Quello slip di troppo

Quando si gira per affittare una casa o una stanza a Bruxelles e' davvero raro trovare la lavatrice in casa: le lavandarie a gettoni sono comunissime e in ogni via se ne trovano facilmente con offerte piu' svariate sui chili di roba da lavare. Molto comune e' pero' fornire una lavatrice condominiale (ma il piu' delle volte si parla di 4-5 appartamenti) in uno scantinato o in una stanza predisposta: un buon compromesso tra risparmio e privacy rispetto alle pubbliche. Ma il problema puo' essere sempre in agguato, come nella storiella che sto per raccontarvi...
C'era una volta un ragazzo Italiano che viveva a Bruxelles da un po', in una palazzina con lavatrice condivisa. Per motivi personali la sua ragazza aveva passato un mese in Spagna e al suo ritorno fu tutto un'esplosione di abbracci e sorrisi. Alla sera prima di andare in bagno, la ragazza apri' il suo cassetto della biancheria e trovo' uno slip da donna, uno slip non suo. Il nome del ragazzo rimbombo' in tutto l'appartamento come tuono iracondo ed improvviso. Il ragazzo corse a vedere cos'era successo e trovo' lo slip in evidenza in una mano e l'espressione di chi cerca di contare fino a 10 sul viso. "Ti ho lasciato un mese a casa da solo e al ritorno trovo uno slip da donna non mio" gli disse. Il ragazzo tra panico, riso incredulo e balbettio pensieroso disse semplicemente la verita' "boh" con accento misto tra finto irlandese (loro venivano da Dublino e tra loro parlavano Inglese) e autentico Campano (le bestemmie continuava a dirle in dialetto). Siccome si era davvero dato alla fedele castita' nell'ultimo periodo, non trovando spiegazioni, il ragazzo prese in mano lo slip incriminato e subito intui' che doveva essere di qualche vicina sbadata, residuo nella lavatrice non visto poi (solito rincoglionito) quando ando' a far il bucato. E da cosa lo intui'? Lo slip era enorme, ma davvero enorme, ed il ragazzo si giustifico' esclamando "e secondo te quando buono buono* ti volevo tradire, lo facevo con un'ippopotamo?" (con tutto il rispetto per l'animale in questione e tutte le istanze umane affini). Il dubbio, padre di molte conoscenze, si insinuo' da quel giorno in quella casa.
Morale della favola: se usi una lavatrice condivisa, prima di fare il bucato controlla sempre che non ci sia uno slip di troppo:)

* per maggiore comprensibilita' e' possibile sostituire "quando buono buono" con la particella "se".

In una stradina di Bruxelles

In una stradina di Bruxelles una bimba giocava serena con il suo peluche, non lo avrebbe mai abbandonato perche' compagno e gioia, non lo avrebbe mai lasciato solo, nemmeno un minuto, perche' debole ed inerme. Poi d'un tratto scappo' via, di corsa in casa, la voce della madre, un pianto, un grido, la porta aperta alle spalle, il peluche li', gettato sulla panchina. Cosa mai era successo?
In una stradina di Bruxelles una vecchietta oramai sola, senza nipoti ne' compagnia, avvolta dai ricordi della gioventu' che fu e di quei sorrisi, di quelle forze e la mentre sempre incinta di speranze, usava lasciar un peluche solitario sulla panchina di fronte casa: magari un bimbo passando lo avrebbe abbracciato, magari qualcuno frettoloso si sarebbe fermato, almeno un istante, una smorfia fuggevole, e raccolto un sorriso, lasciato un sorriso, in un baratto d'umori trasmessi da quel giocattolo incustodito. Usciva mai la vecchietta a fargli compagnia?
In una stradina di Bruxelles un esperto artigiano riparava peluche d'ogni tipo e da un'antica tradizione generazionale non prendeva compenso in monete: su una panchina di fronte casa ogni bimbo lasciava il peluche da rattoppare, l'artigiano lo raccoglieva e subito voglioso all'opera; non appena finito, lo riponeva nuovamente sulla panchina e il bimbo in cambio avrebbe lasciato una torta sulla coperta giallo vaniglia. Quanti orsacchiotti eran gia' stati li', su quella panchina?

