10 motivi per (non) andare all'estero

Periodicamente si torna a parlare di brain drain, per dichiarazioni discutibili di politici di turno o perché le statistiche vanno aggiornate e così le conclusioni spremute dai loro risultati. Andiamo allora controcorrente e proviamo (facendo uno sforzo) a riportare un decalogo del perché andare all'estero potrebbe non essere la scelta ottimale:

 1. La lingua. Altrove si parla un'altra lingua, che per quanto possiate parlare (o credere di parlare) bene, rimane comunque una lingua straniera. Se vi sentite pronti ad affrontare i primi colloqui o le prime avventure tra accenti maldestri e verbi mal coniugati, provate a pensarvi la prima settimana in un ospedale, perché qualcosa del genere può sempre succedere nelle coincidenze incaute della vita, e pensate a dover descrivere le parti del corpo che vi fanno male (quelle per cui non è facile risolvere tutto in un qui, , questa cosa) o i sintomi (vi brucia? vi preme? vi tira?). Certo oggi è tutto più facile, ma bisogna anche avere fortuna, siete pronti?
 2. Lo shock culturale. Un altro paese è un altro paese, altri modi di fare, di essere, di vivere, e questi modi vi potrebbero sembrare tutti sbagliati, vittime dello shock culturale, quando si perdono i punti di riferimento e dopo un periodo estasiante da foglio bianco dovuto al cambio, vi potreste ritrovare in un umori grigi tra rifiuti e lamenti, rigettando il diverso che vi circonda all'estero. Ci vuole comprensione, autocritica e voglia di capire. Pronti?
 3. Le reti sociali. E non quelle virtuali, ma di amicizie e conoscenze reali. In un paese straniero le reti sociali sono da ricostruire totalmente e se non si hanno già degli amici sul posto, non sempre è facilissimo crearsi un proprio gruppo, soprattutto con i locali, già impegnati nelle proprie reti sociali come voi lo sareste in patria, o con i colleghi, spesso non coetanei e magari restii a rapporti extra-lavorativi. Corsi di lingua, vita mondana, coincidenze, possono aiutare, con un po' di fortuna, pazienza, voglia di conoscere. Siete pronti?
 4. Il tuo paese, visto da fuori. Uscire e vedersi da fuori non è semplice e non sempre l'effetto fa piacere. Sgretolare convinzioni secolari, punti fermi figli di educazione nazionale o propaganda unilaterale, può lasciare un senso di smarrimento ma anche difesa, avendo l'impressione che un attacco, una critica o un commento non siano diretti al paese ma a voi. Ci saranno differenze tra il paese reale e quello percepito e non reagire sempre a spada tratta non è facile. Siete pronti a voler conoscere un altro paese, il vostro?
 5. Gli stereotipi. Ritrovarsi a rappresentare l'Italia tutta, tu, in una sola persona, in conversazioni o rapporti con stranieri, significa anche avere una certa responsabilità, nel confermare o contraddire gli stereotipi con cui gli italiani sono visti dagli occhi altrui e diventare una finestra su un paese che attraverso voi non sarà sicuramente pizza, sole e mandolino, ma non sarà neanche quello reale, perché voi non siete l'Italia tutta né probabilmente la conoscete tutta, voi siete voi, solo che gli altri spesso non lo sanno e vi confondono con un italiano. Siete pronti anche voi a muovere la testa e non solo il corpo?
 6. Il lamento. Potreste trasformarvi in un lamento continuo, perché il clima non è ideale, perché i trasporti non sono come immaginati, perché il lavoro è un compromesso, perché il cibo non vi piace, perché non c'è mamma a cucinarvi e perché fuori anche le piccole cose, quelle una volta etichettate come insignificanti, possono avere un peso nella bilancia quotidiana quando si rompono gli schemi e con essi le abitudini e bisogna ricostruire un po' tutto. E se il lamento non viene da voi, potrebbe venire da vostri connazionali all'estero. Ci vuole resistenza, pazienza e serenità. Pronti?
 7. I ritorni a casa. Tornando a casa ci sarà una voce che prima non esisteva nella testa, quella del confronto. Tutto sarà un confronto, nuovo, perché finalmente si ha un termine di paragone. I ritorni a casa, insomma, non saranno mai più gli stessi, rimettendo in discussione molto di quello che precedentemente rappresentava il vostro intorno abituale in un equilibrio oramai rotto. E le vacanze non saranno mai vacanze. Pronti a non sentirvi a vostro agio a casa?
 8. I commenti. Diventare italiano all'estero significa anche portarsi dietro una certa lista di etichette, a cui bene o male ci si può abituare con risposte pronte o spallucce veloci. Ci sarà sempre il genio di turno a commentarvi come vigliacco, perché è facile partire e lasciare tutto, è facile criticare il proprio paese da fuori, perché (d'improvviso) non si conosce più il paese non vivendoci realmente o a denigrare il paese da cui venite ed una qualità di vita che non può, in nessun modo, essere superiore a quella italiana. E tante altre storielle che ritroverete puntualmente tra ritorni e chat. Sinceramente, chi ve lo fa fare?
 9. Le mancanze. Ci sarà sempre quel momento, quello in cui manca una piazza, una panchina, il sorriso di un amico, la carezza della famiglia o il piatto della nonna, è il problema dell'emigrante, e con esso la voglia di ritornare, il rimorso di non aver fatto quello anziché questo. E ancora, ci sarà la mancanza di quel passato comune di voi verso gli altri e viceversa, quello che solo una cultura comune può costruire e che non troverete in amici stranieri e potrebbe portare rapporti sociali non più lontano di un certo limite. Ve la sentite?
10. Il limbo. Partire è un po' morire, dicono, e infatti qualcosa muore mentre altro nasce. Partire significa perdere qualcosa della propria nazionalità e guadagnarne un'altra, di cosa, che non ha nazionalità, o le ha tutte. Diventare uno straniero ovunque può però avere effetti collaterali, come non sentir nessun luogo proprio, sentirsi a disagio nell'intorno natio o cadere nella voglia di voler cambiar luogo ogni anno, continuamente, alla ricerca di se stessi quando il signor Se stessi è con voi, basta solo fermarsi ed ascoltarlo. Sicuri di voler iniziare?

