attimo, ti ripeti Zen, zen, zen, e rimandi tutto lì, in fondo, dove tieni ricordi digeriti a metà e bestemmie ammutolite in un singhiozzo, però magari liberatorie, però poi sconclusionate, e ti preoccupi soltanto per una cosa, quella che in tutto questo scambio di email, di dita danzanti su tastiere batteriche e lingue mescolate tra accenti stonati, quella cosa che non si è mossa, mai, in tutto questo inviare, firmare, stampare, il culo, lui, che avanti così, a far tutto da una scrivania, ti si allarga di sicuro. Possiamo almeno spostare lo scanner al piano di sotto?

The girl with kaleidoscope eyes

Poi quando arriva l'estate, qui a Bruxelles, è un'esplosione di gente, sorrisi, musica e incontri.
Un viaggio, insomma, in un'altra Bruxelles, quella nel cielo, con diamanti.

Cose su una scrivania

Era il No B Day qui a Bruxelles, 2 anni e mezzo fa, ed una signora italiana scese per strada,
insieme a noi, con queste due foto prese dalla sua scrivania - disse - ed un sorriso.
Ci sono cose, su una scrivania di un italiano all'estero, che uno poi non se le dimentica.

Se non è degrado culturale allora che cos'è

No, non ci crede la prof brussellese del corso di francese, non è quella l'Italia che aveva in mente, anche se quello che si ha in mente è spesso uno stereotipo personale fatto di rappresentazioni empiriche e fantasie invecchiate, però insaporite da sogni altrui, però ingabbiate in convinzioni proprie, e basta poco per tradire immagini oniriche, spesso troppo surreali per sopravvivere immacolate. Certo, cara prof, succede anche questo nell'Italia del 2012, c'è che esplode una bomba davanti un liceo, muore una 16enne innocente ed ecco che spuntano i video della sua prima comunione, pubblici, per vendere, o una collezione di foto del suo profilo facebook, in cerca di click, tra sciacalli disgustosi in cerca di successi veloci e lettori voraci in preda a nuovi bisogni dubbiosi. No, non ci crede la prof brussellese e le sue smorfie fanno rima con incredulo e scioccato, un po' stridulo un po' agghiacciato, perché mai e poi mai - dice - in Belgio si sarebbe vista una cosa del genere, mai e poi mai - ripete - si sarebbero usati dettagli personali per ingozzare la cronaca e riempire i giornali. Si chiama privacy, semplicemente. Vede, cara prof, succede anche questo nell'Italia del 2012, c'è che scompare una ragazza improvvisamente, si coinvolge la madre in tv e le si annuncia in diretta la morte della figlia, succede che se ci fosse un primo ministro dichiarato omosessuale, come Di Rupo lo è in Belgio, si andrebbe a scavare fino ai banchi di scuola, il primo amico tenuto per mano, la prima farfalla osservata in un prato, alla ricerca spasmodica dello sporco inaccettabile, della macchia vergognosa, del gossip insensato da trasformare in titolone sensazionale e gettare a lettori affamati in preda a nuovi desideri insaziabili; succede che se si fosse schiantato un autobus con una ventina di bambini morti, come è accaduto in Belgio qualche mese fa, si sarebbero intervistati tutti i vicini di casa, frugato tra i sogni che avevano del tipo quando sarò grande, c'è chi avrebbe aperto una trasmissione con un plastico del tunnel ed il punto dell'incidente. No, non è fantascienza, amaramente. Si chiama assuefazione, signora maestra, ma anche degrado culturale e no, non ve lo so dire se sia tutta colpa dei giornalisti, della televisione o di vent'anni di Berlusconi, ma la prego, cara prof, adatti il suo stereotipo personale imperfetto ed antiquato, le chiedo scusa per aver sporcato la sua rappresentazione bucolica di un paese non troppo lontano e la smetto subito di buttare merda sul mio paese e torno a ripetere il congiuntivo ed i pronomi relativi. Ma adesso sei in Belgio - conclude la prof - non troverai di queste cose, puoi guardare soltanto i giornali belgi e smettere di rovinarti l'umore in questo modo. Non è così semplice, prof.