In una stradina di Bruxelles, vicino Place Flagey, ieri sera ho scattato questa foto: tante favole e domande vengono spontanee a spiegazione, curiosita' o soltanto didascalia; tanti pensieri s'intrecciano frettolosi per una semplice scena... E a voi cosa viene subito in mente?

The running wolf @ Bruxelles metro

E' li' che corre ogni mattina, inizia con un salto, ti segue, prova a gareggiare con la metro, poi cade, si rialza, ricomincia a correre, ma la metro prende velocita', e' troppo veloce per lui, corri, corri lupo, corri, ma non c'e' tempo, il traguardo e' vicino, termina il muro e il lupo scompare nella luce della nuova stazione.
E' la serie di graffiti nel buio della metro da Porte de Namur a Luise, in un tragitto breve ma sempre in compagnia: vista dal finestrino diventa una piccola animazione, simpatica e inattesa. L'autore e' sicuramente un genio.



Il video purtroppo non rende per via del riflesso del finestrino, della mano del regista, la qualita' dell'attrezzatura, ma soprattutto per via del sonno mattutino:)

Il ladro e la puttana

E venne il ladro senz'avviso, lieve ma improvviso. Indosso' la maschera nera della freddezza e della lontananza (non avresti dovuto guardar il suo viso, non avresti potuto ricordare il suo sguardo) ed indosso' guanti spessi ma sinceri (perché non volle lasciar impronte alle carezze, non al tatto la pelle riscaldare). Rubo' il sorriso bisbigliando una canzone e non furon le parole affilate quanto pungente il silenzio all'abbandono. Lascio' sul divano la puttana, già svestita e pronta all'orgasmo senza nascite. Poi il ladro scomparve. E tu cadesti senza forze nell'inevitabilità di quell'abbraccio necessario mentre il cuore singhiozzava e non batteva nell'amaro dell'inutile litania. E tu cadesti senza umore mentre quella canzone armata rimbombava tra le pareti celebrali del tuo cranio oramai domato. La puttana ad ogni bacio trasmise la sua linfa tremante, succhio' ingorda ogni suono spegnendone repentina le eco mentali trascinate, i dialoghi sospesi e le poche speranze stremate. Una speranza s'impicco' a rilento, non volendo morire tra le braccia di quell'apatia (la sua lacrima vermiglia macchio' appena l'arido pavimento impolverato mentre intorno quello spleen formoso iniettava continuo i suoi tentacoli affamati e nulla più in rivolta).

Nella stanza ho appeso un sogno, oscilla appena, sempre meno. Non si ribella alla gravità tenace (non ha le forze per volare). Temo che perisca nel silenzio: già inizia a soffocare e vomita, getta via le sue utopie, più belle, e l’essenza che lo partorì recente. Ecco. Non è più sogno, non ti somiglia.

Alle 6:50 a.m.

Alle 6:50 di questa mattina, sabato mattina, la mattina che aspetti tutta la settimana per dormire, per goderti il letto, il tuo cuscino, il riposo meritato, affondare la testa in qualche piega di lenzuola e lasciarci scivolare sogni e immaginazione, alle 6:50 di questa mattina squilla il telefono una volta, l'avevi dimenticato acceso perche' tornando dalla disco eri notte un po' insonnato un po' ubriaco avevi un solo obiettivo: tuffarti nel letto; non rispondi, non ce la fai, gli occhi si aprono appena e la mente lentamente connette qualche associazione per capire cosa accada, ovviamente non ce la fai a rispondere e non te ne curi, richiudi beatamente gli occhi, ancora, di nuovo; ma il telefono squilla per la seconda volta, proprio mentre la mente non s'era ancora rivestita di sonno e allora comanda ai muscoli di muoversi, ti alzi e ti domandi chi caxxx mai puo' essere alle 6:50 di sabato mattina, magari qualcosa di importante, magari qualcosa d'urgente, altrimenti non c'e' scusa. Alle 6:50 di questa mattina mio nonno mi ha chiamato per gli auguri di buon onomastico, con il sorriso, contento di sentirmi e farmi gli auguri, lui dal suo mondo lontano e diverso, da una campagna antica e intatta. E tu che del tuo onomastico avevi del tutto dimenticato, cosa cosi' poco importante probabilmente da quando sei all'estero, da quando la mente affollata ha mille altre cose a cui pensare, tu per un attimo scuoti la testa: e tutto scompare, il sonno, la rabbia, le domande, tutto si tramuta in un sorriso contagiato (pero' poi spegni il cellulare, i prossimi auguri per cortesia dopo le 11:). Grazie nonno e buon onomastico a tutti gli Antonio.