Detto questo, la felicità è soprattutto dove vivi. Appena (e se) potete però, fate la valigia e andate via, almeno per un po', male non vi farà.

53 commenti:

tt ha detto...

Credo che basti fare qualche colloquio in Italia e pur di fuggire da quella sensazione di sentirsi perennemente presi per il culo si accetterebbero tutti i compromessi dall'uno al dieci...
(scherzi a parte, tutto vero, bell'analisi)

pedro ha detto...

Tutto perfetto, ma vorrei anche aggiungere altri motivi (o forse sono menzionati e mi sono sfuggiti).
-Logistico/organizzativo: andare all'estero, viverci, significa organizzarsi per trovare una casa ed organizzarla, arredarla, che sono diversi da quando si sta nel proprio paese (ci sarà ikea anche dove andrà in futuro? come trovo casa, dove vedo gli annunci? dove trascorrerò la prima notte?)
-burocratico: documenti, visa, registrazioni varie, contratti da firmare

:)

Anonimo ha detto...

Sinceramente, non vedo questa grande difficolta` nell'affrontare i punti che hai elencato nella mia vita di tutti i giorni. I vantaggi di lasciare un paese come l'Italia pesano molto di piu` di questi piccoli inconvenienti. Dopo un anno e mezzo, lo rifarei. Si tratta di migliorare la qualita` della propria vita a discapito di qualche insignificante dettaglio a cui si fa davvero in fretta ad abituarsi. In ogni caso, complimenti per l'analisi, io non mi riconosco, ma ci vedo il riflesso di molti italiani che incontro oltre confine...

andima ha detto...

@Anonimo
Se pensi al caso pessimo dei 10 punti, potresti ritrovarti senza amici, senza saperti esprimere bene nella lingua straniera, odiando quel paese, odiando gli stereotipi, odiando i commenti altrui, con mancanze quotidiane, etc. A quel punto, ovviamente, meglio rientrare e a quel punto, ovviamente, io direi: oh, te l'avevo detto io, l'avevo scritto pure eh.
Detto questo, anche io dopo più di 4 anni fuori, lo rifarei ad occhi chiusi e da lì viene quell'invito finale.
Ovviamente ognuno ha il proprio decalogo personale, c'è chi lo riduce a 2 punti e chi a 15, in base ai propri compromessi personali.

@Fra
La tua battuta coglie nel segno, i dieci compromessi sono tutti accettabili e superabili e spesso sono proprio la frustrazione e la rinnegazione della quotidianeità italiana a dare lo slancio decisivo culminante nella frase "basta, vado via".

@pedro
grazie per il contributo, il decalogo in effetti si può espandere e si possono assegnare "pesi" o "priorità", che ognuno ovviamente poi deve mettere sulla propria bilancia personale e vedere l'effetto che fa. C'è chi non si muoverebbe anche solo per il punto delle reti sociali, mentre per altri il decadologo si potrebbe ridurre a 2-3 punti chiave.

elle ha detto...

I punti 7,9,10 sono quelli in cui mi rispecchio da sempre, anche prima di venire a Lisbona, quando ho vissuto a Bologna, poi in Toscana ed in Lombardia.
Il senso di estraneità e la mancanza, l'assenza, il limbo, sono le cose più stranianti e tristi della faccenda.

sandrokhan80 ha detto...

Molto bello ed interessante il tuo decalogo. Poi a me è così utile, che leggo il tuo blog proprio perché ponderavo se passare qualche anno a Bruxelles. Parlare di certi argomenti in generale è veramente difficile, ogni caso è a se e l'ago della bilancia partire/restare si sposta in base alle situazioni personali. I tuoi dieci punti (e l'aggiunta di pedro) sono ispirati dal miglior buon senso e dalla cruda esperienza personale. Bisogna però ammettere che noi italiani (specie meridionali) ci troviamo in situazioni personali incredibili (rispetto ad altri europei) e difficilmente analizzabili in un discorso generale. Scusami, ma devo portare il mio esempio .... meridionale al Nord, pago il 60% del mio stipendio in affitto di una cameretta, un mini-shock culturale è stato anche venire al nord e non mi sento per nulla a casa mia, non c'è mai stata la mamma a preparami la colazione! Paradossalmente sono un italiano con tutta la sua famiglia (tranne i genitori) in Belgio e si spera che l'aspetto logistico sia meglio di qui dove la casa è diventata la mia ossessione ricorrente. Alcune volte penso di aver sbagliato tutto ... anni fa dovevo scegliere il mega-shock culturale di andare all'estero e non il mini-shock di venire al nord. Sarei vissuto meglio ed avrei fatto maggiori esperienze. C'è mezza Italia dove i giovani non hanno molto futuro senza spostarsi ..... bisogna decidere solo se fare il salto lungo o quello breve. Visto da questa prospettiva che ne dite?

andima ha detto...

@elle
felice di trovare conferme in altri italiani in giro per il mondo. Scrivendo il post mi son reso conto che stava diventando un post directory, che cioè linkava mezzo blog e proprio per questo riassumeva anni d'esperienza all'estero, ma esperienza ovviamente personale, da cui però si possono trarre punti generali, questi 10 in questo caso, ma probabilmente anche altri, poi sta a ciascuno assegnare priorità ed importanze.