A 44 gradi

A 44 gradi, a Marrakech, si beve del tipico tè bollente, alla menta, ma talmente bollente che il bicchiere scotta solo a toccarlo. Però rinfresca, il tè tipico alla menta, perché - dicono - il corpo reagisce a quel calore abbassando la propria temperatura. Rinfrescandoti, appunto. A 44 gradi, a Marrakech, sorseggi un tè bollente, bevanda nazionale nonché fortuna di mille e più dentisti per la quantità di zucchero contenuta, e hai paura a scottarti la lingua, desideri un bicchiere d'acqua ghiacciata, senza ghiaccio però, che c'è il rischio che sia fatto d'acqua di rubinetto e allora vai con la dissenteria. Delicati, noi europei. A 44 gradi, a Marrakech, non sarebbe simpatico passare tutta la giornata nella riad in compagnia della diarrea, che lei, la diarrea, dissipa le forze e porta via i pensieri, quelli più liquidi, quelli che scivolano da una frase all'altra, magari duri a dimenticare, che in un singhiozzo salgono come lapsus froidiani, spesso collante necessario tra discorsi accartocciati. Ce ne son tanti, di pensieri così. A 44 gradi, a Marrakech, desideri qualcosa con del ghiaccio, pensando all'imodium nella valigia e tastando il bicchiere di tè bollente, alla menta, il tè, e c'è una goccia di sudore che dalla fronte già si prepara al salto, quando il primo sorso scende e la gola reclama abitudini tradite. A 44 gradi, a Marrakech, ti rinfreschi, di colpo, sorseggiando tè bollente. E quasi non ci credi. E quasi ti vedi già quest'estate, lì, nel sud quello però delle origini, per la classica settimana di saluti veloci, abbracci necessari e chiacchiere già ripetute, però immancabili, però pittoresche, e ti vedi seduto lì, nella piazza delle origini, al tavolo quello degli incontri, e ordinare un tè, bollente, e guardare l'effetto che fa, non di nascosto, sulla faccia del cameriere, nelle smorfie degli amici, che sì, funziona, ve lo giuro, a 44 gradi, a Marrakech, no che non son folli quei marocchini, è il corpo, le reazioni, il ghiaccio e la diarrea. Insisterai, già ti vedi, per un tè, bollente. Insisterai, forse.

Amore non ne avremo

Ha ragione Biagio Simonetta, non è facile ricordare certe persone, perché ci si può spalancare la strada alla banalità, alle frasi di circostanza, all'antimafiosità che dura un giorno. Però bisogna ricordarle, certe persone, perché se ne perpetui il ricordo, perché sopravviva all'inquinamento mediatico che soffoca, quotidianamente, e ci possa essere d'aiuto quando, davanti al banco dei confronti, si presenti uno dei tanti personaggi in cerca di protagonismo, a cui siamo abituati, di cui ci raccontano di tutto, per cui spesso riusciamo anche a rovinarci l'umore. Bisogna ricordarle, certe persone, la loro vita, i loro valori, quando lo stereotipo si presenta al banco delle nazionalità e, ancora, sembriamo come persi in un mare di fuffa e mediocrità. Le ho ricordate, certe persone, quando mi hanno chiesto di raccontare banalmente qualcosa sul mio paese, sebbene mio è un aggettivo che confonde, che equivoca, che riassume malamente, e certi racconti son sempre banali, pronti a confermare fantasie altrui su supposte verità. Le ricorderò, certe persone, ai miei figli, che probabilmente non nasceranno in Italia, senza malumori o ripicche adolescenziali, semplicemente perché sto bene dove sto, tutto qua, e le ricorderò perché le conoscano e non cadono nei miti di molti belgi di origini italiane, per esempio, nelle idolatrie di un Cannavaro ed un Buffon per una coppa del mondo o in una nota di Toto Cotugno. Ecco, che lo sappiano, i miei figli, chi era Peppino Impastato e perché è importante ricordare lui e non tanto altro.

Trova l'errore

  • Un uomo prende in ostaggio un impiegato con un fucile, ma era per delle tasse non pagate, c'è crisi, ha fatto bene, diventa un eroe
  • Un allenatore prende a cazzotti un suo giocatore, ma sembra abbia insultato la famiglia, non si tocca la famiglia, allora ha fatto bene, benissimo
  • Un tribunale sportivo sentenzia che gli scudetti sono 27, ma chissenefrega delle leggi, dei regolamenti e della giustizia, devono essere 30 in caso di vittoria quest'anno

Ma io dico che la colpa è nostra

Altro tavolo, altra giostra. Questa volta ti ritrovi a mensa con 3 francesi, un bulgaro ed una belga, l'argomento del giorno sono le elezioni francesi, o meglio il ballottaggio tra Sarkozy ed Hollande, ed il voto non è per nulla segreto o meglio non più degli ingredienti del pasto del giorno: lo guardi, lo assaggi, lo mastichi meccanico e tra parole, espressioni e risposte già sai chi va per il cambiamento e chi si tiene il vecchio che avanza, anche se continui a fissare il pasto cercando di digerirlo silenzioso, ma alcuni bocconi diventano un po' pesanti, sebbene il peso dipenda dalla gravità dominante, quando si inizia con la solita storia della destra e della sinistra ed ecco che parole, accenti e risposte si colorano di rosso e nero, brutti poi quei colori, rossoneri, e c'è la propaganda sugli stranieri, quella sull'Europa, quella sulle frontiere, quella sulla crisi e quella sull'euro, ognuna con i suoi colori, ogni cosa a destra o a sinistra, e non puoi non pensare che è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra. Dopo addirittura un diverbio sulla definizione di socialismo e comunismo, il ragazzo francese si schizza del succo di kiwi sulla camicia, maldestro il cucchiaio o chi lo usa, anche il kiwi diventa di destra, povero, il kiwi, e allora osservi la banana sul tuo vassoio, che punta a sinistra, ma basta girarla di 180 gradi ed ecco che punta a destra, la stessa banana, lo stesso concetto giallo a ricordare le parole di padre Pizarro. Ma non basta né Gaber né Guzzanti, c'incateniamo a due contenitori secolari convinti di poter classificare tutta la realtà in due colori, a distrarci nell'inutile lotta d'accuse e ricostruzioni, mentre siamo noi, poi, a doverci vivere, tra le macerie.

