La sveglia mattutina in Gare du Midi

Il cielo grigio di questa mattina non donava affatto a Bruxelles la veste estiva che il calendario vorrebbe ed una sottile pioggia accompagnava i passi veloci ed in ritardo di tanti che, come me, si affrettavano a raggiungere l'ufficio, perché un po' la metro sarà arrivata in ritardo, un po' c'è sempre qualcuno che ostruisce il passaggio sulle scale mobili alla sinistra, un po' la sveglia suona e risuona ma gli occhi non vogliono proprio ascoltare. Mentre passavo per la piazzola al lato di Gare du Midi, una signora con la casacca della polizia locale si avvicina ad un senzatetto che dormiva ai piedi di una panchina, avvolto da lenzuola di cartone, malamente ammorbidite dalla giornata uggiosa e dalla notte sicuramente meno calda.
Un "Monsier!" forte ma rauco rompe il silenzio ed irrompe nella scena, all'improvviso, facendo voltare qualche passante e attirando l'attenzione di chi, come me, in quel momento si trovava nei paraggi. Nessuna risposta. La donna lo fissa e per un attimo ho pensato anche al peggio, perché non poteva essere semplicemente una sveglia mattutina, un censimento giornaliero di senzatetto o magari un avviso al non poter sostare in quel luogo; poteva invece essere una domanda molto più profonda, in quel Monsier poteva racchiudersi quella percezione della morte altre volte già avvertita proprio in quei luoghi, del rassicurarsi se quel senzatetto fosse deceduto durante la notte umida e fredda, lì nella piazzola di Gare du Midi, nell'indifferenza del mondo che meccanico ed inarrestabile avrebbe continuato nei suoi laboriosi giri.
Un secondo Monsier! tuona più debole e tremante, perché l'insinuazione del dubbio già abbassa toni nel timore di scoprire la verità e allora mi son fermato, repentino, a fissare la donna che fissava l'uomo a terra. Niente. Probabilmente anche la pioggia si sarà fermata per un attimo, questa mattina, lì nella piazzola di Gare du Midi, o avrà soltanto toccato i sampietrini in modo meno rumoroso, almeno nel mio immaginario e in quei pochi attimi di tremore. Ad un tratto fortunatamente il cartone si muove bruscamente e prima un braccio, poi una testa, ecco che quell'uomo per molti invisibile, quella figura per tanti inesistente, ecco che lascia quel letto quadro di miseria per rimanere poi immobile nel fissare la donna che ancora era lì, nella stessa posizione.
Non so se gli avrà detto qualcosa, dalla distanza non ho potuto capire molto, ma sarà stato un attimo, prima di abbandonare la scena e continuare il suo cammino dall'andamento militare. Intanto l'uomo è rimasto sveglio, lì, a fissare qualcosa che già non c'era più, qualcuno che lo aveva svegliato, magari interrotto un sogno, di quelli caldi, che ti avvolgono anche se intorno hai cartone e aria, e ti trasportano lontano, dove la realtà importa poco e vorresti non svegliarti, se non altro per il torpore ed il sorriso, quando il mondo, quello vero, è un'alternativa senza dubbi meno colorata.

La tua ragazza sicuramente non lo sa

"Immagina di essere con la tua compagna, appena dopo aver detto qualcosa di terribile, ti sei comportato come un imbecille. Litigate ma d'un tratto ti rendi conto di esserti comportato come un imbecille e chiedi scusa. Lei al principio è furiosa con te, ma dopo poco accetta le tue scuse. Tu inizi a pensare che la tormenta sia già passata e che tutto sia a posto. E cosa succede? D'improvviso lei si ricorda di qualcosa di terribile che hai fatto 27 anni fa! Non lo aveva pensato prima, ma d'improvviso lo ricorda e vuole tornare a discuterne, non può credere che avevi fatto quello".

Da una intervista di Eduard Punset, uno dei padri della costituzione spagnola che oggi si occupa della divulgazione di scoperte scientifiche, a Robert Sapolsky, esperto americano di scienze neurologiche, mentre si parlava del sistema limbico, parte del cervello umano responsabile di interconnessioni decisionali ed emotive, e di come alcune memorie sono legate tra loro attraverso delle emozioni comuni.