@sandrokhan80
Hai detto benissimo, il decalogo alla fine è personale, ognuno lo pesa sulla propria bilancia, alcuni su facebook mi han detto che non sono punti che sembrano pesare molto, che invece ce ne sarebbero 100 di motivi per lasciare l'Italia, che non li ho convinti a non lasciare l'Italia (ma infatti alla fine la conclusione è un invito a farlo); eppure in 4 anni all'estero ho conosciuto più ragazzi che son tornati in Italia per uno dei quei punti che per altro (per esempio, avevano il lavoro e anche ben pagato ma il lavoro non bastava a dare il sorriso), lo shock culturale per esempio è sottovalutatissimo così come le reti sociali.
Detto questo, se mi chiedi un consiglio, io il passo lungo lo farei, ma ovviamente con le dovute valutazioni: se hai già una parte della famiglia qui, aiuterebbe sicuramente all'inizio, ma devi anche controllare il tuo settore (che non conosco) e se ci sia o meno lavoro qui a Bruxelles per la tua posizione (e poi, come te la cavi con l'inglese? e con il francese?). Se decidi di venire per un sopralluogo, fammi sapere, c'è sempre tempo per una birra:)

Destinazioneestero ha detto...

Carinissimo questo post! Complimenti!

cuciniando ha detto...

Il concetto che traspare dal tuo post e che condivido è quello che sebbene ci si possa integrare ed essere felici in un paese traniero molto più che in patria, in qualche modo si resta stranieri. Ci sono cose che dovranno spiegarci almeno una volta prima che le capiamo. A Salerno o nella nostra città natale questo non accadrebbe. Conosciamo esattamente tutti i riferimenti culturali.
Questo ovviamente non significa che per non sentirmi o essere percepita come "straniero" tornerei a Salerno. Io non denigro l'Italia o gli italiani, ogni posto ha i suoi vantaggi o svantaggi, semplicemente penso che ci siano persone che (magari perché più flessibili, o più curiose o solo perché più intolleranti) nella loro vita sentono la necessità di allontanarsi, vivere lontano, andare alla scoperta o che scelgono semplicemente una routine leggermente diversa in un posto più o meno lontano e più o meno straniero.

Annamaria

CheleAlwaysLate ha detto...

A tutti piace dire di sé stessi "io non sono razzista". È quasi scontato, un requisito minimo dell'essere civile. Ma c'è anche, inevitabilmente, quell'esasperazione contro il vucumprà, che quasi ti senti in diritto di trattarlo male, il ragazzo napoletano che frega agli esami, lo sguardo di diffidenza al pakistano che è l'unico che si ferma davanti a te, che fai l'autostop.
Ecco, quello mi fa paura. Forse mi sento in colpa per quella diffidenza quasi spontanea, incontrollabile, che a volte mi trovo a dover ricacciare indietro, proprio perché temo il giorno in cui sarò io l'oggetto di quello sguardo. Pronunci due parole, con la massima concentrazione, e già lo sentono che sei straniera. Chiedi di ripetere, che non hai capito bene. Ed eccolo che arriva, quello sguardo: è italiana (con annessi stereotipi). Questo Paese si è ridotto a dare alloggio a persone che vengono qui e neanche sanno parlare la nostra lingua.
Forse Bruxelles, così divisa, così indefinita nei suoi tratti, potrebbe essere il posto giusto per me, per vincere questa paura. O forse no.
Sono pronta a partire? Non lo so. Ma basterà il semplice desiderio di trovarmi là, a tenermi in piedi davanti a quello sguardo?

Grazie per le cose che scrivi, sei stato una scoperta e una ispirazione! :)

Baol ha detto...

Il tuo è davvero un ottimo post (non avevo dubbi) e fa pensare seriamente a cosa potrebbe accadere se uno facesse una scelta del genere...ma ti assicuro che sono comunque tentato :D

andima ha detto...

@cuciniando
condivido a pieno la tua opinione equilibrata e (per me) veritiera. E' quello che dico sempre, ovviamente non va bene per tutti quelli andati via, ma spero lo sia per la maggior parte.

@CheleAlwaysLate
l'essere straniero e' una condizione che bisogna portarsi dietro per lungo tempo, ovviamente ci sono ambienti in cui puo' pesare di piu' o meno rispetto ad altri. Ed il tempo gioca la sua parte: faccio sempre l'esempio di mio zio, da 25 anni in Germania, oramai piu' tedesco che italiano (anche quando parla quello che lui crede sia italiano). A Bruxelles l'ambiente e' davvero internazionale e non si e' che uno straniero in piu' nella capitale, certo anche qui dopo mezza parola francese si capisce che siamo italiani, ma gli italiani qui sono tra le comunita' piu' grandi di stranieri nel paese ed e' integrata, ne forma oramai il tessuto sociale. Poi ognuno avra' la propria esperienza e magari le conclusioni che se ne possano trarre potrebbero passare anche per qualcuno di questi 10 punti.

@Baol
Attento che dicono che il miglior porto di liberarsi di una tentazione e' cedervi e se vuoi ti tento ancor di piu' con una birra belga aromatizzata al miele :D

Rake ha detto...

Mi trovo fondamentalmente d'accordo con i punti che hai elencato.

Penso sia importante farli presente ai tanti che fanno i discorsi da bar "Io vado all'estero" e che al massimo si fanno un week-end ad Amsterdam con Ryanair.

La sensazione più devastante comunque è quella di non sentirsi a casa né nel nuovo paese dove vivi, né in quello che hai lasciato, e certo lo shock culturale gioca la sua parte.
Per quanto mi riguarda, nei 5 anni che ho passato in Irlanda non sono mai riuscito ad andare oltre alla fase 3 (regressione), altrimenti presumo sarei ancora lì.

Vedremo come andrà col Canada.

Unknown ha detto...

Grazie per la citazione.

Avevo scritto anche io qualcosa del genere qui: http://informatico-migratore.blogspot.com/2010/09/vuoi-andare-vivre-allestero-i-10-non.html

andima ha detto...

@Stefano
non ricordavo quel tuo post!

@Rake
anche io in Irlanda son stato vittima dello shock culturale e devo dire che proprio grazie a quell'esperienza poi in Belgio ho reagito sicuramente meglio, diciamo che in questi casi il primo paese te lo "bruci", nel senso che non lo apprezzi o almeno non come se fosse stata la seconda esperienza, purtroppo.

cuciniando ha detto...

