Sulla meritocrazia all'estero

Che si scappi dall'Italia perché stanchi di un sistema clientelare, di uno stagnamento lavorativo, di gratificazioni e meriti che magari non arrivano nonostante tempo e sforzi, stufi di appartenenze lobbistiche, nepotismo, caste in tutte le salse o qualsiasi altro motivo relativo o correlato a certi umori e si vede l'estero come la salvezza, la svolta, il cambiamento necessario e rivoluzionario, o che si decida semplicemente di provare altrove, senza troppi complotti e pessimismo, ma per cento mille altre motivazioni personali e non politiche, ugualmente covando l'idea della meritocrazia come traguardo raggiunto oltre frontiera, e' bene riflettere su due punti fondamentali. (Dopo questo periodo cosi' lungo senza punti, ora fate un respiro).
Ci sono due cose banali ma concrete su cui e' possibile riflettere quando si parla di meritocrazia all'estero. Se in alcuni paesi stranieri il merito e' di fatto il metro di giudizio utilizzato, lo e' per i residenti, per i locali e potrebbe esserlo anche per gli stranieri, ma ovviamente a qualità di meriti (stiamo parlando di meritocrazia, no?). Le due differenze fondamentali non sono culturali, razziali o qualsiasi altro tipo di discriminazione a cui si possa pensare: si tratta semplicemente di condizioni di base, quali la padronanza della lingua straniera ed il concetto di straniero di passaggio.

Mi spiego meglio? Ci provo. Se per alcune posizioni lavorative la dialettica e la padronanza della lingua sono qualità fondamentali per interagire con un cliente, per capire e farsi capire da un team per esempio, e' ovvio che lo straniero si troverà in difficoltà ed un locale sarà più meritevole a parità di altre prerogative. Sicuramente non vale per qualsiasi lavoro e nazione, ma non si può sempre pretendere meritocrazia o accusare di discriminazione se non si parla in maniera corretta e fluente la lingua che ci ospita. Parlare una lingua e' un merito, certamente i locali lo avranno per nascita e partiranno in vantaggio da quel punto di vista, ma con studio, dedizione e pratica e' possibile colmare il gap.
Altro punto e' il concetto di passaggio: siete uno straniero, magari rimarrete in quella nazione uno, due anni, per poi tornare in patria o provare altrove o magari no, rimarrete li' per sempre, ma ciò potrebbe essere una incognita naturale per il vostro datore di lavoro nel caso si parli di una posizione aziendale importante o di un progetto a lungo termine. Se questo ultimo concetto magari fa un po' a cazzotti con la parola meritocrazia, spesso pero' rispecchia molto la realtà e, di nuovo, un locale si trova in maniera naturale in vantaggio da questo punto di vista. La durata della permanenza non e' sicuramente un merito, ma può influire nell'ambito lavorativo e nelle speranze che possono riporre in voi; da questo punto di vista, la fiducia che trasmettete diventa un merito. Conosco un ragazzo che al primo colloquio a Dublino, alla domanda "Quanto tempo pensi di fermarti in Irlanda" rispose con molta leggerezza "un annetto". Ovviamente non fu assunto ed imparo' la lezione. Certo, non c'è bisogno di certe esperienze, ma sicuramente e' consigliabile mentire (nel caso si programmi davvero di andar via nel futuro prossimo) sui propri progetti futuri con colleghi o superiori o lasciare tutto sul vago.

Riassumendo, se si va in cerca di meritocrazia all'estero e' giusto puntare al massimo, ma per bilanciare i propri meriti con quelli degli altri e' sicuramente necessario colmare alcune differenze, prime tra tutte la lingua e la fiducia che si trasmette. Io sono giunto a queste considerazioni dopo due anni e mezzo all'estero avendo ascoltato tantissime storie di lavoro e non, magari mi sbaglio, magari ho bisogno di maggiore informazioni a riguardo, se vi va di condividere la vostra opinione, come sempre i commenti sono la via migliore.

8 commenti:

Belguglielmo ha detto...

Durante un colloquio, alla domanda 'perché hai postulato presso di noi', l'aspirante stagista mi rispose 'ho tre mesi da riempire'. Per fortuna mi sono controllato, avrei potuto uccidere.
ps: da segnalare che in certi ambienti fiammingofoni la preferenza linguistica può essere una scelta di principio.

TopGun ha detto...

@belgugliemo, non avresti fatto male.
che risposta è "ho tre mesi da riempire?".

andima ha detto...

@Belgugliemo
che risposta lo stagista :s mamma mia, io pensavo di aver sentito il caso pessimo a Dublino da quel ragazzo italiano, ma mi sbagliavo di grosso!!

sono d'accordo con te, in Belgio la questione della lingua diventa ancora più complessa.