Ecco, la prossima volta che litigando con la vostra ragazza d'improvviso vengono fuori fatti di 2 anni prima che si pensava fossero dimenticati, risolti, sepolti, per qualcosa che avevate fatto, detto (o soltanto pensato), ecco provate a spiegarlo alla vostra ragazza che voi non c'entrate niente, che siete innocenti, che è tutta colpa del sistema limbico e delle interconnessioni neurologiche che hanno rispolverato quella memoria, lei sicuramente non lo saprà e potrebbe essere un modo per salvarvi. Ecco, provateci, poi però fatemi sapere com'è andata.

Benvenuti in Belgio

La settimana scorsa la regione delle Fiandre (nord del Belgio) ha pubblicato una mappa turistica per incentivare il settore mostrando le sue città gioiello (Ghent, Bruges, Anversa) e le tante attività possibili sulla costa belga. Nella mappa compare chiaramente Bruxelles come parte delle Fiandre e ai confini le nazioni limitrofe: Olanda, Francia, Germania e... Belgio! La Vallonia è dimenticata e rimpiazzata con il nome del paese, alla stregua di una terra straniera. Bruxelles appartiene sì geograficamente (e storicamente) alla Fiandre ma dal punto di vista amministrativo è una regione a parte (Regione di Bruxelles) e punto di contrasto politico tra le due grandi comunità viventi in Belgio.

La risposta? Velocissima. Due giorni dopo la Vallonia (sud del Belgio) ha risposto pubblicando la propria mappa turistica ed includendo Bruxelles nel territorio vallone. Ecco fatto: la stessa città (e che città, la capitale) appartiene di colpo virtualmente a due regioni differenti e non si tratta di nessuna magia o di qualche caso impossibile d'ubiquità cittadina né l'ennesima prova del paese del surrealismo, come affermava spesso la mia prof di francese magari con in testa qualche quadro di Magritte; è il Belgio ed in due mappe la semplificazione di una situazione politica non facile. Certo, ai turisti probabilmente si potrebbe evitare questa confusione, ma forse tra un cono di frites ed una pralina la maggior parte non ci farà nemmeno caso magari scattando una foto al Manneken Pis ignari d'essere nello stesso istante in tre regioni differenti.

Enjoy the sun, now!

Dopo un luglio con picchi di 37 gradi, agosto in Belgio non è per nulla estivo,
così dopo giorni di pioggia continua al primo sole esser pigri sarà fatale:
bisogna subito uscir e godersi il sole come forse non avreste mai fatto altrove.
Foto scattata qui.

In difesa della tortilla spagnola (e non solo)

Ieri durante una chiacchiera spicciola e rapida con un conoscente italiano incontrato per caso nella metro:
lui: Ah, quindi sei stato in vacanza a Madrid lo scorso fine settimana?
io: Sì, ma giusto qualche giorno, non la chiamerei davvero vacanza!
lui: Beh sicuramente avrai mangiato qualcosa di tipico, no?
io: Sì, sì, a me per esempio piace tantissimo la tortilla.
lui: Ah, sì la conosco, ma alla fine la tortilla non è nient'altro che una frittata di patate... no?
io: beh... no... e comunque va cucinata in un certo modo... poi abbiamo anche avuto tempo per una paella...
lui: Ah, buona! Ma... alla fine la paella non è nient'altro che un risotto ai frutti di mare, no?

[secondi di silenzio in cui centonovantadue pensieri mi assalgono e rimbalzano tra le pareti celebrali, qualcuno anche malvagio]

[qualche altro secondo di silenzio]

io: Vabbé ma alla fine se ci pensi... la pasta è solo farina e acqua e... la pizza? Acqua, farina e lievito!
lui: Come scusa?
io: Ah è la mia fermata, devo andare... buon appetito, cioè.. no, buona giornata.. insomma ciao!

Ecco, non so se questa volta si trattasse dei soliti pensieri preconfezionati sulla super cucina nostrana e l'inferiorità di quella degli altri paesi, ma il rispetto per le diverse culture passa anche dal palato e va bene de gustibus, ma questo non vuol dire sminuire o cercare di svalutare piatti tipici stranieri che sia un buonissimo cous-cous marocchino o una saporita carbonnade fiamminga o semplici patatine fritte che non sono affatto semplici patatine fritte, ma sono semplicemente frites.

