Durante lo scorso fine settimana a Roma, stanchi del lungo percorso a piedi da Piazza del Popolo ai Fori Imperiali, ci fermiamo a pochi passi dal Colosseo, in una nicchia all'ombra sulla destra, dove un po' d'erba rende più piacevole la sosta. Il sole batte forte, forse anche eccessivamente per chi da quasi tre anni vive troppo a nord e per i mille turisti che passano boccheggiando lungo la via che costeggia la maestosa figura dell'anfiteatro Flavio. Proprio ai piedi della pendenza su cui ci siamo accasciati, sul muretto che costeggia il marciapiedi si ferma una signora completamente vestita di nero. Con questo caldo - penso - non è sicuramente il colore adatto per fermarsi lì dove batte forte il sole, mentre qui, a pochi metri c'è ombra e sollievo.
Mi colpiscono subito le sue mani, cornici di rughe tra le dita, e quelle vene sopraelevate come una sottile ragnatela in superficie, mi ricordano incredibilmente quelle di mia madre, mani non più giovani, mani di lavoro, mani sempre affaccendate, ma soprattutto mani di carezze. Da un sacco nero esce una maschera egizia ed un contenitore dello stesso stile.
Ed ecco che inizia la trasformazione e quel vestito nero adesso ha un senso: quella signora indossa la maschera, dei guanti e pone quel contenitore ai suoi piedi. Ecco svelato il mistero, la signora immobile simula una statua egizia ed immobile attende le offerte dei passanti.
Fa veramente caldo e non c'è vento. Stare lì immobili, vestiti di nero, in attesa di qualche moneta, per poi chinare appena il collo in segno di ringraziamento, sfiancherebbe anche un ragazzo. Non arrivano spiccioli. Passa molta gente, chi la guarda di sfuggita, molti sorridono ma proseguono veloci, qualche bimbo la indica con il ditino in un sorrisino per poi seguire la direzione del padre, altri ignorano, ognuno ad inseguire il proprio destino. Ma non c'è tintinnio di moneta contro moneta. Così il sorriso dei passanti, di buffo, di strano, non si trasforma in offerta e a quella divinità egizia non c'è tributo. E penso a quelle mani così familiari, a quelle mani materne, come se lì, ferma immobile, sotto il sole che sfianca, ci fosse mia madre.
Dietro il sorriso degli altri c'era forse pena, sofferenza e dolore, c'era un altro mondo che spesso si ignora o si preferisce non immaginare, magari nella distrazione o quell'ignava cortesia del chiamare artista di strada chi tenta di racimolare qualche soldo e parlare d'offerta perché magari elemosina suona male ma cambia poco il senso se domani sarà la stessa storia. E forse sarebbe meglio vedere un mendicante malformato con la scritta ho fame ed i passanti schifare, accelerare il passo, mostrare freddezza o gettare monete quasi con disprezzo o con la paura di incontrare lo sguardo, come se ci fosse una maledizione, uno specchio stregato, come se la povertà potesse inghiottire anche loro; ma almeno non quella falsità involontaria, non quei sorrisi a chi sotto la maschera non sorride, perché dietro il sorriso degli altri purtroppo non sempre c'è un sentimento analogo mentre qualcuno tenta di raccogliere qualcosa, chinando il viso, ringraziando con gli occhi bassi ed il volto mascherato.
Dietro il sorriso degli altri c'era quel mondo reale, quello quotidiano di sforzi e problemi, quello che spesso non appare nel finto palcoscenico della televisione e che i politici ingordi preferiscono ignorare mentre sfrecciano nelle auto blu strillanti o si lanciano nelle solite menzogne propagandistiche, quello di donne che nonostante una certa età s'inventano nuovi modi di guadagnare qualcosa, quello di una società sicuramente non perfetta dove c'è ancora tanto da migliorare ma si rimanda sempre al domani, perché ognuno egoisticamente ha la propria vita da riempire.
Lasciamo l'ombra, l'erba ed il riposo. Lasciamo un'offerta in quel cesto decorato d'Egitto ed al chinarsi della maschera tento di intravedere i suoi occhi. Dentro sento un umore misto di tristezza e rabbia, ma non ho potuto resistere, le ho dovuto regalare un sorriso anche se pur accennato, quasi di supporto, come di comprensione, un sorriso anche se fino a pochi attimi prima ho odiato quelli dei passanti, un sorriso per non trasmettere dolore, tentando di abbracciare se pur per un secondo o almeno accarezzare quelle mani materne.
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