Secondo me lo shock culturale non dipende da se è la prima volta che vai a vivere in un paese straniero ma dalla distanza culturale tra il tuo paese di origine e il paese che ti ospita.
Io ho vissuto in Irlanda e mi sono sentita a un certo punto un pesce fuor d'acqua. Dopo un anno ho valutato che a rimanere lì mi sarei sentita per sempre un pesce fuor d'acqua e me ne sono andata. In Spagna. Dove mi sono sentita quasi come a casa. Poi la vita mi ha portato di nuovo in Irlanda e anche se è innegabile che ora sono più adattabile e più flessibile data l'esperienza di vita all'estero pluriennale e che accetto di più le differenze nel modo di vivere, qui mi sento comunque "diversa", anche se il mio inglese non è peggiore del mio spagnolo.
Io credo che sia il contrario di quello che dici. Se sei di un posto come l'Italia del Sud e il primo paese straniero in cui vai è l'Irlanda, il secondo paese (se è meno "diverso") è probabile che te lo godi di più perché hai già sperimentato che ci sono posti che sono molto molti più lontani dal tupo modo di vedere e vivere la vita rispetto a quello il cui vivi al momento.

Non sono sicura di essere riuscita a espremere il concetto che volevo.

Saluti,
Annamaria

andima ha detto...

@Annamaria
hai ragione, dipende principalmente da quanto distante sia la cultura di destinazione dalla propria, ma secondo me l'esperienza aiuta sicuramente ad ammorbidire l'impatto con la diversità, a cercare di controllare le proprie reazioni, soprattutto quelle negative, a giudicarsi, secondo me la coscienza del poter avere uno shock culturale già aiuta ad ammorbidirlo. Un po' come gli anticorpi, insomma.
Poi, è ovvio, come hai detto tu, quando sai che altrove è veramente molto diverso, apprezzi di più altri paesi stranieri dove magari ti senti meno straniero, come per esempio la Spagna, ma anche il Belgio.

andima ha detto...

@Annamaria
esempio (scemo) in cui gli anticorpi possono aiutare: se vieni in Belgio e vedi che si mangiano coni di patatine fritte e ne vanno matti, non esclami "ma questi son scemi, sono solo patatine fritte" come potresti sotto effetto dello shock culturale, grazie ad anticorpi capisce che fa parte di una cultura, diversa, così come la nostra esagera con la pasta, nessuna è sbagliata, sono solo diversi e sono belle proprio per quello.
Ovviamente la vicinanza alla propria aiuta molto, perché rende l'impatto più morbido, ma precedenti esperienze all'estero aiutano ulteriormente, perché già più "esperti".

cuciniando ha detto...

eheh :) In Irlanda potresti dire "che scemi, mettono l'aceto sule patatine fritte", ma poi ti ci abitui, dopo un po' ti cominciano anche a piacere.

Io trovo divertente il contrario: scoprire cos'è strano dell'Italia per gli stranieri che conosco e che vivono ho hanno vissuto in Italia ;)

andima ha detto...

@Annamaria
hai ben detto e lo trovo curioso anche io, anche per conoscere il modo diverso, da occhi estranei, quelle che per noi sarebbero normalità o abitudini. Attenzione però perché spesso (anche a causa dello shock culturale) scatta la difesa, l'offesa, l'orgoglio, trasformando (o manipolando) il commento in critica e allora se uno straniero commenta una nostra abitudine più che curioso diventa guerra, per alcuni, purtroppo.

Anonimo ha detto...

Ciao Andima,

Mi chiamo Marco, Italiano, romano fiero di esserlo. Per mia fortuna ho avuto l'opportunità di girare tutta l'Italia e (quasi) tutta L'Europa e di vivere anche all'estero per un po'. Sinceramente non sono d'accordo con la tua analisi. credo che dei punti che descrivi sono molto pochi quelli che sono un reale motivo di rinuncia a una simile esperienza (e sono risolvibilissimi): La lingua, certo. Lo shock culturale anche(che include secondo me i punti 3, 4, 5 e 8). Per il resto credo che a parte il punto 10 gli altri non siano da considerarsi motivi di rinuncia, ma questa è una percezione che varia in base alla sensibilità personale. Personalmente credo che per partire o rimanere serva la stessa dose di buona volontà e coraggio, cambiano solo le criticità che dobbiamo risolvere. Inoltre scrivere un articolo sul perchè non partire mi sembra alla stregua del lamentarsi per quella fuga di cervelli che tanto ci preoccupa, io suggerisco di cambiare il punto di vista e cercare di capire come un'esperienza all'estero possa essere un valore aggiunto per migliorare le cose in Italia, che ne pensi? ovviamente vale anche il v.v.

Simona ha detto...

Ehehehe. Già, non è facile partire e andare. Un po' una fuga, un po' una sfida...E tanta curiosità.
Tempo fa scrissi qualcosa del genere. Oddio, forse il senso era opposto, ma sicuramente complementare.
http://chicosadelante.wordpress.com/2011/11/13/essere-italiano-allestero-e-una-condizione-mentale/

La felicità in fondo può essere ovunque. La casa sei tu! Mentre le fondamenta si possono spezzare e ricostruire in terreni più forti.
Ma devo dire che mi ritrovo nel tuo posto...e all'ospedale ci sono stata in Venezuela...che scena!

Anonimo ha detto...

Molto bello... siamo proprio noi, e proprio qui.
Grazie per averlo scritto, lo rileggerò quando cadrò in depressione bruxellese da espatrio così, sentendomi un pò ridicola, ci riderò su.

Iris ha detto...

Bel post.
Ed io dopo aver lavorato nell ambito per cui ho studiato e che mi appassiona sempre moltissimo, prima a Bruxelles e ora a Parigi proprio per uno di questi 10 punti o per un po' tutti messi assieme sto pensando di tornare in Italia. Pazza ?? Mah...
Mi dico che se non provo a fare quello che mi piace a casa non mi sentiro' mai pienamente soddisfatta.
Almeno ci voglio provare e voglio dare all'Italia una chance.

andima ha detto...