I paesi migliori e l'equilibrio che non c'è

Adesso che è stata pubblicata l'ennesima classifica dei paesi migliori, un po' come quella sui paesi falliti, ognuno corre subito a cercare la posizione del proprio paese o del paese dove è emigrato, alla ricerca della soddisfazione o della delusione, dove l'orgoglio è dietro l'angolo così come un pizzico di nazionalismo o l'odio confermato verso il paese di residenza o verso quello d'origine, per testimoniare che dove vivo io è meglio o non è poi tanto male. Ma se prendiamo la classifica e invece di metterci a vedere e confrontare e lamentarci o gongolarci a seconda dei dati (classico comportamento di fronte a una classifica del genere), la capovolgiamo, quali sono gli ultimi paesi? Gli ultimi 8 per esempio, tutto Africa, il continente depredato, violentato, sfruttato per il benessere di pochi. L'ultimo è proprio il Burkina Faso, la terra di Thomas Sankara, assassinato dalle potenze occidentali perché troppo impegnato a migliorare un luogo che doveva rimanere debole e sfruttabile.
E anche se le prime posizione sono occupate dai paesi storicamente neutri come Finlandia, Svezia, Svizzera e così via, nelle interconnessioni e dipendenze del villaggio globale ogni partecipante è complice sorridente. E allora arriviamo a vantarci o esser felici per una posizione in più o una differenza sicuramente non abissale o addirittura ci scandalizziamo se la Spagna ci sorpassa nell'indice della buona cucina, quando stiamo soltanto affannandoci su paesi che alla fine son tutti benestanti, chi più chi meno, vivendo probabilmente nella prima metà, ma non ci accontentiamo o puntiamo sempre più in alto o vogliamo raggiungere l'equilibrio ottimale dei nostri compromessi: nulla da eccepire, per carità, che le cose non si cambiano con qualche parola risparmiata e la denuncia di un degrado è sicuramente un incentivo al miglioramento così come la conferma di un merito è giusto che sia pubblica e riconoscibile, ma almeno la coscienza delle cose, quella sì, se fosse comune, sarebbe già un gran bel cambiamento, perché se c'è benessere in cima è anche perché c'è povertà in basso in un equilibrio naturale che non c'è.

Questo post è stato ispirato da un commento al post di pedro.

Tardi, ma la battuta sull'Italia è arrivata

E alla fine non è neanche chissà quale battuta, voglio dire, si poteva fare sicuramente di meglio visto il tema e le allusioni e forse non è neanche la prima, ma non seguo molto la televisione belga, quindi mi limito a quello che leggo sul giornale di maggior diffusione francofona. Così il canale televisivo RTL-TVi parlando di Elio Di Rupo, pre-formatore del momento (una sorta di selezionatore del prossimo governo dopo le recenti elezioni) di origini italiane (e qui il binomio Italia-politica rende facili molte battute), dichiara "malgrado le sue origini italiane, Elio Di Rupo sarà più riflessivo di quello che si possa supporre". Una nullità, si poteva fare decisamente meglio, eppure la battuta non è passata per nulla inosservata, anzi si parla già di gaffe razzista, di commento scomodo, di scuse attese. Sarà che in Belgio non sono abituati a giocare con stereotipi o scherzare con nazionalità ed origini (attitudine da ammirare, anche se la satira ha le sue regole, quando si fa della satira ovviamente) o che come sempre ai giornali fa comodo riempire gli spazi anche con notizie che magari lasciano indifferenti, e allora c'è chi si schiera dalla parte del commento affermando che gli italiani oggi non pensano tanto, non ci sono molti intellettuali e filosofi moderni del Bel paese e allora ha senso la battuta, sperando che Di Rupo rifletta molto prima di prendere qualsiasi decisione (anche perché la questione politica belga attuale è abbastanza delicata) e c'è chi pensa si riferisse al carattere impulsivo degli italiani, al sangue caldo, che mal si accosterebbe a decisioni politiche, chi invece si scalda e urla al ridicolo, alle scuse pretese, richiamando paragoni con la comunità magrebina (quanto si arriva lontano, eh?) che degraderebbe la città mentre quella italiana lavorerebbe per far avanzare il paese e dunque esige rispetto o che in caso di politico di origini musulmane e di una tale battuta, le scuse sarebbero arrivate repentine. Insomma, di tutto! E a voi? Quel commento, quel richiamo alle origini italiane, che effetto vi fa?

