Ho detto pardon alla signora che aspettava sulla soglia del vagone della metro e mi ha risposto oh sorry, ho lasciato la porta aperta per il tizio che stava arrivando nel lungo corridoio per andare in ufficio, ha detto dank u well, ho urtato un ragazzo per strada facendo cenno del dispiacere, ha detto no pasa nada. Ho assaggiato la pioggia che lenta staccava pezzi di colore dal cielo per confonderlo con la città, non aveva il sapore di vaniglia ma del resto la vaniglia non è grigia. Chi passeggia con l'ombrello, sotto questa pioggia, riceve l'applauso delle gocce sulla tela ma perde il messaggio decifrato di tamburi uggiosi.
Ho visto un ragazzo magrebino con un cappello della nazionale italiana e quei colori hanno richiamato l'attenzione, come se il tricolore avesse voce, la voce diceva hey mi hai visto, sono io, sono te, diceva, e invece era soltanto un simbolo commerciale. La mia patria non ha soltanto tre colori, tre colori sono pochi. Sotto la pelle non c'è bandiera, ho controllato. Ho ascoltato un professore di Berlino ripetere che la salvezza per l'Europa dei vecchietti è nella riforma del sistema educativo e nei flussi migratori, mentre c'è chi altrove pensa di risolvere la crisi alzando il prezzo del permesso di soggiorno. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, o sé stesso, come dicono alla Crusca. Solo che siam talmente connessi che allora bisognerebbe piangere tutti insieme. Non sarebbe una bella scena, piangere tutti insieme.
Ho incontrato un ragazzo spagnolo che parlava perfettamente italiano senza averlo mai studiato, lo ha imparato guardando rai1, rai2, rai3 sulla televisione belga, ha imparato italiano guardando la tv italiana. Per un attimo ho avuto paura. Ho pensato potesse parlare con la voce della Di Filippi, con gli editoriali di Minzolini, con le curve di una velina. Invece era un ragazzo sano. Imparare una lingua non cambia la propria visione del mondo, forse. Non ho osato però domandargli un'opinione sulla tv italiana. E sulla cultura che ne ha dedotto. Ho conosciuto un ragazzo francese di madre calabrese, urlava Cavani, Cavani, Cavani, cercando napoletani in un pub a Bruxelles. Conosceva a memoria l'intera formazione del Parma del '98. Ci sono giocatori che ricordo soltanto grazie a Fifa 99. Hanno tutti la faccia uguale al 70%, nelle mie memorie. Poi ha iniziato a gridare forza Lecce. Ho avuto come l'impressione che stesse buttando l'esca e pescare qualche tifoso, qualche simpatia. Chi semina cori da stadio non raccoglie sempre simpatie, ma nemmeno tempesta.
Ho portato con me in Italia gli appunti di francese, ma che sia liceo, università o corso di lingue la regola non cambia. Durante le vacanze non si fanno i compiti. Ma si fa cambiare aria ai libri. Ho comprato da Bruxelles dei libri spagnoli in una libreria di Madrid e li ho inviati in Italia. In Italia ho incartato i libri spagnoli e li ho portati con me a Madrid. A Madrid ho regalato i libri spagnoli, che son venuti con noi a Bruxelles. Il cerchio si è chiuso. Ho fatto girare l'economia. Ho conosciuto un ragazzo romano che vive a Madrid, abbiam parlato dei falsi amici della lingua spagnola e dell'essere italiani all'estero, entrambi da più di 4 anni altrove. Quegli strani esseri mitologici, metà stranieri metà italiani. Ho quasi avuto voglia di rimanere a Madrid, questa volta. Mi passerà prestissimo.
Ho sussurrato Bruxelles, ma ti son mancato?. Aspetta un attimo, m'ha risposto.
8 commenti:
Be' a me che sono belga sei mancato :-)
Puo' bastare?
@Françoise
più di quanto mi potessi aspettare:)
c'ero con lo spagnolo.
c'ero con il francese.
ci sto troppo dentro.
(al post)
Che vite incredibili che facciamo qui al'estero vero? Sentiamo, vediamo e conosciamo cose così inusuali che potremmo scriverci libri. Ma nell'ultimo tempo ho perso un po' del fascino che dimostri nel tuo post. Non perché non sia affascinante ma perché è diventata la normalità, la quotidianità per me. E mi dispiace perché vorrei continuare a rimanere affascinato come un tempo da questi incontri così strani.
E così normale incontrare il "diverso" e sentire altre lingue nella mia vita che quando torno in Sardegna mi pare il deserto. Come si può vivere in un posto monoetnico, monolinguistico e mononazionale? Per me è un mistero.
@rafeli
è vero:) lo spagnolo mi girava in testa già da un po', lo dovevo raccontare, poi è venuta quasi spontanea la connessione con il tipo dell'altra sera. Ma non è che non sarà una coincidenza, nel senso, non è che sei tu che attiri tutti questi personaggi mitologici?
@Fabristol
Probabilmente hai ragione, presto o tardi si arriverà a definire normalità tutto ciò, eppure dopo 4 anni all'estero non posso far a meno di condividere certi incontri, anche perché ho cambiato così tanto spesso la mia opinione sulla diversità, sulla patria e sul vivere all'estero, in questo periodo, che non posso dire se sia giunto o meno al mio equilibrio, sicuramente ce ne saranno altre, di evoluzioni, in queste congetture, che posso sviluppare soltanto raccontando certi episodi. Alla fine il blog è anche uno studio, mio, di me rispetto al vivere all'estero e ciò che ne comporta.
Sul monoetnico, monolinguistico e mononazionale, è vero, si perde ricchezza, si perdono occasioni di confrontarsi ed arricchirsi, conoscersi attraverso gli altri e conoscere il diverso. Era un mistero anche per noi, prima, e sicuramente avevamo ad ogni modo un sorriso così come chi vive lontano da tutto ciò (nel senso, non è condizione né necessaria né sufficiente per essere felici); il "problema" è che dopo aver vissuto tutto ciò, non credo se ne possa fare facilmente a meno!
già ... a leggere post come questo e i relativi commenti ... mi viene un po' di invidia per voi espatriati :-)
buon 2012 andima :-)
@Zax
aspetta pero', che io a leggere commenti come il tuo mi vien voglia di scrivere un post del tipo "ma all'estero non e' tutto rose e fiori" ma tanto già lo sai :) buon 2012 anche a te:)
commovente.
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