Ma non puoi smettere di giocare

Nonno! - Esclamò il nipotino di 10 anni - ma un giorno andrò anch'io altrove come lo zio?
Certo tesoro - rispose il nonno - certo che potrai... o magari dovrai - gli scappò con voce più sommessa - chissà...
Cosa vuoi dire nonno?
Che magari vorrai per vedere posti diversi o forse dovrai in cerca di un futuro migliore, ma c'è tempo per questo, - le orbite degli occhi cercarono distrazione - c'è tempo...
E nonno, potrò andare in altri paesi e giocare con i bambini di quei paesi?
Eh, questo dipende tesoro mio - socchiuse le labbra secche e prese fiato - che i bambini degli altri paesi magari ti guarderanno in modo strano perché verrai da un altro paese...
Ma nonno! Per me non sarà un problema, avrò comunque voglia di giocare, gli altri non vorranno?
Dipende piccolo mio, dipende. Magari giocherai con quelli come te, che verranno da qui, e giocherete felici tutti insieme.
Ma nonno, - gli occhioni curiosi gli si riempirono di luce - io gioco già con i bambini di qui... se vado in un altro paese vorrò giocare con i bambini di ! Sono cattivi i bambini degli altri paesi?
No, non sono cattivi, o non meno di te... Magari ci giocherai, magari no, dipenderà dalla tua integrazione...
E cosa è la integrazione nonno?
I bambini di altri paesi conosceranno altri giochi, mangeranno altra merenda e avranno già un sacco di amici con le loro abitudini - per un attimo guardò fuori, dalla finestra - per questo sarà più facile per te giocare con gli altri bambini come te.
Ma nonno, a me piace imparare giochi nuovi e mangiare altre merende!
Ma dovrai imparare anche un'altra lingua, eppoi chi ti dice che gli altri bambini vorranno? Avranno un'altra cultura, diversa, e non sarà facile per te come non è facile per lo zio adesso...

Allora è colpa della cultura, nonno? Anche io ho una cultura?
Tutti ne abbiamo una e nessuno la vuole perdere - abbassò lo sguardo, come a cercarsi parole tra le dita - Ma oggi dicono che il multiculturalismo abbia fallito...
Multicu-che? Che cosa è il multicutulismo nonno?
Il multiculturalismo è vivere tutti, ognuno con la propria cultura, nello stesso posto, cercando di mescolarsi e mantenere un certo equilibrio, senza perdere le proprie radici e rispettando quelle degli altri...
Nonno, non ho capito!
Non è facile, piccolo mio, è non devi capirlo adesso. Adesso va, va a giocare con gli altri nel cortile!
Ma nonno! Se continuo a giocare con loro, poi sarà più difficile per me giocare con i bambini degli altri paesi!
Ma non puoi smettere di giocare, angelo mio, non puoi smettere di giocare il tuo gioco, ora. Adesso va, va e non ti preoccupare!
Nonno! - Esclamò il piccolo Mohamed sulla soglia di casa - non vedo l'ora di giocare con i bambini degli altri paesi! - E corse fuori, veloce, mentre il nonno sospirò amaro, quasi invidiando quella ingenuità e certe semplificazioni, domandandosi semmai riusciranno un giorno a giocare, tutti insieme, quelli lì fuori e quelli lì altrove, con quel sorriso.

26 commenti:

Anonimo ha detto...

magari questo mohammed diventerà da adulto una bella testa di kazzo kamikaze che si farà saltare in un aereo o in un treno... o un malato come breivik...
A22

andima ha detto...

@A22
hm, commento molto costruttivo direi

Alekos ha detto...

Gran post!
Il marchio "Andima" e' inconfondibile...

andima ha detto...

@Ale
eheheh troppo buono, ti voglio piu' filantropo!

p.s. chiedere a TopGun per further details regarding filantropo

cuciniando ha detto...

diciamo che mi paiceva finchè non si è scoperto che il bambino si chiamava mohammed. Mi sarebbe piaciuto di più se il bambino, si chiamava Mimmo, Pinuccio o Gianvittorio.

andima ha detto...