@Marco
Questo post è un'esca per commenti ed esperienze altrui e funziona benissimo devo dire. A tutti sfugge l'ultima riga, quella in cui si esorta ad andar fuori, a provarci, contraddicendo il titolo e trasformando il post. I punto sono ad ogni modo del tutto personali, per alcuni si possono ridurre a 2-3, per altri saranno 15, per altri saranno 150 quelli per lasciare l'Italia, eppure in 5 anni all'estero ho conosciuto più ragazzi che son tornati in Italia a causa di uno di questi punti che altro. Esempio: avevano un lavoro nel paese straniero, ma non era abbastanza, anche se ben pagato, anche se con rispetto, meritocrazia e quant'altro si possa desiderare ed odiarne il contrario nel sistema italiano, eppure... Vuol dire che ognuno ha la propria bilancia personale su cui pesare compromessi, eventi ed umori, raggiungere l'equilibrio e quindi il sorriso non è facile, ma è un equilibrio personale che magari questi 10 punti potrebbero rompere. Lo shock culturale, da questo punto di vista, è probabilmente il punto più pericoloso (e sottovalutato).
Come dimostrano alcuni dei commenti già postati di altri italiani all'estero, in pochi potrebbero affermare di non aver mai vissuto uno dei seguenti punti all'estero, per alcuni passano, per altri pesano con gli anni, per alcuni possono essere motivi di ritorno, per altri addirittura motivi per non partire. Di nuovo, è tutto personale, qui se ne volevano elencare solo alcuni, poi sta ad ognuno associare pesi e misure.
Per quanto riguarda l'esperienza all'estero per migliorare l'Italia, beh si apre un'altra questione: il perché, perché ci debba essere questo "quasi obbligo" di tornare, questo legame con un paese che per molti non è altro che un pezzo di terra, una cultura, un'educazione e legami sociali, entreremmo in discorsi sulla patria e sull'Italia che da anni certo di analizzare su questo blog, ma non posso dichiararmi detentore di nessuna verità, quindi prima ancora di iniziare a scrivere qualcosa tipo "come possa essere un valore aggiunto per migliorare le cose in Italia", devo capire che cos'è l'Italia per chi parte, anzi prima per me, e poi per gli altri, attraverso gli altri.
Se hai tempo, segui il tag "della patria", lì ce ne sono tanti di ragionamenti simili.

Anonimo ha detto...

io sono del parere che tutto il mondo è paese, e poi, se pensiamo che, nella nostra amata Italia, non ci è più permesso vivere con un misero stipendio da operaio, cosa fai, stai ancora a farti dissanguare, pur sapendo che più di tanto non potrai ottenere? quando al seguito hai marito e figli consapevoli e concordi vuoi che del tuo decalogo non mi faccia una risata? io sto andando via e sono certa di andare a vivere più serenamente,bisogna essere realisti e ottimisti, mica mangio a tavola col signor Monti?

andima ha detto...

@Simona
conosco il tuo post:) e infatti lo commentai all'epoca. Però non sono d'accordo con l'identificazione della casa nella persona, la trovo pericolosa e restrittiva. Pericolosa, perché si rischia di chiuderci in un individualismo che va proprio contro l'idea di viaggiare, secondo me. Restrittiva, perché abbiamo bisogno di un posto chiamato casa, che sia quello in patria, che sia quello altro temporaneamente chiamato casa dove però "temporaneamente" diventano anni e anni. Anzi, ci sentiamo bene in un paese straniero proprio nel momento in cui siamo capaci di dire senza problemi "questa è casa mia".
La tua frase sulla felicità rispecchia in tutto e per tutto un post linkato nell'ultima frase del post, la felicità è soprattutto dove vivi, per una serie di punti lì elencati. Ed è per questo che bisogna provare altrove, per confrontare e provare nuovi compromessi e trovare l'equilibrio migliore.

@Anonimo
beh ti auguro di non cadere in depressione brussellese, l'enorme comunità italiana a Bruxelles potrebbe aiutarti in quanto a reti sociali e shock culturale :)

@Iris
Ecco, grazie per la tua testimonianza, confermi la mia esperienza indiretta di persone che son tornate in patria pur avendo lavoro e soddisfazioni all'estero.

andima ha detto...

@Anonimo
Ben venga la risata, io sono la conferma che questi punti non frenano, vivendo all'estero da quasi 5 anni, ma non è detto che andare via sia sempre la soluzione migliore o sia sempre facile per tutti, ecco, questo è un esempio, purtroppo.
Per il resto, valgono le stesse considerazioni di sopra, non ripeto le stesse frasi in 10 commenti, ma si sappia che la crisi non è solo in Italia e fuori le cose si fanno sempre più selettive, quindi ci vogliono skills linguistici e professionali (ma veri, non supposti) se si vuole davvero il cambio, altrimenti meglio aspettare, secondo me.

Anonimo ha detto...

sono favorevole tutti i punti , e spesso prima di partire si dovrebbero leggerli . Io oggi mi trovo in Germania e avendo fatto altre esperienze , posso dire che il calore affettivo è molto importante, specialmente nei momenti di tristezza. Nonostante ciò andare fuori dalla propria città , permette di fare sempre più esperienze e maturare al meglio.

Valeria ha detto...

Io mi ritrovo nei punti 7 e 10, ma già da quando ho cambiato città per l'università.
Durante l'erasmus ho subito lo schock culturale, l'Olanda mi sembrava così differente dall'Italia. Sempre pioggia. Gli olandesi non parlano tutti inglese come credevo, e spesso anche comprare un litro di latte diventata una sfida. Per i primi mesi non ho fatto che pensare a tornare a casa, a mollare tutto. Ma ho resistito, perchè non mi piace lasciare le cose a metà.
Tornata in Italia, ho iniziato a sentirmi una straniera anche a casa, e dopo esperienze personali spiacevoli, son scappata a Bruxelles 5 mesi. Con il mio francese stentato, e senza conoscere nessuno. Mi son trovata benissimo, e ora sto cercando in tutti i modi di ripartire. Per Bruxelles o per un altro paese. Chissà.
Questi problemi sono reali, e te ne accorgi solo se le cose vanno male. Ma non dovrebbero essere sufficienti a fermare una persona. Se uno vuole partire, andrà anche in Cina senza sapere il cinese. Perchè la forza di volontà aiuta a superare qualsiasi problema.

