Nel passato degli altri

Bruxelles. Poco prima dell'intervallo natalizio una coppia di amici italiani organizza un pranzo per salutare chi a breve sarebbe partito per il rientro, così ti ritrovi tu, italiano del sud, con la tua ragazza spagnola del centro, un ragazzo belga del sud e la ragazza brasiliana del nord, un altro italiano del sud e la ragazza belga del nord. Latitudini incrociate. Tra un piatto tipico latino, un contorno mediterraneo ed un secondo nordico, qualcuno gioca con Youtube per il sottofondo musicale quando all'improvviso ecco La guerra di Piero ed un coro sommesso si diffonde tra la tavola, chi con le labbra socchiuse a mormorare, chi quasi fosse un inno, chi ridendo insieme agli altri, per dei versi inconfondibili, mentre gli stranieri si ritrovano un po' messi da parte durante il siparietto canoro a loro estraneo.
La ragazza italiana ti confida: "Ecco, vedi, ogni tanto, qui a Bruxelles... con gli stranieri, questo mi manca, questa complicità in alcune cose che fanno parte della nostra cultura".

Madrid. Durante il rientro natalizio che oramai si divide sempre tra (almeno) due paesi, ti ritrovi a giocare con la Playstation ad un quiz di gruppo, Buzz, a casa di ragazzi spagnoli, amici della tua ragazza. Questa volta lo straniero sei tu, però ti senti a tuo agio nel parlare con loro, con chi - potenza e menzogna della cordialità - loda il tuo accento quasi madrileño per farti sentire ancora più integrato e pronto a goderti la serata. Al quiz però le domande sono sì di cultura generale, ma la scelta spesso cade sulla televisione (spagnola), su libri (spagnoli o comunque dai titoli tradotti e cambiati in spagnolo), su musica (spagnola), etc. E ti rendi subito conto che per quanto tu possa parlare la loro lingua, star insieme ad una di loro, conoscere i loro piatti tipici ed il loro campionato di calcio, ti manca ancora tanto, tantissimo, per acquisire quella complicità e quella cultura che non conosci.

Un po' come al pranzo a Bruxelles - pensi - quello che mancava era il passato in comune che solo persone della stessa nazionalità possono avere, che ne identifica il gruppo perché ognuno si ritrova in conoscenze naturali, immagini, suoni abituali. L'identità nazionale non è altro che una cultura, un'abitudine di cose, conoscenze, luoghi e l'integrazione passa inevitabilmente anche da lì e c'è bisogno di tempo, tanto, per conoscere il passato degli altri.

11 commenti:

FrancescoA ha detto...

... e conoscerlo non implica il sentirsene parte ;)

Le tue osservazioni sono sacrosante ma mi permetto di aggiungere che secondo me non possiamo cancellare il nostro passato perche' questo andrebbe a discapito della perdita del senso di appartenenza.

Questa "emozione", non e' un invenzione di psicologi e sociologi ma e' un meccanismo istintivo che ha permesso che l'uomo arrivasse dove e' arrivato fino a ieri (non oggi... ma questo e' un altro discorso).

Forse fra 50/100 anni ci sentiremo tutti appartenenti all'umanita' piuttosto che ad una nazione ma credo che questo passi da un appiattimento delle "abitudini", ovvero della cultura di cui parli tu. Ma credi che il mondo sara' ancora cosi' interessante e diversificato come lo era fino a "ieri"?
Sara' cosi' interessante viaggiare?

...

andima ha detto...

@chicco
Ma io quel passato comune lo avrei voluto conoscere, non cancellare, e l'integrazione passa anche e soprattutto da lì

andima ha detto...

@chicco
[ti rispondo meglio perché con lo smartphone mi annoia un po' scrivere tanto]
e' vero, conoscerle non implica sentirsene parte, ma sicuramente aiuta, aiuta a capire prima di tutto ed aiuta a non sentirsi estraneo o alienarsi durante conversazioni, scherzi o addirittura durante un gioco di gruppo. Aiuta anche a confrontarsi, sempre di più, con gli altri, in modo migliore, e capire perché alcune cose funzionano in un modo e non in un altro e magari aiuta anche a cambiare, sperando di migliorare (che non sempre e' la conseguenza diretta).