@cuciniando
i nomi dei bambini sono importanti, si sa, possono influenzare una vita intera e pure quella degli altri.
Poi per i bambini educati il nome migliore è sempre Ugo.

cuciniando ha detto...

forse non hai capito quello che volevo dire. Volevo dire che il racconto è bello, ma che quello che mi ha interessato all'inizio è stato il fatto che pensavo si trattasse del nipote di un moderno italiano emigrato. Mi piaceva l'idea di un piccolo italiano che faceva quelle domande. Non si vede perchè siano sempre africani, arabi, mussulmani a dover fare la parte degli emigrati. È stato come se, quando si è scoperto che il bambino si chiamava mohamed, il racconto, da avvincente e intelligente, sia scaduto un po' nel luogo comune. Ma è ovvio è solo la mia opinione.

andima ha detto...

Confermo, non avevo capito:)
No perché, c'è anche chi crede che siamo solo noi, noi occidentali, quelli che pensano alla integrazione, e allora vederla dall'altro lato mi sembrava abbastanza interessante, ma capisco perfettamente anche il tuo punto di vista

Alekos ha detto...

E' appunto la "sorpresa" finale che mi e' piaciuta di piu'.

Vivendo all'estero magari critico o commento i locali con cui mi voglio integrare.
Ma come mi avranno giudicato i vari Mohamed che magari hanno voluto integrarsi con me in Italia?

(Sempre cha abbiano voluto integrarsi e non rimanere nella loro comunita', ma questo e' un altro discorso)

andima ha detto...

@Ale
Sì, è un altro discorso, anche plausibile, almeno come impatto. Una integrazione non può avvenire in una notte, ci vuole tempo, probabilmente anche qualche generazione, ma sono anche convinto che non può essere unidirezionale, entrambi le parti devono essere predisposte, e ad ogni modo difficilmente sarà indolore.
L'altra sera se ne parlava, mi domandavano "ma se tu andassi in Cina, riusciresti ad integrarti? Non ti troveresti più a tuo agio con i tuoi simili? Con altri ragazzi occidentali? Riusciresti a maneggiare la lingua, la cultura, le differenze abissali?"
Ecco, non è affatto facile. Probabilmente io non mi integrei per nulla in Cina, forse mio figlio un po', suo figlio poi sarebbe del tutto integrato. Nel frattempo però difficoltà e problemi.

andima ha detto...

Eppoi c'è un'altra considerazione. Spesso le comunità di immigrati verso cui si punta il dito per l'integrazione mancata sono anche quelle meno agiate e, si sa, se ci sono di mezzo problemi economici, mancanza di sufficiente educazione e spesso addirittura sopravvivenza, è la faccia della povertà e lì, mi sembra chiaro, l'integrazione è una priorità quasi inesistente. Quindi è facile gridare all'integrazione mancata, ma l'analisi dovrebbe sempre andare un po' più a fondo, a guardare solo la superficie, come spesso accade, se ne traggono conclusioni affrettate e, forse, errate.

andima ha detto...

Noi comunque ne sappiamo qualcosa Ale, nel nostro piccolo, io a Dublino, io a Bruxelles, tu in Scozia, sappiamo che l'integrazione, anche tra occidentali (radici comuni, stessa religione, etc.), non è per nulla facile, c'è sempre quel trauma da emigrazione, da distacco sociale, da intorno differente, da lingua da imparare/migliorare e abitudini (orari, cibo, formalità) e passato comune (una canzone, un rito, una festa), etc.

Alekos ha detto...

D'accordissimo, e' appunto quello che intendevo io.

Sto riflettendo a lungo su questo tema e sono giunto alla conclusione che una piena integrazione dipenda da due componenti:
1- tessuto sociale locale: ossia apertura dei locali ad accogliere lo straniero;
2- volonta' dello straniero ad integrarsi nel tessuto sociale locale.

Il primo punto dipende un po' dal paese in cui si capita, sul secondo punto (che e' quello di cui si parla qui) incidono come dici tu sia il background dell'individo (educazione, situazione economica, etc) che le motivazioni che hanno spinto all'espatrio.

