Spaghetti boló

Ma non mi guardare a quel modo, caro collega fiammingo, quando mi arrivi al tavolo della mensa aziendale con quel sorriso malizioso e il tuo piatto di spaghetti boló, quella pietanza non più imitazione né tantomeno tentativo maldestro ma più probabilmente abitudine culinare di latitudini ravvicinate, non mi guardare così perché non troverai giudizio nel mio stereotipo d'italiano da buona forchetta e non credere che tra quegli spaghetti bianchi e quel pugno di sugo rosso insipito potrai mai rivedere i miei lineamenti del sud un poco scoloriti; appena inizi a tagliarli, quegli spaghetti bolò come fossero due blocchi monocolore di giallognolo e rosso, con coltello e forchetta, quasi fosse una lasagna, e mangiarli senza alcun criterio di giudizio su cosa sia la mantecatura né il tempo giusto di cottura, non troverai nella mia espressione né disagio né disgusto, perché ne sarò indifferente così come se in quel momento tu stessi mangiando qualsiasi piatto esotico di cui non conosco il nome né gli ingredienti né la sua versione originale, non troverai nessuna breccia nel mio orgoglio patriottico ridotto a briciole né avanzerò mai nessun diritto sui tuoi gusti e la qualità del piatto nonostante tutto. Però, non appena mi chiederei quella cosa, non appena la tua domanda punzecchierà la conversazione per sapere perché mai io non ne mangio mai, di spaghetti bolò, lì a mensa, a Bruxelles, sfodererò la super risposta oramai ben testata e con poche e semplici parole ti metterò spalle a muro e boccone in gola, avrò vinto, semplicemente, e abbasserai gli occhi meschino con una smorfia di smacco e l'inevitabile tortura di darmi ragione: ma tu - ti dirò con scioltezza - te la mangeresti mai una carbonnade fiamminga cucinata nella menza di un'azienda, a Napoli? Ecco.

1 commento:

Prez ha detto...

Aaaah che buona la Stoofvlees. Parole sante.