Del mangiare ed altre evoluzioni

Era la seconda volta che le mostrava quella scena, fissando lo schermo con morbosa attenzione, mentre i pixel disegnavano forme e immagini che si mescolavano a memorie e pensieri masticati, mal digeriti. Non gli piaceva, quella consapevolezza che il cervello stesse già interpretando a suo modo segnali visivi e conoscenze, non gli piaceva che ciò che avrebbe pensato di vedere non era la realtà in quanto tale ma soltanto la trasformazione celebrale di una realtà non più autentica, già personale. Pensava, come posso spiegarle quello che penso di questa scena se la vediamo già in modo diverso, ognuno attraverso i propri filtri neurali? E intanto la scena continuava, quell'uomo oramai sconosciuto ma un tempo famoso - dicevano, diceva suo nonno, famosissimo, diceva - prendeva di nuovo del cibo con le mani, lo alzava al cielo, rideva, se lo infilava nelle tasche. Disse: lo vedi? Forse anche noi faremmo così oggi, a distanza di così tanto tempo, da quando non mangiamo più cibo come ce lo mostrano ancora dipinti, libri, etichette colorate, da quando tutto è in pillole e per noi è già abitudine, normalità. Ma è così - gli rispose lei, con sguardo crucciato - per preservare la sostenibilità della specie sul pianeta, lo sai, ne abbiamo già parlato, è così perché in passato son stati incoscienti, han superato limiti e rotto equilibri, è così perché.. Lo so, lo so - la interruppe lui, con voce seccata - non voglio ripetere di nuovo questa storia, la conosco, la storia, e conosco il presente, fatto non più di piatti, posate, tavole bandite, ma pillole e sostenibilità, lo so, te le vendono anche bio, quelle pillole, come se contasse poi qualcosa, e intanto in posti a noi preclusi c'è ancora chi mangia cibo vero, son in pochi, perché costa troppo oramai, impossibile pagare quei prezzi, lo so, meglio qualche pillola, che poi è lo stesso, dicono, anzi è meglio, per il pianeta. Poi però - si alzò, avvicinandosi alla grande vetrata da cui si intravedeva poco il cielo coperto da grattacieli e traffico - quelli che continuano a parlarci di sostenibilità, di sopravvivenza della specie, di benessere del pianeta, credi davvero che continuino ad inghiottire pillole come noi?

Lei lo seguì con lo sguardo, la testa un po' abbassata, quasi a sentirsi colpevole per azioni non sue o come se il peso di quelle parole e delle colpe di società passate fosse presente sulle sue spalle, fragili, ancora più fragili nell'inarcarsi come reazione a quella discussione. Ma almeno - provò a rompere il silenzio, a richiamare la sua attenzione - ma almeno noi mangiamo le pillole, pensa a chi col teletrasporto si fa teletrasportare già sazio? Almeno noi abbiamo ancora un qualche contatto tra cibo e dita, tra bocca e nutrimento.. Contatto? - tuonò lui - Cibo? Ma poi, lascia stare il teletrasporto, lo so, se devono distruggerti in un luogo e ricrearti in un altro, tanto vale scegliere di farti ricreare già con lo stomaco sazio, come se nello stream di informazioni inviate, nel viaggio di terabyte trasmessi tra partenza ed arrivo, si inghiottisse una pillola digitale, guadagnando tempo, dicono.. Ma quale tempo? Il tempo d'inghiottire una pillola! Lascia stare, quell'opzione all'ingresso del teletrasporto è davvero aberrante..
Intanto il fermo immagine mostrava ancora quell'uomo con del cibo nelle tasche, ridere. Lo vedi - disse - lo vedi quel film? Te l'ho fatto rivedere perché paradossalmente lo faremmo anche noi, oggi, mangiare del cibo vero quasi fosse la cosa più preziosa del mondo, conservarne pezzi nelle tasche, celebrarlo dedicandogli una danza.. Sai come si chiamava quel cibo? Spaghetti, nome buffo lo so, ho dovuto cercare e confrontare immagini, non me lo ricordavo più. Sai come si chiamava quel film? Miseria e nobiltà. Non ti dice nulla? A me fa pensare, fa pensare che in fondo la nobiltà della nostra specie, di quest'intelletto superiore che vantiamo, si complementa ad una miseria intrinseca, quella del distruggere per sopravvivere.