Ti faccio un esempio che mi riguarda. Io sono venuto in Scozia per conoscere un nuovo modo di vivere, quindi per me l'integrazione e' una priorita'. Ad Edimburgo c'e' una folta comunita' polacca che non parla nemmeno inglese e lavora in ristoranti/supermercati polacchi nel quartiere polacco. Ecco, per loro conoscere un nuovo mondo sembra importi poco, sono venuti qui per il lavoro. Dell'integrazione o non importa o e' un lusso che non si possono permettere.

A riguardo del tuo esempio con la Cina...se io ci andassi solo perche' mi offrono un lavoro strapagato, allora mi chiuderei in ufficio/cantiere e me ne fregherei dei cinesi. Se ci andassi per amore della cultura e della lingua cinesi, allora metterei l'integrazione al primo posto.

Buona giornata.

PS. Cazzo che filosofo che sono oggi! :D

andima ha detto...

@Ale
ma infatti non è nemmeno detto che la integrazione debba essere un obbligo. Io capisco perfettamente chi va in Cina per lavorare e non ha nessuna intenzione di integrarsi, sapendo che magari tra qualche anno sarà a casa o che non ha interesse nella lingua, nella cultura, nelle abitudini. Per esempio. Questo ovviamente dovremmo capirlo tutto.

Il problema nascerebbe se nemmeno poi i figli di chi è andato in Cina (e alla fine ci è rimasto "a vita") non riescono ad integrarsi, perché lì nasce il disagio, lì c'è un vero problema di integrazione sociale, secondo me. Ma è ovvio che ci vuole tempo e non è facile, probabilmente per nessuno.

hey, ti vogliamo filosofo più spesso :) che è bello condividere le proprie impressioni da punti diversi ed esperienze diverse

Baol ha detto...

un post davvero molto bello...ma, che ne sai? Magari cresce e diventerà un adulto represso che va scrivendo cagate nei blog degli altri senza manco averne uno suo...

Anonimo ha detto...

Tempo fa' sono stato in vacanza in Danimarca, e mi e' capitato per caso di guardare un documentario in cui un intellettuale Libanese cercava di capire perche' nelle citta' Danesi esistessero ghetti di immigrati non integrati, o perche' i ragazzi mezzi Danesi-mezzi "altro" (per esempio alcuni ragazzi di madre Danese e padre Libanese) non si sentissero ne' Danesi ne' Libanesi (comunque sulle donne Europee che magari vanno in vacanza nei paesi esotici e s'innamorano del primo animatore turistico/cameriere/passante che passa ci sarebbe da fare un discorsetto...ma non divaghiamo. Poi queste si lamentano pure quando dopo pochi anni divorziano, chissa' perche', ed il loro fantastico ex-marito esotico gli ruba i figli e se li porta nel paese da terzo mondo da dove viene).

Per tagliare corto, dopo aver visto ragazzini di origine medio-orientale trasformare tranquilli quartieri Danesi in belle copie di Scampia, andando in giro in motorino senza casco, suonando musica house/techno/hip-pop di merda a tutto volume all'aperto per ore, non facendo un cazzo tutto il giorno, e dichiarando perle del tipo "io sono nato in Danimarca, ma non sono Danese, e mi sento giustificato a non rispettare le leggi Danesi", ho capito che...che l'Europa si sente sotto pressione/attacco/impaurita/ecc.. a causa di alcune minoranze di stronzi (guardacaso sempre certe etnie/culture), che non avendo avuto meglio da fare negli ultimi anni che

- Imporre il loro modo di vita (arretrato) in certe zone dei paesi ospiti (sottolineo la parola OSPITI)
- Succhiare dalla tetta dello stato sociale dei paesi OSPITI
- Chiedere solo diritti (come il diritto di costringere la propria donna a girare con un telo scuro che la ricopra in parte o interamente) e niente doveri
- Ecc...