@tutti
Riporto qui anche un commento al post che ho avuto su google reader, magari può servire ad integrare i contenuti:

Aniello - No penso sia invece esattamente cosi'.
Padroneggiare la lingua (da straniero in terra straniera) trasmetta gia' buona parte di quella fiducia che si vuole trasmettere.
Piu' sei sicuro di te, senza mai esagerare, piu' si va avanti.

andima - e' vero Aniello, padronanza della lingua e' già di per se' una iniezione di fiducia. Quando parlavo di fiducia pero' mi riferivo più alla fiducia di una permanenza lunga in terra straniera, magari avrei dovuto trovare un'altra parola per esprimermi, fiducia che spesso può influire progetti a lungo termine che una azienda vorrebbe/può pianificare sulla tua figura professionale. Un esempio, se io datore di lavoro so che tra un anno e mezzo andrai via e tu sei un Project Manager, non ti assegnerò mai un progetto di 2 anni, probabilmente a parità di meriti lo assegnerò ad un locale, no?

TopGun ha detto...

in effetti...non assegni un progetto a lungo termine ad una persona che sai già, andrà via.

andima ha detto...

Quando lavoravo a Dublino, le posizioni più alte della mia azienda erano tutte prese da irlandesi, poi qualche altra posizione di leader di gruppi o project manager era anche gestita da polacchi, per esempio, ma che avevano famiglia in Irlanda, avevano comprato casa, si erano oramai stabiliti definitivamente. Ecco, non era affatto razzismo o discriminazione degli irlandesi verso gli stranieri! e' ovvio che le posizioni importanti per un'azienda, posizioni che gestiscono responsabilità su progetti a lungo termine di un'azienda, vengano assegnati a persone su cui ci si possa fidare e che probabilmente non busseranno domani alla porta dell'ufficio dicendo "ho fatto il mio tempo a Dublino, vado via". Ok, questo può accadere anche con un locale, che vuole cambiare nazione o vuole semplicemente cambiare azienda, ma e' anche ovvio che spesso si gioca sulle probabilità ed io straniero, magari single, casa in affitto, che dico che son qui di passaggio, sicuramente trasmetto meno fiducia rispetto ad altri.

Quello che volevo dire con il post e' che a parità di meriti all'estero ci sono alcuni gap, che pero' NON sono incolmabili: la lingua si migliora, basta volerlo; la fiducia nella permanenza la si può trasmettere soprattutto non facendo il fesso:) giocando sul vago, se volete mentendo (anche se poi qui si può cadere in discorsi più ampi su quanto il mentire non faccia a cazzotti con la meritocrazia vera e propria verso il prossimo), sicuramente evitando certe frasi!

pedro ha detto...

concordo che in sede di colloquio bisogna trasmettere fiducia e assicurare un periodo di medio lungo termine di permanenza.
quando arrivai a dublin, seriamente, avrei voluto vivere li', per sempre, era il motivo che mi aveva spinto sull'aereo con biglietto di sola andata.

credo anche che una società, potrebbe incentivare 'gli stranieri' dando fiducia e dimostrazione di equa meritocrazia.
i polacchi che si sono stabiliti in irlanda lo hanno fatto sulla base dei successi lavorativi, non il contrario, a mio parere.

andima ha detto...

@pedro
bel pensiero, e' vero, pensando la cosa dall'altro lato hai ragione, probabilmente e' un mix delle due cose. Sono d'accordo, i polacchi a Dublino come altri stranieri in altre nazioni, si stabilizzano anche per successi lavorativi, perché vedono crescita aziendale e tante altre cose che magari non avevano nel proprio paese; e' anche vero pero' che tutto ha un limite ed a parità di meriti poi lingua e permanenza possono incidere perché essi stessi meriti, se vogliamo. Voglio dire, vogliamo che le aziende usino meritocrazia? Beh non diamo loro scuse, facciamo del nostro meglio, almeno per la lingua.

Bel contributo. io vedevo le cose soltanto da un lato, probabilmente perche' pensavo di dare qualche consiglio a chi parte e non a chi assume:) ma e' giustissimo vederlo da un altro punto vista, anzi come un mix delle due cose, come sempre.

andima ha detto...

anche questo post e' stato pubblicato su Italians sul Corriere della Sera, qui.

Questa volta pero' non ho gradito affatto la rimozione della premessa che avevo inviato e la decisione di un titolo che interpreta in maniera totalmente diversa la lettera: non intendevo stranieri contro locali, non una lotta (altrimenti che meritocrazia e'???), ma semplicemente condividere qualche considerazione sulla meritocrazia all'estero.