Consoliamoci così

Poi ti ritrovi ad una tavolata di 9 persone, tutti spagnoli, tranne te, alla mensa aziendale, e l'argomento del giorno è facilmente prevedibile: il taglio dell'agenzia di rating alla Spagna, la disoccupazione alle stelle e la situazione da commentare. C'è chi inizia con l'elenco classico di difetti culturali, che loro, i difetti, non hanno probabilmente nazionalità ma messi insieme poi fanno una cultura. O uno stereotipo. C'è chi inizia con l'attacco alle banche, al sistema, all'Europa, che lei, l'Europa, non ha probabilmente nazionalità, e messi tutti insieme, i paesi membri, finiscono con evidenziare ciascuno la propria individualità. O i propri interessi. C'è chi inizia con la descrizione della bolla immobiliare, dei crediti e delle case, che loro, le case, non hanno sicuramente colpa, se non quella di rappresentare il santo gral dei fedeli del consumismo. E gli incassi di speculatori.
E mentre si vomitano parole tra accenti iberici e approcci mediterranei, sei lì a cercare di capire, partecipare con una smorfia o collezionare dubbi e punti esclamativi, quando qualcuno ricorda che almeno in finale di Europa League ci sono due squadre spagnole. Da lì in poi si parla soltanto di calcio, della Liga leader in Europa e di quanto son bravi, que viva españa e la gente canta con ardor. Com'è che si dice in spagnolo, finire a tarallucci e vino?

Babysitting brussellese

Ti ritrovi a cambiare pannolini per la prima volta nella tua vita, ad una peste di 2 anni e mezzo, di padre metà spagnolo metà americano e di madre russa, tipica famiglia brussellese, e lui, la peste, parla un linguaggio baby dalle difficili interpretazioni ma conosce perfettamente i nomi di tutte le porcherie americane sparse per casa, dall'odore di burro ed arachidi, in una campagna belga a qualche km da Bruxelles, mentre lei, la sorellina della peste, di anni 8, s'ipnotizza in poster di Justin Bieber e televisione spazzatura. Quando parli con una sua amica, di anni 8, di genitori inglesi, belga, ti dice, d'esser belga, come fosse qualcosa di naturale, ma senza orgoglio né vergogna, senza confronti né patriottismi: semplicemente la consapevolezza di acquisire un'etichetta amministrativa e una cultura, chissà; parla fiammingo e non olandese, precisa, che l'olandese ha un brutto accento, opina, e ama le frites, ma in fondo essendo belga è naturale, dice. A 8 anni. Intanto ti ritrovi circondato da bambini che parlano 3 lingue ciascuno, mentre fai il cavalluccio, la scimmia, la mucca e il cane, simuli pianti improvvisi per interrompere pianti altrimenti interminabili, vinci confusione e una carezza, salti su materassi, spingi tricicli in boschi belgi, dai da mangiare erba a due pecore a bordo strada, perdi a baseball alla Wii, vai in monopattino, abbatti la peste con pallonetto troppo preciso, cerchi di attenuare pianti, ti addormenti con la peste che altrimenti non prendeva sonno, ti pulisci dal riso che ti ha sputato addosso, gli pulisci il cazzetto di 3 cm appena, giochi con le macchinine, guardi cartoni animati in inglese, in olandese, in francese, in una casa disseminata di foto militari, del padre che lavora alla NATO e infatti apri il frigorifero e non sei in Belgio, sei negli Stati Uniti e ti senti già ingrassato, di colpo, se non fosse per le energie dissipate nel rincorrere la peste e ragionare con le bambine di patrie, lingue e culture, ma senza stereotipi né battaglie, soltanto nomi di nazioni, cittadinanze e caratteristiche parentali. Che bella la geografia, senza tifo. Peccato la si possa apprezzare solo coi bambini.
La mattina c'è il gallo che ti sveglia, Bruxelles è lì, da qualche parte all'orizzonte, vicinissima eppure immersa in un altro mondo, quando tornano i genitori dopo 2 giorni a Milano vi domandano subito un commento, short but intense, esclami, e forse meglio di una vacanza.