Sarebbe stato meglio prendere a calci queste minoranze di stronzi, ma a causa di un certo buonismo regressista...adesso e' probabilmente troppo tardi, e tutta l'Europa e' nella merda, anche e soprattutto gli immigrati "silenziosi" che non hanno mai creato problemi...

Se tu vieni a casa mia, capisco che tu possa venire da una situazione economico-sociale disastrata in patria, e sono disposto ad aiutarti ad imparare la lingua, trovare un lavoro, anche a costo di ridurre il mio standard di vita...ma su una cosa non transigo: A casa mia si rispettano le MIE regole ed il mio modo di vivere (quindi niente donne vestite contro la loro volonta' come dice il marito, niente matrimoni combinati, niente delitti d'onore, ed altre amenita' da Medioevo che si vedono sempre piu' spesso nei paesi del Nord Europa...).

Se non ti va bene...mi dispiace ma te ne torni a casa.
Patti chiari amicizia lunga...

Anonimo ha detto...

Ci sarebbe anche un discorso da fare sulla macellazione islamica, arretrata, disumana, da medioevo, che lascia l'animale morire lentamente ed agonizzante...e che guardacaso e' un'altro di quei "diritti" che viene chiesto, spacciandolo come "cultura". E' gia' difficile per me mangiare carne pensando all'essere vivente che e' stato ucciso, figuriamoci se poi so che e' stato ucciso in un certo modo...

Uno dei tanti motivi per cui non mangio Kebap...

O sul fatto che nelle culture medio-orientali i cani vengono visti di cattivo occhio...ed infatti le minoranze di stronzi di cui sopra si sentono in diritto, nei paesi OSPITI, di maltrattare i poveri cani.

Anonimo ha detto...

anch'io reputavo bella la storia prima di aver letto il nome del bambino, sempre le solite banalità..
ma finitela di avere sempre sto complesso di inferiorità verso i musulmani... non ci sono solo loro al mondo che soffrono e che lasciano la patria... siete narcotizzati dalle tv, c'è un mondo di disperati che lascia l'italia, e nessuno ne parla... o che lascia la spagna, il portogallo, la grecia, i paesi slavi, verso aree più ricche... ma fatela finita di avere sta fissa degli arabi...
A22

Anonimo ha detto...

non avevo ancora letto i 2 commenti dell'anonimo che mi hanno preceduto... SANTE PAROLE AMICO! ci vorrebbe più gente con le palle come te in questo paese, che dica le cose come stanno ma purtroppo appena uno tenta di dire la verità viene subito etichettato come razzista o fascista da qualche falso moralista ipocrita

povera europa... e credo proprio che x le politiche ipocrite che proprio l'europa attua in merito, si meriti tutto ciò, di essere snaturata e perdere la sua identità... ormai è troppo tardi
A22

Zax (Andrea) ha detto...

bel post. Ho una domanda: il tuo pensiero riguardo al nome 'Ugo' è una citazione del film 'ricomincio da tre' ? perchè se è così ... allora meglio Ciro, altrimenti il bimbo cresce troppo 'represso'
:-)

Andrea

cuciniando ha detto...

Io ho pensato che Ugo stava per fantozzi...

Cmq volevo dire un paio di cose.
Sulla frase:

'Cmq, sappiamo che l'integrazione, anche tra occidentali (radici comuni, stessa religione, etc.), non è per nulla facile, c'è sempre quel trauma da emigrazione, da distacco sociale, da intorno differente, da lingua da imparare/migliorare e abitudini (orari, cibo, formalità) e passato comune (una canzone, un rito, una festa), etc.'

Sono d'accordo, anche se ci sono culture in cui in distacco lo senti di meno. Ad esempio io ho sentito molto più distacco culturale nei miei 14 mesi a Galway che nei miei quasi quattro anni a Barcellona, fosse solo perché a Barcellona la gente ha i capelli scuri, mangia nello stesso modo in cui mangiamo noi e le lingue si somigliano. Anche a Barcellona cmq ti accorgi, stando in mezzo agli autoctoni, che ci sono delle differenze culturali che a volte ti fanno rendere dramamticamente conto che sei lontano da 'casa'. Ma io credo che questo possa accadere anche se un salernitano si trova una sera in un gruppo di tutti napoletani. La società, almeno quella in cui io sono cresciuta e mi sono formata, era una società di piccoli gruppi, in cui le novità, le parole, le paure si trasmettevano allinterno di piccoli gruppi.