Emigrare per dignità

Mentre ieri eravamo all'aeroporto Barajas in fila per il volo che ci avrebbe portato dal sole vacanziero di Madrid alla pioggia casalinga di Bruxelles, iniziamo a parlare con il ragazzo di fronte, spagnolo dell'Andalusia dall'espressione simpatica. Siccome annunciano un ritardo ancora da definire, che poi si tradurrà in un'ora e più d'attesa, si inizia a parlare del più e del meno e partendo dai classici commenti sul clima fino al tipico di dove sei-cosa fai-da quanto tempo l'argomento cade sulle amare realtà del lavoro in Spagna.
Jorge è diretto come noi a Charleroi, ma vive ad Anversa, nel Belgio del nord, delle Fiandre popolate di bici, dove il nederlandese è vitale e l'inglese si preferisce al francese. Ha gli occhi chiari ed il pelo biondo che quasi sembra davvero un belga del nord, se non fosse per quell'accento chiaramente andaluso.
Ah vivete a Bruxelles? Lavorate per la Commissione? - Ci chiede con l'aria di chi sa già la risposta, ma rimane un po' sorpreso quando gli confessiamo che nessuno di noi lavora per i famosi palazzoni di vetro, quasi come se Bruxelles fosse solo quello, almeno agli occhi degli stranieri.
Vivo ad Anversa da oramai 4 anni - ci racconta - dopo un Erasmus spettacolare a Ghent, bella ma troppo piccola per lunghi periodi. Quattro anni sono tanti e mi sento un po' in bilico adesso, tra l'andare via o il rimanere in Belgio per sempre. Ci ho provato a cercare lavoro in Spagna ma non ha senso. La disoccupazione in Andalusia al momento è quasi al 30%, io sono di una cittadina vicino Granada e a Granada la disoccupazione è del 25%! - Si ferma con gli occhi dilatati ed espressivi, mentre una nostra smorfia tra amarezza e coscienza delle cose gli risponde silenziosa - Significa che se incontri quattro persone per strada a Granada, probabilmente una di loro non ha un lavoro!

Jorge abbassa gli occhi, fissa per un attimo la valigia ai suoi piedi e poi continua. Ci ho provato - ci dice - ci ho provato a cercare lavoro in Spagna in questi anni, ma niente. Sono informatico, a Granada avevo trovato il lavoro perfetto per me ma... sai quanto mi hanno offerto alla fine? 800 euro al mese! Sì... potevo viaggiare da casa, vivere con i miei, tornare a vivere con i miei e rimanere in Spagna, con la mia lingua, i miei amici, le cose che mi piacciono, ma 800 euro al mese... sembra quasi uno scherzo! - A quel punto Jorge sorride, ma non c'è divertimento nelle sue parole - Poi mi chiamarono per un lavoro a Barcellona - continua - richiedevano 4 lingue, che requisiti sono questi per un informatico? Quattro lingue? Va bene, io parlo spagnolo, inglese, nederlandese e francese. Perfetto! I colloqui andarono una meraviglia, pensavo di avercela fatta e alla fine? L'offerta era di 900 euro al mese! N-o-v-e-c-e-n-t-o. Sono un ingegnere informatico cxxx, parlo 4 lingue e all'estero mi apprezzano per questo! Il sole, la festa, il mangiare, la famiglia e gli amici valgono tanto ma la mia dignità? Non mi abbasso a questi compromessi, preferisco rimanere ad Anversa e tornare qui spesso ma con la testa alta!
Poi Jorge si ferma, è chiaramente un po' agitato, magari anche un po' nervoso per il ritardo del volo o soltanto perché certe realtà non si digeriscono facilmente con il tempo e sono come una continua amarezza in gola, che accompagna l'emigrato come un senso misto di delusione e rinuncia obbligata.

Ci chiede scusa per lo sfogo e ritrova subito il sorriso quando gli offriamo una rosquilla che portavamo da casa. Chiude per un attimo gli occhi, di gusto, probabilmente quando il sapore dolcissimo di quella ciambellina spagnola gli si scioglie in bocca. Poi ecco finalmente lo schermo che si aggiorna e da delayed il messaggio in basso cambia in boarding, con annesso sollievo della lunga fila in attesa. Jorge afferra la sua valigia e ci augura buon viaggio. Da Madrid a Charleroi per arrivare poi ad Anversa lo attenderà davvero un lungo viaggio, ma lui è felice di tornare in Belgio, sulla sua bilancia dei compromessi quel volo gli vale probabilmente il sorriso e quella destinazione per il momento è quella giusta.

Here comes the sun

Appena tornato da 4 giorni a Madrid il freddo e la pioggia incessante di Bruxelles non son
 certo un gran benvenuto, ma agosto qui è così e bisogna conviverci, anzi quando in settimana
verrà il sole, sarà sicuramente più bello, perché atteso e desiderato. Che poi in questo
momento siamo a casa con il riscaldamento accesso, beh, è solo questione di dettagli...
Foto scattata qui.

Has to be love, but please don't share!