Anonimo ha detto...

Mi ritrovo in questi punti, chiunque abbia vissuto per un pò all'estero ha sperimentato l'uno o l'altro di questi problemi. E' anche vero che alle volte basta essere semplicemente motivati per superare questo o quel problema (sinceramente quelli logistici sono abbastanza secondari, una volta che si è deciso di partire). Io ho viaggiato un bel pò, per studio o per lavoro ho lasciato l'Italia anche per lunghi periodi, eppure recentemente sono scappata dalla periferia americana, nonostante mi avessero offerto un lavoro più che decente. Quando si parte si deve considerare bene anche dove si va! Ero e resto una viaggiatrice convinta, ma esorto chiunque a domandarsi prima se si è disposti a fare certi sacrifici, a considerare bene dove si sta andando e se si è motivati abbastanza. Detto questo, buon viaggio a tutti!

Fede ha detto...

D'accordissimo su tutto...mentre i primi 5 punti si possono superare, il sesto per fortuna non mi appartiene (ma esiste eccome!!) e gli ultimi quattro fanno paura da gran che son veri...Io sono via dall'Italia on e off da 9 anni e fissa in Scozia da quasi 5, e ogni volta che torno a casa mi sento una "misfit", incurabile, lo so, e incomprensibile agli occhi di familiari e amici. E' il prezzo da pagare ma ne vale la pena eccome! Great post :)

Anonimo ha detto...

1. La possibilità di imparare un'altra lingua sul campo dovrebbe essere un ulteriore incentivo a partire. Con i corsetti o le vacanze-studio non si impara proprio un bel niente.
2. Questo succede pure dal nord al sud Italia e viceversa.
3. Non sempre facilissimo ma comunque non impossibile no? Dipende dalla voglia che uno ha di integrarsi e, se si parte con questo decalogo in testa, stai sicuro che non ci si riuscirà neanche dopo 30 anni.
4. Della serie "meglio una bugia detta bene che verità cruda".
5. Una persona non rappresenta nessun altro che se stesso. Se qualcuno tira fuori gli stereotipi, ci sono tanti modi per "affrontare" la cosa: ricambi, ci scherzi su, ignori.. eccetera. Niente di insormontabile. Certo che se una persona ha la classica testa italiana secondo la quale l'Italia è il miglior paese del mondo e tutti gli altri sono inferiori per partito preso.. è un grande problema.
6. Il clima è relativo, nessuno che lavori muore di fame vivendo nei paesi industrializzati, la mamma prima o poi se ne andrà e l'Italia è già un continuo lamento. Idem gli italiani all'estero, che generalmente vivono pretendendo e credendo di poter ancora vivere come in Italia: volendo cibo italiano a tutti i costi, frequentando gente italiana... vale a dire il peggiore modo per vivere all'estero. Se si parte con questa convinzione, si torna presto.. ma non si dovrebbe partire per niente.
7. Siamo sicuri che sia una cattiva cosa? Se lo è, vuol dire che ora ci si trova meglio nel posto in cui si vive.
8. Vigliacco? E' facile prendere e lasciare tutto? ma stiamo scherzando??? Se non si sta bene in un posto, si ha tutto il diritto di emigrare. E se a qualcuno non sta bene, è un problema loro.
9. La vita va avanti. Lamentarsi ed essere nostalgici non paga, anzi, corrode. E la vita è fatta di sacrifici e priorità. Meglio il piatto della nonna o la possibilità (anche fosse piccola) di un futuro migliore?
10. E' questo il problema: si parte sempre pensando a cosa si lascia, mai pensando a quello che si potrà trovare.

Buon viaggio!

Carlo

Anonimo ha detto...

Questo "articolo" mi fa rabbrividire. Incoraggiamo la chiusura di mente e l'instinto mammone. Bravi.

andima ha detto...

@Carlo
ecco, ognuno può interpretare questi punti in un modo, la tua e' una interpretazione possibile. Il fatto che il post sia quasi diventato un post directory con link a quasi 4 anni di blog, vuol dire che sono tutte esperienze reali, di vita vissuta all'estero, vuol dire che non sono finzioni, che i punti non raccontano assurdità (se proprio non bastassero le conferme nei vari commenti), questo ovviamente non significa che debbano essere dei motivi per non andare all'estero, il titolo e' una provocazione per invitare alla lettura, ma i punti possono essere sicuramente degli spunti per riflessioni che sfuggono a chi spesso e' pronto a partire e infatti il post sembra piacere più a chi e' all'estero da un po' che a chi si appresta ad esserlo.
Auguro buon viaggio anch'io, come esorta anche l'ultima frase del post, sperando che l'avventura fuori sia costruttiva e non distruttiva.

andima ha detto...

@Anonimo
son contento di ricevere qualche disapprovazione, che l'articolo faccia rabbrividire, non si può essere certo sempre d'accordo su tutto, soprattutto su tematiche come questa.
Sulla chiusura di mente di chi si firma anonimo e commenta in quel modo, potremmo parlarne in dettaglio; sul mammone non so, visto che il post cerca di dare alcuni spunti e seguendo i link, sai non fermandosi al dito, c'e' una luna bella grossa, basta impegnarsi che si vede, dicevo non fermandosi al dito, seguendo i link credo che non si incoraggi nessuna cultura del mammone, pero' magari anche su questo ne possiamo parlare in dettaglio, se solo smettessi di fissarmi il dito.

Anonimo ha detto...

statevi a casaaaa

Fede ha detto...