metro serale

Tutto ricomincia alle scale mobili che portano nell'antro buio e umido della metro, questa volta poca fretta, poco stress, e' finita la giornata lavorativa, allontanato il computer, chiuse alle spalle le porte dell'ufficio e tutto quello che sara', sara' domani mattina, inevitabilmente. C'e' ancora qualcuno che corre, che non ama fermarsi alle scale mobili, forse un appuntamento che non permette ritardi, forse impaziente di un bacio mancante, ma lo lasci andare, lo schivi lento ed il passeggio leggero ti fa notare cose nascoste dalla maschera di sonno che indossavi o dalla corsa al lavoro macinante durante la metro mattutina: ci son turisti un po' persi un po' intontiti cercando di capire la direzione giusta per la destinazione sbagliata, c'e' arte nella metro di Bruxelles, ogni stop con i suoi colori e la sua veste particolare, c'e' profumo di waffles intorno che invita le narici ad una piacevole sosta.
Arriva il vagone e c'e' sempre posto a sedere a quell'ora, non c'e' il silenzio ne' l'indifferenza delle 9meno20, non c'e' piu' la calca o il classico nano con lo zaino enorme che si dimentica di avere quello zaino enorme sulle spalle e rompe il caxxx voltandosi e girandosi intorno con lo zaino enorme:) alfabeti stranieri s'intrecciano e si mescolano in questa terra di mezzo, babilonia europea di una commissione dominante.
Trovi posto di fronte ad una signora che gioca con la figlia, non puoi far a meno di regalare un sorriso alla bimba, che ricambia illuminando tutto il vagone di serenita'. Piu' avanti vedi un ragazzo che perde sangue dal naso, gocciola a terra e lo trattiene appena, non hai un fazzoletto e nessuno intorno lo aiuta. Ad uno stop ecco che sale il mendicante di turno, un ragazzo giovane e forte, che non troverebbe spazio per il suo percorso durante la metro mattutina ma troverebbe sicuramente lavoro se solo s'impegnasse a cercare anche solo una briciola che potrebbe nobilitarlo di piu'; urla forte qualcosa in quel Francese che ancora devi imparare, poi percorre lento il vagone avanzando una mano in elemosina, guardando poco la gente negli occhi, ma ne' la timidezza ne' la vergogna fan parte di quello sguardo, mentre scompare allo stop appena raggiunto. Medesima scena sara' nel vagone successivo, ma quale il vero volto di quell'attore vagabondo?
Allo stop un signore anziano prende posto al tuo fianco, pizzica la bimba dalle spalle e poi si nasconde dietro al giornale: la piccola si guarda intorno, ti fissa sorpresa. Poi il vecchietto sbuca dalla pagina del giornale e la bimba condivide un altro sorriso con tutti. Un uomo si avvicina a quel ragazzo, gli dice di star con la testa verso l'alto per alleviare la perdita di sangue, gli porge un fazzoletto, una pacca sulla spalla e anche loro condividono un sorriso. Ecco i miei eroi del vagone durante la metro serale e non sono quelli di David Bowie ("we can be heroes, just for one day"), non eroi per almeno un giorno, ma son quelli della quotidianeita' che ti circonda, non salvano il mondo ma seminano sorrisi; ecco perche' il mio eroe e' proprio quello di Dave Grohl, ("There goes my hero, He's ordinary"):



