Equilibri itineranti

Da quando hai lasciato l'Italia è successo che hai visitato tanti panorami distinti in giro per l'Europa, ma anche Capri, Pompei, Amalfi, Positano, che son sempre stati lì, a poche ore da casa, e pure Firenze, Milano e la Valle d'Aosta, che non erano a poche ore da casa ma c'erano limiti di risorse economiche, di priorità, di rimandi, e alla fine conoscevi poco più del tuo intorno memorizzato, sicuro, conservatore. Da quando hai lasciato l'Italia è successo che hai incontrato tante culture distinte, tra alfabeti e mondi da decifrare, ma anche piemontesi, siciliani, emiliani, pugliesi, toscani, friulani, alcuni avresti potuto incontrarli anche in Italia, altri forse pure, nelle casualità di connessioni ed amicizie, ma ad incontrarli fuori c'è meno diffidenza, c'è qualcosa in più in comune, lo star fuori, e hai imparato espressioni in dialetti lontani, provato ricette dai sapori sconosciuti, imparato cose di chi condivide sì la stessa lingua ma abitudini spesso completamente opposte. O le stesse, a distanze fatte di chilometri e luoghi comuni. Da quando hai lasciato l'Italia è successo che hai studiato tante cose, lingue straniere e cose di lavoro, culture e storie di città che t'ospitavano per periodi sempre più lunghi del previsto, ma hai studiato anche gli anni di piombo in Italia, le vicende di Pippo Fava, del piccolo Alfredino, la storia dei briganti, le parole di Gramsci e tanti altri eventi, momenti, personalità collegate a quella nazionalità riportata su documenti ed accenti, che altrimenti basta soltanto alla burocrazia e poco altro. Ce ne son tante, di cose che non sai. Cose che magari avresti ricercato comunque, per età, interesse, per un riferimento non immediato in un articolo di giornale, per caso, ma che fuori poi hanno un sapore diverso, perché da quanto hai lasciato l'Italia è successo che hai interagito con tante patrie, tue ed altrui, banali e inattese, in giochi pirandelliani di stereotipi e conferme, ritrovandoti ad odiarla, quell'Italia che hai lasciato, ma anche ad apprezzarla, ancora evitarla, poi cercare di capirla, leggerla negli altri e riconoscerla in te, perché si lasciano panorami ma non si cancellano nell'oblò di un aereo, si calpestano terre nuove ma rimangono odori di quelle di ieri. E si sviluppano nuove radici, inevitabilmente, rompendone altre, alleggerendole, per poi rafforzarle, come se si dovesse colmare una mancanza o giustificare una partenza, come se scoprire e gustare nuove tonalità d'umanità inneschi una reazione di curiosità e rimpianto, alimenti la volontà di conoscere quello che si dovrebbe conoscere ma non s'insegnava, visitare quello che si dovrebbe aver visitato ma si rimandava, e non per nazionalismi o altri sentimenti religiosi di bandiera, ma per la semplice voglia di sapere, pur con la consapevolezza di non voler tornare, perché si sta bene dove si sta, in una sorta d'equilibrio da appagare c'è bisogno anche di conoscere meglio quello che si è lasciato. E masticarlo, conservarlo, portarlo con sé.

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