Dev'essere davvero amore ma così non vale: una coppia ci precedeva nel tragitto fino
a casa ed il ragazzo avrà portato la ragazza sulle spalle per almeno 500m mentre i passanti
guardavano, sorridevano, commentavano e a molte ragazze, così come alla mia, le sarà
scappato un "che carino" che suonava tipo "perché non lo imiti?". Ecco, certe cose
sono davvero sleali, dovrebbero vietarle per strada e... a me fa ancora male la schiena!
Foto scatta qui.

Di italiani dai piedi leggeri, ma anche no

C'è un articolo de Il sole 24 ore che da qualche giorno gira e rimbalza da una social network ad un'altra, descrivendo gli italiani all'estero come specie dai piedi leggeri, come nuova classe dirigente che si va formando senza corruzione né nepotismo, senza compromessi né raccomandazioni, che abbandona l'Italia in cerca di qualcosa di migliore e la trova e soprattutto "non si tratta di emigrati nel vero senso della parola e nemmeno di una fuga di cervelli, ma di italiani, ragazzi e ragazze, uomini e donne che stanno all'estero in Europa «come se fossero in Italia»".
E tu che lo leggi, ragazzo italiano all'estero, ti senti emozionato, è quasi una sviolinata, parla di te, ti ci immedesimi, qualche ricordo sale alla memoria, di quelli di valigie ed imprevisti, ti immagini tra qualche riga e quasi vorresti che la tua foto fosse lì, in mezzo all'articolo, magari con un bel sorriso e sullo sfondo la città dove vivi all'estero, un sorriso bello ma non troppo altrimenti ti si potrebbe vedere la carie che ancora devi curare ma attendi di andare dal dentista in Italia perché all'estero non ti fidi; e ti immagini anche intervistato, con quel sorriso, a mostrare il piede "sì, i miei piedi? Sono quelli di emigrato, sono leggeri, non si direbbe lo so, porto un 42, a volte con le scarpe sportive mi calza anche il 41, ma sono piedi leggeri eh, l-e-g-g-e-r-i".

Ma fermi tutti. Calma. Di cosa stiamo parlando? Di italiani che emigrano in cerca di qualcosa di migliore ed hanno i piedi leggeri. E dov'è la novità? Se ondate di emigrazioni italiane esistono da più di 150 anni verso ogni parte del mondo, le nuove generazioni non sono certo supereroi al confronto con chi nel dopoguerra lasciava la terra natia con la famosa valigia di cartone, per un viaggio in treno di qualche giorno o per una nave in balia del mare per settimane.
L'evoluzione della società moderna ha apportato migliorie indiscutibili nel tenore medio di vita, almeno nel mondo occidentale benestante, così oggi si emigra con la carta di credito ed un laurea da dimostrare, con il cellulare innestato nel rene e l'account skype per salutare mamma, con un volo low cost che con 50 euro permette di arrivare a Dublino, a Londra, a Barcellona e che in caso le cose vadano male permette di tornare a casa in poco tempo e a bassi costi; l'annullamento delle frontiere, la moneta unica, le politiche comunitarie, progetti come Erasmus e Leonardo hanno sicuramente facilitato l'idea dello spostamento in Europa e adesso i piedi sono leggeri, sì, perché agevolati dai tempi, dal dinamismo del villaggio globale e se si ha voglia di provarci, di andare altrove e tentare, lo si può fare con una facilità disarmante.
Quando mio nonno emigrò negli anni 60 in Germania, senza conoscere la lingua né poter permettersi un albergo a destinazione, per lavorare in una fabbrica ed inviare soldi in Italia, scavalcando montagne di difficoltà, i suoi piedi erano sicuramente meno leggeri, trascinandosi dietro catene di sacrifici e necessità, ma è anche grazie ai suoi sforzi se oggi i miei sono più leggeri, se le generazioni precedenti ci hanno permesso di laurearci ed avere una scelta. E allora il fenomeno dei piedi leggeri non è altro che un'evoluzione dello stesso ininterrotto flusso migratorio del passato, aggiornato al web 2.0 e agevolato dal progresso incessante. Nessuna novità. E certamente non è un fenomeno tutto italiano, di ragazzi con i piedi leggeri ce ne sono in tutti i paesi, anzi a maggior ragione dove la formazione della lingua inglese permette a ragazzi francesi, tedeschi, polacchi di comunicare senza troppe difficoltà rispetto alla nostra balbettante media da brividi.