Rimase qualche secondo a fissarla, mentre lei fissava quel fermo immagine, quasi potesse riprendere a muoversi da un momento all'altro e trasmettere quella scena per l'ennesima volta. Sul tavolo, a pochi metri da loro, la cena: un pacchetto di pillole bio, le migliori sul mercato, recitava la confezione. Le hai comprate addirittura bio, per stasera? - Chiese lui, con tono provocatorio. Sì - rispose lei, con voce affannata - volevo il meglio per il nostro anniversario, volevo che ci nutrissimo bene per celebrare il nostro amore, perché in fondo è bio anche quello, è naturale, è nostro.
Ma bio... - balbettò in risposta - ma bio non vuol dire senza scadenza.

Di Kindleiani ed altre evoluzioni

E il libro di cui mi parlavi, quanto ne hai letto finora? - chiese lei, incuriosita. Metà più o meno, penso - rispose con l'espressione un po' svogliata, come se non avesse importanza, come se non sapesse di preciso. Non sapeva, infatti, e subito richiamò gli sguardi attenti degli altri. Come a metà? A 43%, a 52%, vuoi dire? Non lo sai? - chiesero accavallandosi in voci e domande, chi con riso leggero, chi con naturale sconcerto. Ma lui davvero non conosceva la percentuale, stava leggendo un libro di carta, di quelli ancora veri, e si ricordava soltanto di aver lasciato il segnalibro a metà del libro, o giù di lì. Non rispose, come se non avesse capito le domande, come se non avesse percepito l'umore. Non mi dire, - continuò un altro - non mi dire che leggi ancora libri di.. di carta? E qualcuno gli fissò le mani, le dita, i polpastrelli, come se potessero in qualche modo portare con sè tracce di carta, tracce di parole toccate, salvate da qualche parte nel cloud della sua testa, condivise soltanto tra le reti sociali delle sue conversazioni private. Non c'era nulla, ovviamente, tra quelle mani voraci di pagine, o almeno nulla di diverso dalle altre, anche loro voraci ma abituate a superfici elettroniche, interazioni digitali di letture personali arricchite da commenti globali.
Oh, non ricominciamo con questa storia! - ribatté, contraendo la mano, quasi a nascondere le dita e qualche presunta colpa, - ce l'ho da tempo pur'io l'ereader e ne riconosco i tanti vantaggi, ma se ogni tanto ripesco un libro di carta non devo mica calcolarmi la percentuale di lettura con la calcolatrice! E smettetela di ridere, prima che ve lo sbatta in faccia, quel libro! Ma così non fece altro che generare altre risate generali, (persino lei rise, la intravide benissimo), come se un libro si potesse davvero lanciare contro qualcuno senza la paura di romperlo, mentre gli altri ripetevano le sue parole a canzonetta, come se esistesse ancora quell'altra cosa antiquata, quella che avrebbe usato per arrivare alla percentuale, addirittura a mano, con le stesse dita con cui aveva sfogliato e risfogliato, quell'oggetto che pure aveva uno schermo, anzi da anni prima dell'arrivo di cento rivoluzioni, ma che diventava sempre più raro, assorbito come funzione vocale o trasformato in letture a comandi celebrali. Qualcuno se ne ricordava pure il nome, tra le risate s'udì qualcosa, calcolatrice, dissero tra loro. Calcolatrice, pare si chiamasse pressappoco così.

