La colonna

Per arrivare la mattina in ufficio c'è un percorso obbligato di badge e sorrisi, all'ingresso, devi usare il badge altrimenti non si entra. Poi però per arrivare davvero in ufficio, devi usare di nuovo il badge, per entrare nella colonna. La colonna è come un teletrasporto spaziale, all'apparenza, o forse semplicemente un body scanner, dove si entra obbligatoriamente, poi si attende qualche secondo e poi magicamente la porta si apre e si può andare a lavorare. Sarà che l'ente è civile e militare, sarà che se un folle entrasse qui potrebbe far danni con conseguenze disastrose in mezza Europa, sarà che tutto sembra più serio quando si passa per la colonna. Li hai contati, i secondi che si trascorrono nella colonna, hai contato 1, 2, 3, 4, e poi il rumore soavemente metallico scorre la porta davanti a te e sei libero di nuovo. Per 4 secondi, allora, sei intrappolato nella colonna, sei isolato, sei solo, attraverso il vetro vedi gente che cammina coordinata, chi si avvia alla propria scrivania per completare il corpo del ventunesimo secolo nelle terminazioni nervose fatte di tasti e click, chi ha bisogno del caffè in cui diluire quantità di sonno irrisolto o dimenticare un sogno ancora incompreso, chi scompare risucchiato da un ascensore che non lo avvicinerà sicuramente al paradiso. Nella colonna sei solo coi tuoi pensieri, per 4 secondi, c'è qualcuno che aspetta lì fuori per entrarvi, c'è qualcuno avanti che n'è appena uscito. A volte c'è traffico, per entrare nella colonna, ma per fortuna ce ne sono 4, di colonne, 4 bocche in attesa di solitudine. L'altro giorno però, ne era appena uscita una signora distinta, dalla colonna, entri tu, nella colonna, e c'era un profumo leggero e piacevole, 1, 2, 3, 4 e sei uscito col sorriso, dalla colonna. Hai pensato, la colonna può anche essere 4 secondi di sollievo, a volte. Carina, la colonna. Poi però ieri, appena entrato nella colonna, dal vetro vedi il signore che ne era appena uscito, con passo disinvolto, e ti accorgi subito che i 4 secondi da contare sarebbero stati troppi, lunghissimi, forse fatali, perché questa volta non era profumo leggero e piacevole, non era per nulla un profumo artificiale, ma qualcosa di più naturale, d'irrespirabile, ma la porta di vetro era già chiusa alle tue spalle, 1, e la porta davanti non si era ancora aperta, 2, e tu eri bloccato dentro, 3, e non potevi praticamente far nulla, solo trattenere il respiro mantenendo però un'espressione consona all'ambiente circostante, trasformare l'incredulità in resistenza e la solitudine in bestemmie, 4. Finalmente, libero. Maledetta, la colonna.

5 commenti:

mariantonietta ha detto...

e se quello che è entrato dopo di te ha pensato fossi stato tu?
questo pensiero mi avrebbe scosso più della pemanenza nella colonna.

sandrokhan80 ha detto...

Psicologicamente in questi casi sei più turbato dalla figura che puoi fare con quello entrato dopo che per la sofferenza olfattoria del momento.
Caro Andima, mi piace proprio il tuo modo di narrare.

andima ha detto...

@mariantonietta @sandrokhan80
devo dire che a ragionarci a freddo sono d'accordo, pero' in quel momento esatto non ho pensato affatto al prossimo :D ho pensato soltanto a salvarmi, sarà stato l'istinto di sopravvivenza :D

Baol ha detto...

Mi hai fatto venire in mente quelle scene dei film dove c'è il tizio chiuso in una colonna di vetro, immetto del gas e si vede lui che, tra atroci spami, gratta il vetro con le unghie fino ad accasciarsi :D

Per quanto riguarda la figura con quell che viene dopo, essendo a vetri, l'unica cosa che puoi fare è entrare, far visibilmente vedere che c'è puzza e svenire, almeno non daranno la colpa a te, no?

andima ha detto...

@Baol
oggi mi son resto conto che c'e' un bottone rosso per le emergenze, la prossima volta mi sa che lo uso :D