p.s. e se vi piace il pezzo, questa versione acustica e' spettacolare;)

metro mattutina

tutto inizia alle scale mobili che ti portano nell'antro umido e scuro della metro, c'e' sempre qualcuno che preferisce correre, anche se le scale sono mobili, e scendere il piu' in fretta possibile per non perdere magari proprio quella corsa in partenza appena annunciata dal fischio; qualcun altro invece le ama, le scale mobili, e magari richiude per un attimo gli occhi, complice il sonno ancora non del tutto scomparso, nella speranza di ritrovare qualche briciola di quel sogno interrotto dalla sveglia antipatica ma necessaria. Quando arriva la metro gia' osservi persone spiaccicate al vetro delle porte come una massa uniforme di corpi, bracce, gambe, teste, tanti colori che alla fermata si mischiano di nuovo, scendono giusto due persone e ti domandi come collocarti in quel puzzle umano, ma non c'e' abbastanza tempo per pensare, riecco il fischio, le porte si stan per chiudere, salti dentro e sei a due centimetri dai capelli bianchi di una signora anziana, il piede calpestato da un uomo sovrappeso, la pargoletta mano che tenta invano di raggiungere l'asta per trattenerti ma la metro parte, e' troppo tardi, non hai prese, l'accelerazione ti spinge come la palla di un flipper senza luci e senza suoni, ma soprattutto senza spazio:) dici pardon con il sorriso, funziona sempre, il sorriso contagioso, ti rispondono col sorriso. Solo due fermate, due stop nel puzzle umano, se vuoi puoi trattenere il fiato, se la sfortuna ti e' amica sei capitato proprio nei pressi di qualche sudore ascellare che pizzica le tue narici e ti domandi ma come caxxx gia' di mattina e con questo clima sicuramente non africano:) oppure c'e' la signora anziana che preferisce spruzzarsi otto chili di profumo di lavanda e allora ti droghi un poco prima di riprendere aria all'apertura delle porte.
Ma c'e' il cambio di linea, tutti si muovono veloci ed uniformi alle nuove scale che li portera' a prendere l'altra metro, meccanici e silenziosi mille passi avanzano automatici per raggiungere l'ufficio, un esercito gia' vinto marcia frettoloso verso il comandante senza medaglie: e' questo il progresso? Se sei controcorrente, ti ritrovi in una partita di rugby ad evitare ostacoli velocissimi, schivare borse, giornali, persone; se sei nella marea, devi subito uniformare il passo per non calpestare il tallone di chi e' di fronte e contemporaneamente non essere macinato dai cento alle tue spalle.
L'altra linea arriva sempre piu' sfollata, addirittura trovi sempre posto per sedere, ma otto stop sono tanti e allora inizia la tua analisi delle persone: il sonno e' velo manifesto su tutte le facce intorno, negli occhi ancora un poco rossi, nelle occhiaie ben definite e gonfie, nelle labbra pendenti ai due estremi, nelle palpedre chiuse di chi e' immerso in qualche musica straniera del suo ipod simboleggiante; c'e' sempre tempo poi per eleggere miss metro mattutina della giornata, quella riccia carina nell'angolo un poco timida o quella intellettuale che legge il giornale con l'espressione da segretaria in agguato o il meno peggio se il tuo vagone non e' di qualita' allora de gustibus non si applica e dai il premio alla signora un po' imbrongiata, tu la guardi e pensi hey signora il premio e' suo questa mattina, lei si sente osservata, ti guarda, si volta nuovamente: premio rifiutato. te l'avevo detto io, era meglio l'altra, quella piu' in carne ma col sorriso!