@Anonimo del 28 febbraio

ma allora non hai capito...ma che cultura del mammone, scritto poi da una che non vive in Italia.
@Andima non te la prendere, l'ironia e la provocazione non la capiscono tutti, ahime'! :)

Unknown ha detto...

Mi spiace ma questo post riassume un po' tutti i limiti della cultura di paese comune a molti italiani e l'incapacita' di adattarsi facilmente.
Aprirsi a realta' diverse vuol dire anche accettarle per quello che sono e capirsi per come si e', io il mio passo lungo l'ho fatto 11 anni fa, nessuno dice che e' facile ma chi ha viaggiato ed ha esperienza di paesi e modi di vivere diversi si adatta con maggior facilita', noi viviamo dei limiti che ci siamo autoimposti...

andima ha detto...

@Fede
grazie del supporto:)

@Unknown
Non sono d'accordo e non perché autore del posto eh:) ma perché non vedo limiti, vedo sentimenti e circostanze reali del vivere all'estero che non sono comuni solo a noi italiani ma a tutti, certo, lo posso dire solo empiricamente, ma un'esperienza abbastanza lunga e variata. Se prendiamo questi sentimenti come motivi per non imigrare, allora possono diventare limiti, certo, se davvero sono per noi limiti. Se li prendiamo come spunti di riflessione, non sono limiti, sono un aiuto, a pensarci bene prima di andar via.
Ma prendiamoli come limiti. Supposto che non tutte le storie dei ragazzi fuori sono di rose e fiori, conosco molte persone fuori che se solo avessero pensato a questi dieci punti (o a 3, 2 tra loro), magari non sarebbero partiti e si sarebbero risparmiati un'esperienza disastrosa, perché non tutti sono fatti per partire, non siamo tutti uguali, ma molti si auto-convincono dallo slogan "andate via perché in Italia fa tutto schifo e fuori c'è la terra promessa" poi magari vanno fuori e vuoi perché son un po' timidi, vuoi perché non hanno fortuna, vuoi perché trovano lavoro ma non proprio quello che volevano (però magari la paga è buona o, peggio, neanche quella), ecco, rimangono come incastrati, fuori, e credimi, non se la passano bene, nonostante poi al rientro in Italia si gonfiano il petto nel dire che fuori si sta bene o quasi hanno un orgasmo a dire "io son andato via", "io vivo a New York, sai", etc.
Tu dici che son limiti, tu li conosci tutti gli italiani all'estero? Diresti a tutti, indistintamente, di andar via e basta? Ti prenderesti questa responsabilità? Io no, mai, sebbene sia all'estero da 5 anni, felicissimo, con un'ottima carriera professionale, 3 lingue in più imparate fuori, una ragazza che è un angelo conosciuta fuori e tanto altro, ma questo sono io, gli altri non li conosco, non so come possano reagire e mettermi a urlare a tutti "andate, andate cazzo" mi sembrerebbe abbastanza azzardano. Preferisco fare una lista di 10 punti, chiamali banali, chiamali limite, chiamali risate, ma meglio averli condivisi. IMHO, eh.

Ilariadot ha detto...

Specificando che ho interpretato questi tuoi 10 punti come un semplice modo di mettere in guardia anche sui lati negativi dell'andare all'estero per evitare che si idealizzi la faccenda o si parta senza essere pronti ad affrontarli ( e non, quindi, come un modo di scoraggiare a farlo o incoraggiare la chiusura mentale come ho letto nei commenti), da esterofila convinta e praticante ho deciso di risponderti con un altro post:

http://litalospagnola.blogspot.com/2012/03/i-10-motivi-per-andare-allestero.html

In sintesi, é incredibile come 10 motivi che dovrebbero essere scoraggianti, semplicemente rigirandoli un attimo, possano diventare un vero e proprio sprone a farlo.

Sperando tu apprezzi il mio contributo (che, lo ripeto, non vuol essere polemico) ti faccio i complimenti per il blog! :)

Anonimo ha detto...

Io sono inglese, e sinceramente l'esperienza di vivere all'estero (a Venezia) era difficile ogni giorno, pero' senza dubbio meglio trovare un po' di difficolta' ma venire a conoscere meglio un altro paese che stare sempre a casa sua e non crescere come persona. Detto questo, non sono mai stata cosi contenta come ogni volta che mi trovavo di ritorno a Stansted Airport,salva e sana, e piu' innamorata che mai dell'Inghilterra!

mome85 ha detto...

fate conoscere questo sito
http://espatriatipercaso.com/

viko ha detto...

Ahahahah
10 motivi 10 baggianate

andima ha detto...

@viko
anche lo spessore del tuo commento non scherza in quanto a baggianate

Alessandro ha detto...

Bisogna volerlo fortemente.
Se hai detestato l'Italia fin da giovanissimo, straniero in patria, come nel mio caso, lo vorrai fortemente .
Una volta che fai il gran passo devi avere un atteggiamento positivo e pro-attivo. Non vivere con altri italiani dicendo ogni giorno quanto ti manca l'Italia e ciò che hai lasciato. Frequenta gli abitanti del posto e cerca di capirli, magari ti accorgerai che hanno tante belle qualità e che hanno una ricca cultura.
Inutile dirlo, fai il massimo per imparare la lingua e capire la cultura, ricordati che le 2 cose sono inseparabili
Ci saranno nazioni più adatte a te ed altre meno. Io ad esempio mi sono trovato molto bene nel Baden Württemberg, Germania, o in molte regioni della Gran Bretagna. Molto meno in Belgio o in Danimarca, 2 nazioni xenofobe. L'Olanda una via di mezzo, dipende dalla regione.

andima ha detto...

@Alessandro
potresti approfondire l'argomento sul Belgio xenofobo?, senza polemiche, è solo curiosità, la mia.

Alessandro ha detto...