Espulsi in Europa pur essendo europei, FAQ

Il caso di Silvia Guerra, italiana a Bruxelles espulsa da un paese comunitario, ha fatto un po' il buzz in rete perché - dicono - un cittadino un europeo non può essere espulso da un altro paese europeo, ma è vero?
Dicono, pensano e scrivono, (pseudo)giornalisti e commentatori d'impulso, ma pochi si documentano, questo è il male di gran parte del giornalismo da titoloni e anche di una parte della rete (questo blog compreso). No, non è vero che un cittadino europeo non può essere espulso da un paese comunitario. Sì, può essere espulso eccome, è tutto nero su bianco [link a pdf]. Succede, per esempio, anche a cittadini francesi in Belgio.

Ma come è possibile, che Europa è questa?
L'Europa reale, spesso diversa da quella idealizzata o da quella supposta, è quell'Europa che ancora consideriamo sotto "politica estera" ma che ci sorprende quando non si comporta come credevamo, quando non è abbastanza comunitaria, unita, e allo stesso tempo rinegghiamo quando s'intromette troppo negli affari nazionali. Vogliamo che sia l'Europa di tutti, ma non la nostra. Oppure, vogliamo che sia la nostra, ma non sempre. Per il momento è un'Europa in costruzione.

Quindi quali sono le regole da rispettare per un cittadino europeo in uno stato membro?
Non sono molte. Bisogna dichiarare la propria presenza dopo i primi 3 mesi per studio, lavoro o turismo, o dopo 6 mesi se in cerca di lavoro (da dimostrare, in qualche modo). Altrimenti? Si rischiano sanzioni, ma non l'espulsione. Questa è la mobilità nell'area Schengen: non ci sono controlli tra frontiere interne (non sei obbligato a mostrare la tua identità, ma devi sempre aver con te i documenti necessari, nel caso sia richiesto).

E dopo i tre o i sei mesi?
Dopo quel periodo possono prolungare la propria residenza tutti i lavoratori, dipendenti o indipendenti (o non lavoratori ma vittime di incidenti, registrati come alla ricerca di lavoro, studenti che abbiano risorse sufficienti al proprio sostentamento, perché sì, potrebbero altrimenti diventare un peso per il welfare del paese membro). Per disoccupati (o pensionati) bisogna inoltre dimostrare di potersi auto-sostenere ed essere coperti da un'assicurazione medica. E qui sorge il problema.

Quale problema?
Che se queste condizioni non sono rispettate o se si giudica che non siano ragionevoli (o addirittura in caso di ordine pubblico, pubblica sicurezza, motivi sanitari), il paese membro ha diritto ad esaminare il caso e procedere, qualora lo ritenesse opportuno, all'espulsione. Vale per tutti i paesi europei, quindi sì, un paese membro può espellere un cittadino europeo. Però attenzione: c'è un però..

Però?
L'espulsione non è un bando! Si può ritornare nel paese membro in qualsiasi momento, è un nostro diritto, ovviamente rispettando le condizioni di prima. Inoltre, dopo 5 anni di continua residenza legale, si può acquisire il diritto di residenza permanente e quindi non più soggetti alle condizioni di cui sopra (attenzione: si può però perdere questo diritto per un'assenza più lunga di 2 anni).

Questo cambia un po' il caso di Silvia Guerra quindi?
Lo cambia e non lo cambia. Lo cambia, perché sappiamo qualcosa in più, o meglio che l'Europa è diversa da quella immaginaria. Non lo cambia, perché di tutti gli articoli in rete si ripetevano 3-4 frasi sotto titoloni allarmanti e considerazioni imbarazzanti, nessuno forniva in realtà dettagli che potessero aiutare a capire di più (o giustificare certe affermazioni, in caso i dettagli non si potessero divulgare per motivi di privacy o legali). Di certo, questa storia non aumenta la nostra fiducia nella qualità di un certo tipo d'informazione. E buona Europa a tutti.