Ma tutti uguali no

Questo multiculturalismo ha fallito, ti ripete il ragazzo irlandese, irritato, perché proprio qualche minuto prima una spallata per strada di un magrebino lo aveva costretto ad incroci di sguardi infastiditi e qualche pensiero poco immacolato e te lo dice lui, che ha il naso un po' storto, risultato di una rissa qualche anno fa con dei knackers a Dublino, che loro, i knackers, sono un fenomeno sociale della classe bassa dell'isola, ma sono irlandesi come lui e non sono irlandesi come il suo collega egiziano, con cui lui si trova benissimo, perché l'egiziano - dice - si è integrato, o forse perché viene da un altra classe sociale e allora non importa la provenienza, quel nord Africa comune al magrebino della spallata.

Il multiculturalismo ha fallito, lo han detto anche Cameron, la Merkel e Leterme, insomma lo han detto in tanti, perché ponendo la cultura al di sopra dell'individuo e l'importanza di conservare la diversità al di sopra dell'integrazione si è giunti ad alcuni punti critici di convivenza e comprensione ed è tutta colpa sua, della diversità, che fa benissimo, direbbe il biologo, visto che alcuni virus, per esempio, rimangono confusi di fronte a mix inattesi, ché nell'evoluzione la selezione naturale ha favorito proprio le miscele migliori ed il punto è quello: se c'è il mix. Ma chi s'impunta sul fallimento non pensa al mix, la realtà è ben più chiara: li vorrebbe tutti più uguali. Il collega egiziano magari in giacca e cravatta e dall'inglese certificato è più uguale al ragazzo irlandese e allora trasmette maggior armonia dell'altro, quello meno uguale, il magrebino della strada che magari veste la sua tunica bianca o la signora africana che mostra colori inconsueti. Se fossero meno diversi, se fossero più uguali o se lo diventassero in breve tempo, saremmo sicuramente più felici (o almeno lo sarebbe il ragazzo irlandese e la Merkel) e difficilmente parleremmo di fallimento anche perché a quel punto non ci sarebbe da parlare neanche di multiculturalismo. Facile. Facile, ma anche un po' macabro, diventare tutti meno diversi, anche se ha ragione Fontana quando afferma che la diversità è un mezzo e non il fine, ché nella diversità c'è anche quello che non piace (i pedofili son la parte brutta della diversità, per esempio) e allora non è un fine ma un mezzo per migliorare, solo che in mezzo ci siamo noi, ognuno con la propria cultura da difendere (o da mettere in discussione).

Il punto è che la realtà va in quella direzione da sola e non solo perché lo dice il biologo o la selezione naturale, ma anche perché la realtà è già così, mista e complementare, e lei, la realtà, va avanti anche se non siam d'accordo. Certo, per chi è cresciuto in una famiglia mono-culturale, a scuola in una classe mono-culturale, e gli amici, la televisione e l'intorno mono-culturale, poi è difficile l'approccio col diverso, soprattutto quando quel diverso è anche meno agiato, è ancora più diverso, non solo per cultura ma anche tanto altro, dove la povertà fa da cassa di risonanza e ci fa gridare al fallimento, a noi generazioni di mezzo che vivono l'esplosione di un multiculturalismo che non sarà più un trauma ma la normalità per quelle prossime, le generazioni delle scuole multiculturali, l'università, gli amici e le relazioni sociali. Magari non sarà la perfezione (e lo sa bene mia madre), ma se basta una spallata a farci cadere nel fallimento, beh allora sarà anche peggio.

2 commenti:

rafeli ha detto...

dei colori e degli odori e delle forme diverse mi importa poco.

degli spintoni, e in generale della supponenza, di certe "attitude", di un modo di approcciarsi invece Sì.

ora: se la differenza è dovuta alla genetica o alla frustrazione repressa saranno i capoccioni scienziatoni a scoprirlo, tra tanti decenni, una volta liberati dall'oscurantismo del politically correct.

andima ha detto...

@rafeli
Aspetta, come volevo dire nel post, gli spintoni e la supponenza non vengono soltanto da una cultura diversa, ma vengono principalmente da una classe meno agiata (per esempio i cazzotti sul naso possono venire anche dai tuoi connazionali, come nel caso del ragazzo irlandese). Poi, quando di base c'è la classe meno agiata, ovviamente ci sono diversi fattori da sommare, come le difficoltà economiche, un ambiente familiare poco sereno, la mancanza d'istruzione adeguata, etc., se a questo sommiamo una cultura diversa in un paese straniero, è ovvio che il risultato non potrà sempre far nascere fiori.

Il punto allora qual è? E' che la povertà fa davvero da cassa di risonanza e ci fa gridare alla mancata integrazione. Noi li vorremmo tutti uguali o li vorremmo tutti di classe agiata: facile! Facile e impossibile, o almeno sarebbe bella la seconda opzione, ma abbastanza irreale, purtroppo. Perché per esempio, il collega egiziano è sì di una cultura diversa, ma è anche istruito, ha il portafogli pieno e lo si è conosciuto in un contesto diverso che già ha influito sui nostri (pre)giudizi ed approcci. Là c'è quasi sempre integrazione o almeno non c'è il rigetto iniziale, ma lì è veramente facile!

Se al momento dello spintone o della supponenza ci fermiamo soltanto sulla diversa cultura allora perdiamo parecchi dettagli importanti, andiamo al facile, parliamo di fallimenti.