Quello che mi mancherà sicuramente tanto di questi mondiali di calcio non sono le partite, nemmeno i goal sperati e tanto meno le infinite chiacchiere e formazioni previste o migliorabili, ma l'atmosfera brussellese decisamente particolare. Guardando in diversi piccoli bar la nostra nazionale giocare, mi son sempre ritrovato circondato da persone del posto, belghe, con bandiere italiane al collo, un tricolore dipinto sulla faccia, la maglietta dell'Italia addosso come fosse seconda pelle a simboleggiare origini lontane ma non dimenticate: già, perché la presenza di belgi con origini italiane anche lontanissime diventa palese quando attorno ad un monitor, davanti ad una birra, ci si riunisce in un'unica passione. All'amichevole giocata proprio qui a Bruxelles contro il Messico, amaro preludio di quello che sarebbe stato il nostro destino calcistico a questi mondiali (lento, macchinoso e di scarsa qualità), ero già rimasto impressionato dalla mole di non italiani accorsi a tifare, cantare, supportare la nazionale dei nonni, dei padri, del marito o della moglie, la nazionale di quel paese che qui ha origini ben radicate e che non si vogliono cancellare affatto, nonostante oggi sia forse un altro paese, magari totalmente diverso o addirittura sconosciuto, perché l'incanto dell'immaginario basta e avanza a far battere cuori ed innalzare cori.
Quando il pub sotto casa ha esposto enormi bandiere tricolore proprio prima della partita contro il Paraguay, son rimasto sorpreso e ancor più sorpreso nel vedere l'intera famiglia belga che lo gestisce vestire tricolore, il bambino si approssimava più ad puffo per quando azzurro avesse addosso ed io mi sentivo quasi in imbarazzo, lì seduto senza una bandiera, una sciarpa, io che in quel pub non c'ero mai entrato, stupidamente snobbandolo perché non frequentato da ragazzi o preferendo piazze più affollate e conosciute, ma poco conta quando al goal ci si unisce tutti in un unico grande abbraccio, destinato a durare poco ma abbastanza per capire quanto forte sia l'attaccamento a quel paese o a quell'ideale di paese che si sarà creato nella loro mente lungo gli anni, magari raccontato da nonni che emigrarono qui con foto in bianco e nero e con la famosa valigia di cartone. E anche ieri, mentre tornavo a casa in bici da un piccolo bar al lato di Gare du Midi, attraverso una Bruxelles soleggiata e inaspettatamente estiva, ripensavo alla ragazza al tavolo a fianco, vestita d'una bandiera tricolore, che mi parlava italiano con il suo accento francese ed urlava più di me ad ogni azione mancata. Ad un certo punto avrei voluto che si vincesse, più per loro che per me, come se io ne avessi già avuto tanto, come se tutta quella grinta e quella passione non dovesse andar perduta e non lo sarà sicuramente, tra 4 anni, come mi ha detto il barista, dandomi una pacca sulla spalla per consolarmi e con un sorriso "la prochaine.. dans quattre ans!", mentre i colleghi francesi ridevano beati, per quel mal comune mezzo guaio, che almeno nel destino condiviso non son stati poi tanto peggiori e possono star tranquilli in ufficio che non ci saranno i soliti inutili confronti velati di nazionalismo e soddisfazione. Da stasera ad ogni modo si tifa Spagna.
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