A ciascuno la propria bilancia

Senza voler ripetere i concetti della nota sugli italiani all'estero, alcune riflessioni vengono spesso alla mente quando si vive un'esperienza in un'altra nazione e si interagisce con connazionali (e non) in un paese straniero. Per quanto possano essere errati o non totalmente applicabili nella maggior parte dei casi, paragoni e confronti fanno sempre parte delle prime impressioni e probabilmente non se ne puo' fare a meno: e' quello il metro di giudizio e venendo da x, non si puo' non confrontare ogni cosa con x o rapportarla ad x fino ad un e' meglio o e' peggio. Ovviamente a primo acchitto spesso sfugge che se la cosa y e' meglio nel posto x c'e' un motivo o se altra cosa e' peggio c'e' una ragione precisa o delle motivazioni che e' possibile relazionare a storia, cultura, societa', economia e quantaltro.
Da questo punto il passo al lamento e' davvero breve, ma anche il lamento puo' avere il suo lato positivo se poi scaturisce in un incentivo al miglioramento ("il cibo qui fa schifo" > "m'impegno a cercare in giro, miglioro come mangio" > addio lamento); quando invece diventa l'argomento principale, si e' caduti in un facile tranello mentale e si rischia d'apparire come un continuo piagnistero che sicuramente non giova alla socializzazione o alla conversazione. Spesso si tende a camuffare il lamento con la parola critica, ma di vera e sana critica se ne vede davvero poca in giro; questo stesso testo potrebbe soggettivamente essere etichettato come lamento o come critica puntualizzando una parola anziche' un'altra. L'autore di questo blog non ha sempre ragione ne' puo' essere a conoscenza della Verita'.

E se il lamento verso il posto x in cui si e' immigrati puo' essere uno dei primi sintomi da spostamento, la critica verso il posto y da cui si e' emigrati si contrappone spesso come atteggiamento ritardato. Le motivazioni sono diverse ma la cosa piu' spiacevole e' vederle sfociare in odio gratuito verso la propria terra. Come se la stabilita' ed il benessere raggiunto non sia personale ma abbia bisogno di odio, di polemica o addirittura di razzismo verso i propri connazionali, come se abbia bisogno di confrontarsi con gli altri per essere un benessere maggiore: che stupidita'.

Ammetto anche che in parte condivido il pensiero di chi afferma "ho scelto forse io dove nascere? Io son nato li' forzatamente, poi ovviamente con il mio cervello e le mie gambe vado dove credo sia migliore". Sono d'accordo, pero' senz'odio sarebbe meglio: solo perche' non sei riuscito a realizzarti in quel posto x per problemi strutturali, culturali, etc, non vuol certo dire che x e' da odiare. Altrove sarai benvenuto, pero' ricorda che tutta la famiglia e gli amici che hai li' continuano a star li' nonostante tutto e se li rispetti e li vuoi bene, non dovresti odiare ed offendere il posto in cui vivono.

Allora si fa avanti un secondo dicendo "Sono d'accordo, io critico e tanto ma perche' amo la mia terra e vorrei che le cose cambiassero, son andato via perche' quel nonostante tutto era troppo pesante per me". Sono d'accordo, sono tante le cose che non funzionano e che andrebbero migliorate in Italia, pero' quando critichi ti prego stai attento a non giudicare un popolo, una nazione intera partendo dai problemi presi in considerazione, perche' il qualunquismo e la generalizzazione ammazzeranno la tua critica, i luoghi comuni la renderanno ridicola, i confronti cadranno quando al confronto son due mondi totalmente differenti e ricorda che il nome di un popolo, il nome di una nazione non comprende soltanto pochi individui o catene di eventi (vergognosi o grandiosi che siano) e non va quindi usato come un aggettivo, un discriminante, altrimenti si finisce col cadere in uno spiacevole razzismo.

E si fa avanti il terzo "Ma cosa vuoi da me? A me non me ne frega niente dell'Italia, non la odio e non la amo, la ignoro, son andato via per farmi la mia vita". Sono d'accordo, abbiamo un solo viaggio a disposizione su questo giro di ruota ed e' meglio sfruttarlo nel miglior modo possibile senza angosciarsi per tanti problemi, ma siamo anche animali sociali e ignorare la societa' da cui vieni ti portera' probabilmente ad ignorare quella in cui vai; ignorare la societa' da cui vieni ti portera' probabilmente ad ignorare il contesto in cui vivono ancora persone che vuoi o che ti vogliono bene ed ignorare il loro mondo sara' come ignorare una parte di loro.