E allora lasciamo stare i piedi e le leggerezze non conquistate: siamo soltanto figli dei tempi, magari spinti con maggior propulsione da una classe politica inefficiente, saturi della cultura della non meritocrazia, ma sicuramente cittadini del mondo, perché non possiamo abbattere le frontiere e poi meravigliarci se le nuove generazioni incominciano ad attraversarle; e sopratutto senza trascinarsi addosso la nazione, gli indelebili stereotipi e la voglia di trasformare Parigi in "unica città italiana che funziona" o andare a "spasso in una delle sue città europee alla ricerca di un ristorante che non ci faccia troppo sentire la nostalgia a me della caponata e a lui della piadina". Perché se davvero vogliamo che i piedi siano leggeri, dobbiamo prima alleggerire la testa da tutte quelle nozioni di nazione, sciovinismi a spada tratta o sottili ma onnipresenti, identità sanguigna e voglia di ricreare o cercare ovunque quello che si è lasciato inciampando in un'integrazione rallentata, magari muovendo il corpo ma non la mente.

Inception in Brussels

Nel quartiere delle istituzioni europee a Bruxelles, anche mentre si cammina con
gli occhi bassi, avvolti nei propri pensieri, ci si ritrova nelle stelline dell'Unione Europea,
quasi come se si volesse impiantare un'idea, mentre per il momento sembra che di quell'idea se ne sfrutti per la maggior parte il lato economico. Foto scattata qui.

Quel sampietrino bastardo

Così mentre di fretta ti dirigi a prendere la metro per non essere in ritardo in ufficio proprio il giorno dell'incontro con la commissione ISO per quello standard di qualità tanto importante pensando già di dover rileggere alcune specifiche proprio perché il big boss ci tiene tanto e nessuno vuole che ci rimanga male non tanto per l'ipotetica espressione di delusione quanto per gli sguardi quelli dai messaggi inequivocabili, ecco mentre un po' di slalom tra la gente, il passo veloce perché nonostante tutto si esce di casa sempre quei 5 minuti più tardi, perché la sveglia ha i suoi ritmi ma il corpo li insegue ancora e non riesce a rispettarli, ecco tra un pensiero, un colpo di sonno di un microsecondo ed il semaforo per i pedoni che si fa rosso, ecco che il piede si poggia sul sampietrino sbagliato, quel rumore, quel plick, l'impatto oramai inarrestabile, già sai come andrà a finire, perché proprio la notte prima aveva piovuto, perché qui a Bruxelles l'estate termina il 31 di luglio e sotto quel sampietrino non ci sarà sicuramente acqua limpida e delicata, magari arricchita con magnesio che fa tanto bene contro lo stress, proprio quello stress che già sai che ti sta per assalire mentre alzi gli occhi al cielo, il cielo ti ignora, abbassi lo sguardo e il piede ha terminato il passo, come quando fai click sul bottone sbagliato ma la richiesta è già stata inviato perché magari avevi letto la dialog di warning troppo velocemente, dando per scontato qualcosa di importante o di fretta, sempre di fretta, ma così ecco che succede, ed allora ti guardi i pantaloni, quelli di color beige, eleganti per la commissione ISO-qualche-numero, quelli lavati e poi stirati con cura, che allo specchio sembravi un figurino, te li guardi e vedi le conseguenze del passo sbagliato, gli schizzi neri e marroni della fanghiglia meticolosamente raccolta e celata da quel sampietrino bastardo, tutti lì dalla caviglia alla rotula, firma pregiata di sartoria cittadina. Ti fermi, vorresti bestemmiare, anche se d'abitudine non bestemmi, tutto il viso ti si contrae in una smorfia di cui potremmo parlare per ore ma che dura in verità qualche secondo, è troppo tardi per tornare a casa e cambiarsi e anche se ci fosse il tempo alla fine non lo faresti mai e allora non rimane che rassegnarsi, ma soprattutto non fermarsi, c'è la metro che non aspetta, eppoi l'ufficio e il big boss e l'ISO e mannaggia-la-miseria.

Hope you are alive

Un piccolissimo guscio bianco, trovato rotto ai piedi di un albero con tanto di batuffoletto
 impigliato, nei pressi di Bois de la Cambre, l'immenso parco che connette Bruxelles alla
foresta limitrofa, Forêt de Soignes. Foto scattata qui.

Hope you're having nice dreams

Un senzatetto alle 9 di mattina nei pressi della stazione Gare du Midi, mentre dorme
coperto da un telo fiorito. Anche questa è una faccia di Bruxelles, di quelle meno
note ma amaramente reali. Foto scattata qui.