Forfora
Il tavolo nero riceve la luce del sabato mattina quasi fosse pronto a stenderla come pasta da cucina, quasi fosse in attesa della massaia dalle mani di farina per farne fili di luce ed irradiarne il salone, lì dove c'è la pianta d'un verde vivo che ne aspetta impaziente il calore, lì dove si risveglia il divano e nell'angolo la polvere, residui di terreno, di capelli, di pelle ma anche di pensieri. Le tue mani sul tavolo sembrano invecchiate di colpo, la luce ne disegna rughe e piegamenti, ne risalta la differenza sul tavolo lucido, nero, nuovo. Vorresti quasi lavorarla, quella luce come pasta da cucina, ma in tanti anni all'estero hai fatto una sola lasagna, perché all'improvviso dovresti saper maneggiare quell'impasto di luce e legno? Il legno in realtà non è legno propriamente detto, perché il tavolo è d'IKEA, ma alla luce non dispiace spandersi su quella superficie e coprirne il colore, quasi fosse l'eterna lotta contro quel nero lucido, nel contrasto tra luce e oscurità, non c'è diavolo su quel tavolo però né amerebbe farvi dimora, si spera. Non piace neanche al collega belga, quel tavolo d'IKEA, perché semplicemente non gli piace IKEA, lui è belga del nord e come da stereotipo ama comprarsi mobili per tutta la vita, diceva sempre, e ogni volta pensavi che significa tutta la vita? Sì, la scienza va cantando che la vita s'allunga, che guadagniamo 2 anni e mezzo di speranza di vita ogni decade. Tutta la vita può essere davvero tanto, allora. Poi, domani muori. Tutta la vita può essere davvero poco, se succede. Non lo hai detto al collega belga, che se muori la vita non è poi tanto lunga, né la scienza ha capito che bisognerebbe allargarla e non allungarla, la vita, come diceva De Crescenzo. E mentre passi dalla luce al tavolo, da IKEA al collega belga e dalla scienza a De Crescenzo, l'altra mano percorreva cammini increspati di ricci tra la testa. Guarda quanta forfora sul tavolo, dice lei e ne interrompe il cammino, il collega belga scompare correndo, Di Crescenzo ride spensierato mentre la luce continua a riscaldare il tavolo e ridefinire i contorni di una mano. Ma non era forfora e neanche il gel residuo della notte precedente, quelle briciole accusate sul tavolo erano pensieri distrattamente abbandonati alla polvere casalinga. C'era, tra loro, un'idea brillante, ma forse brillante per via del sole sul tavolo, non sarebbe stata ugualmente brillante nel buio di una stanza, magari nel letto prima di dormire a cercare nel soffitto tracce di realtà. E c'era pure tuo padre, sul tavolo alla luce del sole, ricoverato in ospedale in Italia, niente di grave, questa volta, ma ecco che ti ricordi di vivere all'estero, che sei andato via, che non ci sei, ma che saresti andato lontano ad ogni modo, pur restando nei confini di lingua e cultura. E c'era pure questo post, lì sul tavolo, o almeno l'idea.
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2 commenti:
Ho sempre pensato che la forfora ha in se qualcosa di poetico. Forse perché il momento in cui ti accorgi della sua esistenza, sul tavolo o sulla maglia del pigiama, è quell'istante di lucidità dopo l'obnubilamento di una giornata di lavoro e di mondo. Poi la forfora e le idee sono entrambe cose che vengono dalla tua testa ed hanno qualcosa in comune.
Mi hai fatto ripensare alla raccolta di racconti giovanili di Cacucci "Forfora ed altre sventure". Una lettura che mi permetto di consigliarti anche se non tutti i racconti hanno lo stesso peso e si alternano cose molto buone a cose più leggerine che risultano però sempre gradevoli.
@sandrokhan80
aggiunto alla (già lunga) lista di libri da leggere ;)
e siccome ne ho appena finito di legger uno (di Kundera), proprio questa mattina, in settimana devo proprio far un bel ordine e mi sa che ci aggiungo anche questo di Cacucci, grazie:)
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