Per quanto riguarda annullamenti di culture e appiattimenti di abitudini e nazioni, beh lentamente la globalizzazione sta già contribuendo ad un processo del genere e no, non sarebbe nulla di positivo, ma ci si può sentire parte di un unico intorno pur rimanendo diversi, ognuno con la propria cultura, cosi' come ci si sente italiani pur stringendosi stretti alle proprie radici, alle proprie regioni, e magari tra qualche decennio sara' lo stesso per un sentimento europeo (ma ne sono scettico).
Il problema nasce quando dal legame ad una cultura, alla propria nazione, si reagisce con intolleranza, magari sciovinismo, cercando di imporre la propria, le proprie abitudini appunto, o gridare alla cattiva integrazione di immigranti non capendo che l'assimilazione di quelle abitudini, di quel passato comune, e' un processo lento, lento e faticoso e - come hai scritto tu - conoscerle non implica poi esserne parte. Certo, e' un lavoro a due, da una parte tolleranza e comprensione, dall'altra propensione a capire ed apertura. Le cronache moderne ci hanno abituati ad altri scenari, purtroppo.

Io capisco perfettamente quella complicità della ragazza del pranzo, siamo animali sociali e dobbiamo identificarci in un gruppo ed il gruppo si identifica soprattutto attraverso la cultura, il passato comune. Ma avrei anche voluto conoscere il passato comune di quel gruppo di spagnoli, per capire meglio, per confrontarlo, magari per non sentirmene parte ma almeno avere le basi per interagire in modo migliore e poi si', anche per avere qualche possibilità in più a Buzz :)

p.s. che poi ho fatto un quarto (su sette) ed un secondo posto, ma premendo bottoni a caso..

Belguglielmo ha detto...

Vita vissuta! Fausto Colombo la chiama "la cultura sottile" (ne parlavo qua http://belguglielmo.blogspot.com/2009/05/la-musica-coi-baffi.html), che è anche il titolo di un suo libro per Bompiani, consigliatissimo.

Belguglielmo ha detto...

Postillia verbosa: la fobia dell'appiattimento causa globalizzazione è un topos ricorrente e mai verificato, come la lingua del futuro sarà il cinese o la nostra società va in decadenza. Già lo scrivevano gli oratori romani. Sarebbe vero solo se la cultura consistesse nel fare acquisti da Zara o nel bere Coca-Cola. Le consuetudini acquisite hanno connotati emotivi su cui i populisti hanno gioco facile (vedi la Lega), ma l'errore sta nel confondere la cultura e il folklore, come scrivera trent'anni fa Finkielkraut nella "Sconfitta della ragione" (quando non era ancora un vecchio trombone reazionario). La cultura sta anche nella libertà delle scelte. Io per esempio ho subito con pena l'educazione nazionalpopolare, e quindi potrei benissimo canticchiare Battisti o Jovanotti ad una cena. Solo che quella rimane, per me, la cultura degli altri. Io sono cresciuto guardando alla cultura britannica, ma mica è snobismo, è solo deliberato uso della propria facoltà di scelta, e ho sempre sofferto, in Italia, di non poter per esempio canticchiare gli Smiths con gli amici, che Battisti mi dà noia, Nanni Moretti non mi dice nulla e, chessò, Andrea de Carlo mi fa cacare. In un'intervista i Kraftwerk dissero provocatoriamente "bisogna dimentiare Bach" o qualcosa del genere. Loro si riferivano ovviamente al coraggio di sperimentare, ma per me significa anche che per fare progredire o contribuire o anche solo vivere una cultura, bisogna attingervi con disinvoltura, prendendosi anche la libertà dei rifiuti. Per me per esempio i dialetti potrebbero anche scomparire, poiché una lingua si parla se il locutore sceglie di parlarla. Fosse per me poi, i dialetti dovrebbero scomparire tout court, se questo fosse necessario per liberare gli Italiani dal provincialismo delle loro abitudini, comprese quelle politiche.

Silvia ha detto...

bell'articolo, e bel blog! sono arrivata qui dal diario dell'informatico migratore, penso che ti seguirò da oggi in poi, nell'attesa di unirmi alle fila degli emigranti (ancora quelli che partono con gli aerei, per il teletrasporto vedremo!)

andima ha detto...