Per quanto riguarda l'anonimo o gli anonimi, io penso che a volte può essere vero che la gente si tiene un'opinione per sé per paura di essere tacciato come razzista. Ma è anche vero che esperimere un'opinione come la esprimi tu, o voi, è offensivo non solo verso gli emigrati di altri paesi ma anche verso chi italiano se 'è andato e denota in generale uno scarso rispetto degli altri come uomini.

Quanto alla frase

'c'è un mondo di disperati che lascia l'italia, e nessuno ne parla... o che lascia la spagna, il portogallo, la grecia, i paesi slavi, verso aree più ricche... ma fatela finita di avere sta fissa degli arabi...'

Non tutti quelli che se ne vanno sono disperati. È un fatto di carattere e attitudine, ci sono 'disperati' che restano, perché sono attaccati al posto in cui sono nati e hanno paura del diverso e 'disperati' che se ne vanno perché sono curiosi e sono alla ricerca di qualcosa, non sempre qualcosa di materiale.

Quanto a dare per scontato che chi se ne va dal suo paese sia un disperato in cerca di fortuna è un incredibile pregiudizio culturale. Io me ne sono andata dall'italia che avevo un lavoro, mi mantenevo e avevo una vita dignitosa. Ma ho avuto voglia di andarmene, per curiosità verso altre culture e per motivi personali o interiori.
Oggi non ci ritorno in Italia e non ci tornerò finché potró perché la mancanza di rispetto che riscontro tra le persone nella vita di tutti i giorni in Italia o almeno nella mia città di origine mi sembra inaccettabile e mortificante verso la natura umana.

Ciao ciao,

Annamaria

andima ha detto...

@Anonimo del 28/07 11:03 PM
tralasciando il concetto di casa "tua", che su certe proprietà potremmo parlarci per ora, e anche su quel "occhio per occhio dente per dente" che aleggia sempre in certi discorsi da quel popolo che poi lotta per il crocefisso perché loro sono cattolici di radici cattolici in una maschera tanto falsa quanta ridicola, vorrei solo puntare il dito su una cosa: è vero che uno stato ha le sue regole e vanno rispettate, è la legge, ci mancherebbe, ma le leggi devono adattarsi alla società che regolano, se la società cambia anche le leggi devono cambiare, altrimenti staremmo ancora alle leggi del medioevo, no?

@Anonimo del 28/07 delle 11:09
lo so, sono tradizioni religiosi che non si sono perse nel tempo, ma quante ne abbiamo noi in Italia di assurde e le spacciamo per cultura?
Su abitudini e credenze, lo so, non è facile trovare punti in comune a volte, ci vuole tempo, lo so, gli Italiani nel Belgio del sud 50 anni fa erano visti quasi allo stesso modo, importunavano le ragazze per strada, sporcavano, non rispettavano, etc, adesso fanno parte del tessuto sociale del Belgio. Certo, loro erano "europei" e "cattolici" e c'era molte più connessioni, ma le differenze culturali erano ad ogni modo abissali.
Con questo ovviamente non voglio e non posso giustificare tutto, ci mancherebbe, ma almeno cerchiamo di essere obiettivi, di ricordare anche noi cosa siamo stati e di non avere fretta, che le cose non si cambiano e non si risolvono in una notte.

@A22 delle 11:44
Non c'è nessuna fissa per gli arabi, ma la discussione che ne è nata dimostra che c'è, dalla parte del lettore a quanto pare. Di altri flussi migratori se ne è parlato e se ne parla in questo blog, dipendendo dagli stimoli, ma se avessi scritto Antonio come nome finale sono sicuro che si sarebbe parlato di altro e con altri toni, o sbaglio?