Beh, forse più che il Belgio avrei dovuto dire Anversa (Antwerpen).
Sono stato trattato molto male.
Basti dire che mi è stato detto dal mio datore di lavoro che io, in quanto straniero, avrei dovuto lavorare il doppio di un belga.
Per mia disgrazia mi sono ammalato, son mancato un paio di giorni e sono stato licenziato. Notare che parlavo olandese alla perfezione.

andima ha detto...

@Alessandro
mi dispiace davvero per la tua esperienza, attento però (e lo so, non è facile) a trarre conclusioni generiche da un singolo episodio ed etichettare con un aggettivo un intero paese o un'intera città.
E complimenti per parlare alla perfezione l'olandese! lo sto studiando da 4 mesi e niente, non entra, mi risulta davvero difficile, spero sia soltanto l'inizio!

Trasferirsi all'estero ha detto...

A mio avviso trasferirsi all'estero è una scelta molto difficile da affrontare ed attuare, perchè tipicamente si crede che l'estero sia migliore ma spesso non si fanno i conti con gli aspetti pratici della questione, come i sistemi sanitari non sempre di livello adeguato e i salari che non permettono lo stesso tenore di vita a cui siamo abituati in italia. E' vero che con la crisi non abbiamo grandi speranze per un futuro migliore, ma tra quelli che hanno deciso di trasferirsi all'estero sono più quelli che hanno fallito che quelli che ce l'hanno fatta.

andima ha detto...

@Trasferirsi all'estero
non sono d'accordo sui salari e sul tenore di vita ne' sulla statistica (personale? dati? fonti?) sui falliti e i ritorno. Scusa, ma mi sembra il commento di chi o non e' mai andato all'estero o ci e' andato ma gli e' andata male e allora generalizza e applica la propria visione a tutto e tutti. E non funziona cosi'.

Anonimo ha detto...

ma a voi capitano shock culturali ripetuti nel tempo? abito in Irlanda da 6 anni, parlo la lingua, lavoro solo con irladesi eppure non riesco a farmeli amici(nel senso italiano della parola; qualcuno con cui puoi parlare di tutto e di cui fidarsi). secondo me c'e' una barriera invisibile che non viene mai abbassata o sono io che sono socialmente deficiente? sara' che non bevo? bah, just some wondering thoughts on a rainy afternoon..

andima ha detto...

@Anonimo
La barriera invisibile c'è, così come ce l'abbiamo anche noi verso gli altri (pensa a quanti italiani hanno amici stranieri, per esempio, a Roma o a Milano, non ho dati, ma non credo siano molti), e infatti non è vero che non viene mai abbassata, ma dipende molto dalla predisposizione a creare una nuova amicizia, dall'età o dalle differenze d'età, dalle personalità e dalle cose in comune. Ma sono certo che l'elenco potrebbe continuare ancora. Se parli la loro lingua, e dopo sei anni dovresti parlarla davvero bene, immagino, è già un ostacolo in meno, un grosso ostacolo direi. Ce ne sono altri, giustamente, che non ti rendono socialmente deficiente, ci mancherebbe, ma che puoi individuare e lavorarci su, per esempio. Hobby in comune? Zone della città che frequentano entrambi? Sono solo esempi.
Poi ci sono le casualità (amica di un amico, ragazzo di un'amica, etc.), i contesti (al lavoro, un corso di lingue, un amico in comune, una festa, etc.), che possono accelerare alcuni meccanismi.
Esempio personale, per casualità quando vivevo a Dublino una ragazza irlandese entrò nel nostro gruppo, diceva che si divertiva con noi, ammetteva anche che spesso sentiva il bisogno di parlare a modo suo (e cioé non a rallentatore per farsi capire da noi e sicuramente usando uno slang più naturale che noi non avremmo capito), ma continuava a uscire con noi. Alla fine poi il legame si rafforza e no, non la chiamerei super amicizia, eppure inviti a matrimoni, email, messaggi, visite qui a Bruxelles, pranzi insieme ogni volta che torniamo a Dublino (periodicamente, ogni anno). Se devo elencare qualche fattore, lì ci fu molto di età comune, predisposizione a star con stranieri, casualità.
Altro esempio, son oramai 4 anni che vivo altrove, eppure lo scambio di email e messaggi con un irlandese, un ex collega, è in media maggiore che con amici (che considero amici amici) italiani, ed è aumentato enormemente da quando lui si è trasferito in Canada. Lì penso possa influire tanto l'età (coetanei) e l'empatia, il vivere quello che vivevo io a Dublino, come anche lui ha ammesso, e capire diversi fattori (shock culturali, difficoltà d'adattamento, etc.) che io vivevo all'epoca e lui vive da qualche anno (o almeno ha vissuto all'inizio). Non la definirei super amicizia, nemmeno questa, ma qualcosa di sicuramente più forte di una semplice conoscenza che, se vivessimo di nuovo a Dublino, domani, per magia, potrebbe diventare tranquillamente una bella amicizia, così come per l'amica di cui sopra.
Non è facile avere tanti amici del posto, sicuramente. Dopo 4 anni in Belgio, ne posso elencare 3-4 di belgi con cui esco regolarmente e con cui ci divertiamo un sacco, ma la maggioranza rimangono altri expats (spagnoli e italiani, qualche francese e turco).

Dobbiamo fare uno sforzo in più per avere amicizie del posto? Forse sì, ma se ti sforzi troppo, quanto naturale e spontanea è poi quell'amicizia? Eh, questo è un altro bel punto. Per questo non biasimo chi ha troppe amicizie tra connazionali o chi non ha nessuna amicizia del posto. L'importante è averne la consapevolezza, di tutti questi meccanismi e fattori e no, secondo me non la chiamerei deficienza sociale ma ennesimo compromesso del vivere altrove.

p.s. casualità, rientrato stamattina da Dublino. Mi mancava un po', se fosse stata una donna, l'avrei abbracciata forte, con amore, per tutto quello che mi ha dato. Lei, di risposta, mi avrebbe prima dato uno bello schiaffone, per tutto quello che le ho detto in passato durante uno bello shock culturale, poi però secondo me avrebbe ricambiato l'abbraccio.