@Belgugliemo
il libro di Bompiani me lo leggo sicuro se è consigliatissimo, mi sa che lo ordino da Piola! (anche ne ordinai uno un mese fa e ancora niente.. ma vabbé.. )
Per quanto riguarda la fobia dell'appiattimento causa globalizzazione, beh sicuramente una cultura secolare non può essere spazzata via da qualche lustro di globalizzazione ma per quanto riguarda il tema del post, quel passato in comune, beh allora sì magari la globalizzazione crea un po' di passato in comune anche tra culture differenti, esempi banali sono: nomi di negozi, programmi televisi, prodotti commerciali, etc, certo non sono grandi cose se confrontate a tradizioni secolari ma sono delle connessioni, sicuramente, e magari dei punti di conversazioni (se pur banali) che possono aiutare o almeno facilitare quelle discussioni da quattro soldi che spesso però sono l'inizio di una conoscenza e così via.
Mi sono piaciute le tue considerazioni sulla cultura come scelta e sulla "cultura degli altri", anche se i dialetti non li farei scomparire.

@Silvia
Grazie per la visita e attenta al sighiozzo da teletrasporto! :D

Belguglielmo ha detto...

Sarò un po' duro, però quando torno a casa e vedo i cartelli dei paesi bilingui, in italiano e dialetto, grazie all'avanzata dei consiglieri comunali della Lega, ripenso alla mia vecchia maestra che nel primo dopoguerra veniva mandata sugli appennini a insegnare l'italiano agli analfabeti. E parliamo del ricco nord, mica di Eboli.

ps: Il libro di Colombo alla Piola c'era (li aiutai io a stilare il primo listino saggi per l'apertura. Ovviamente feci prender loro testi che poi nessuno ha comprato, per esempio Ernesto Rossi...)

andima ha detto...

@Belgugliemo
sì ti capisco, purtroppo la Lega è un fenomeno abbastanza triste dell'Italia di oggi, ma ci sono tanti dialetti in Italia che sono prove ancora tangibili di storia e cultura e molti sono stati riconosciuti come lingue (nel Friuli Venezia Giulia almeno due se non erro), ma in fondo non c'è bisogno di riconoscimenti là dove la storia di una parola o di un significato passa di bocca in bocca. In molti dialetti del sud si possono trovare parole francesi o spagnoli completamente adottate dalle varie dominazioni, per esempio, e questo è storia. Quando la Lega rilancia alcuni dialetti nella facile propaganda dell'intolleranza e della xenofobia, utilizzano anche pezzi di storia per un populismo di quartiere.

p.s. Allora passo da Piola a prenotarlo/prenderlo! Qualche mese fa prenotai "Amore non ne avremo", raccolta di poesie di Peppino Impastato, ma niente, credo sia andato perduto, urge visita e info.

Anonimo ha detto...

..però è anche vero che la cultura collettiva nasce dalla condivisione di esperienze durante il periodo di crescita di una persona.
Mi spiego meglio. Quest'estate ero proprio a Bruxelles a trovare una coppia di amici che ora abitano lì. Lei è italiana, lui franco algerino. Circa 10/15 anni prima scoprii, proprio tramite loro, la musica di Khaled, che divenne per me all'epoca un po' il tormentone dell'estate. A Bruxelles abbiamo avuto l'occasione per riascoltarla ed è stata, appunto, forma di cultura condivisa. Capisco quello che vuoi dire, ma forse non dipende solo dalla nazionalità, ma da ciò che si condivide con le persone con le quali si fa un pezzo di strada assieme.
deborah

andima ha detto...

@deborah
A mio avviso dire che la nazionalità è una cultura non vuol dire che una cultura, prese singolarmente, debba essere una nazionalità né che essendo di una determinata nazionalità non si possa avere una cultura diversa, come diceva Belgugliemo una cultura degli altri, o una cultura collettiva, come l'hai appena definita tu. Ogni paese possiede una propria cultura predominante, è ovvio che vivendo in un determinato luogo se ne assorba passivamente una gran parte ma poi non è detto che debba rimanere immobile e che non possa essere addirittura accantonata se non proprio rinnegata. E anche vero che la cultura di un paese si compone della cultura dei singoli cittadini, ecco se ci pensiamo, quanto più le singole culture son aperte, si lasciano arricchire da culture collettive, tanto più la cultura di quel paese cambia, si evolve, si apre.
Ma forse mi perdo in teorie che mancano di letture a tema.
Sono d'accordo con te quando dici che non dipende solo dalla nazionalità ed è giusto condividere con le persone con le quali si fa un pezzo di strada assieme, magari non sempre è così facile e spesso c'è bisogno di tempo per entrare appunto nel passato degli altri.