@A22 delle 3:42
nessuna etichetta di razzista o fascista, come nessun falso moralista ipocrita, qui si discute, ciascuno con la propria opinione, e apprezzo anche il tuo punto di vista, sicuramente diverso dal mio, ma aiuta a capire tante cose e confermarne di altre.

@Zax
eheheh ti confermo la citazione, da qui e avevo proprio dimenticato di Ciro :D

andima ha detto...

@cuciniando
sono d'accordo con il tuo intervento, mi hai fatto ricordare questo vecchio post in cui appunto si parlava del passato comune e della difficoltà di sentirsi integrato anche con cultura reputate vicine alla nostra, come quella spagnola per esempio.
Sui pregiudizi di chi emigra, beh è triste pensare che ci sia chi etichetta tutti come disperati, allo stesso modo in cui si etichettano tutti come "cervelli in fuga" che alla fine non si emigra, per me, ma si va semplicemente altrove, per mille motivi, c'è il disperato, c'è il ricercatore in fuga, ma c'è anche il viaggiatore, quello che vuol cambiare aria, quello che vuole una sfida, quello che segue un amore e quello che si trova per caso in luogo senza averlo programmato e a spiegarlo poi è sempre una lunga storia e chissà quante altre cause. E lo stesso, purtroppo, capita per chi vive all'estero ed etichetta quelli rimasti in patria e lì è anche peggio, perché chi emigra spesso si vanta di vivere in un posto migliore, più civile, e poi cade in pregiudizi tali da dimostrare di esser emigrato con il corpo ma la testa, quella, è rimasta ferma.

Annamaria-Cuciniando ha detto...

Ho letto il post, è vero, era lo stesso concetto che volevo esprimere io.

È interessante quello che dici, sul fatto che dare giudizi su chi resta e non se ne va dal suo paese è anche quello un indice di chiusura mentale.
Ma io credo anche che in questo tipi di giudizi a volte possano giocare fattori psicologici, a volte chi se n'è andato in quanche modo ha un bisogno inconscio di trovare una giustificazione alla sua scelta.
In ogni caso, alcuni giudizi non sono pregiudizi ma giudizi. È innegabile ad esempio che all'aeroporto internazionale di Capodichino l'autobus che fa il servizio di navetta con la città non ha un bagagliaio, cosa che a Barcellona è inconcepibile, ed è innegabile che detto autobus fa una fermata a piazza Garibaldi praticamente in mezzo alla strada, senza strisce pedonali nei paraggi. E vedi i turisti scendere e non capire in che direzione non verranno investiti dalle macchine, guardarsi intorno spaesati e lentamente attraversare la strada alal ricerca di un punto sicuro. Lentamente. E a piazza garibaldi attraversare la strada lentamente equivale a un suicidio. A Barcellona questo è inconcepibile. Così come a Barcellona è inconcepidile una metropolitana finita di costruire nel 2006 e non ancora aperta. Sono indici di qualcosa che è difficile da sradicare. Barcellona è solo un esempio, ovviamente. È la realtà che conosco.

Saluti,

Annamaria

andima ha detto...

@Annamaria
quanta ragione hai! Notai le stesse cose a Capodichino ma anche da Ciampino ad Agnanina, è lo stesso! :S
Sui pregiudizi, beh sì, sicuramente esistono da entrambe le direzioni e spesso accade che chi va via ha davvero il bisogno di giustificarsi o di sentirsi migliore, come se la sua felicità altrove dipendesse anche dalla inferiorità (presupposta) di chi è rimasto, come se la felicità dipendesse anche dagli altri rimasti in Italia e dai loro problemi, perché c'è bisogno del confronto, continuo, per sentirsi meglio poi e confermare la propria scelta. Ne accennavo nel post fantasioso degli italiani a Bruxelles dove alla fine tracciavo qualche tratto forse comune agli italiani un po' ovunque, tra generalizzazioni e simpatia.

Annamaria-Cuciniando ha detto...

sì sì,l'ho letto il post, ma visto che l'argomento era simile a quello di questo post e nel frattempo mi è già entrato 'cariño' per questa discussione, allora ho continuato qui.