Infine ecco l'ultimo "oggi hai mangiato proprio pane e saggezza, eh? andima ma tu sei d'accordo con tutti, ma vaffanculo!". Sono d'accordo:P mandare a quel paese qualcuno ogni tanto fa bene, ma se son d'accordo (in parte) con loro e' perche' durante la mia prima esperienza all'estero ho commesso anch'io tanti errori, dai lamenti alle offese verso il mondo che mi circondava, dalle polemiche ai disaccordi verso il mondo che lasciavo; perche' quando andai a Dublino avevo appena compiuto 25 anni, neolaureato, pronto per un'avventura all'estero e con tanti progetti nella testa ricciuta; e allora ho commesso qualche errore, ho fatto la mia esperienza, non su Dublino, non sull'Irlanda, ma personale.
Ho raccontato tante cose su quel blog, tanti sorrisi, tante impressioni lungo un viaggio sempre in cambiamento. Purtroppo pero' (ma probabilmente e' normale) ho scritto anche tante cose che magari avrei potuto evitare o che avrei potuto esprimere in maniera diversa: lamenti, generalizzazioni, offese. Il blog non e' stato cancellato perche' e' una traccia, un diario (e perche' chissa', magari un giorno saro' di nuovo a Dublino): qualcuno potrebbe trovarlo utile, qualcuno potrebbe farsi due risate, qualcun altro ignorarlo, (qualche tonto potrebbe usarlo per evidenziare cose che ho detto, ma cose dette due anni fa non son cose che penso oggi, altrimenti l'esperienza sarebbe stata inutile, giusto?).
Probabilmente e' normale alla prima esperienza all'estero, giovane e spaesato, sparare via di getto le proprie impressioni e magari parlar male di abitudini viste strane o di differenze con il proprio paese. Durante gli anni liceali, leggendo proprio il libro (Il ritratto di Dorian Gray) di un autore Irlandese, Oscar Wilde, mi rimase impressa una frase: errore e' solo il nome che diamo alle nostre esperienze. Quella frase l'ho ritrovata poi scolpita nella colonna posta proprio di fronte al monumento in suo onore a Dublino. Ho commesso numerosi errori e ho fatto le mie esperienze, ma ora sto rimediando, almeno sugli errori del blog di Dublino, ma di questo parlero' poi. E non e' pane e saggezza, ma probabilmente e' solo un cambiar approccio alle cose. Piu' maturo? Maturita' era una parola che si pronunciava al liceo pensando a quando non si sarebbero fatte piu' tante stronzate, associandola ad uno stato mistico di maggiore intelligenza, saggezza e telepatia. Maturato non so, sicuramente diverso.

E son d'accordo (in parte) con loro perche' ognuno ha le sue ragioni. Ognuno ha la sua bilancia. Credo fermamente che nel momento stesso in cui veniamo al mondo entriamo a far parte di una serie di schemi: la scuola, il lavoro, lo stato, il corpo, etc. Ogni schema ahime' ha annessi una serie di compromessi: gli orari, i soldi, la locazione, le leggi, etc. Alcuni compromessi ci fan piacere, altri meno: ecco la nostra bilancia. Schemi e compromessi. Fondamentalmente non si puo' vivere senza schemi, ma si puo' cercare di entrare negli schemi contenenti quegli insiemi di compromessi che pesino meno sulla nostra bilancia sul lato delle cose negative, ottenendo in questo modo (la o alcune) felicita'.
Ognuno ha la sua bilancia, la sua equazione di felicita', le variabili in gioco son tante e ognuna col suo peso, ma trovare la soluzione non e' impossibile. Un esempio: andando all'estero qualcuno potrebbe alleggerire alcuni compromessi da un lato (basta al lavorare 10 ore al giorno, basta all'impazzire con i mezzi di trasporto, etc), guadagnando sorrisi dall'altro (salario magari piu' alto, soddisfazioni lavorative, un ambiente piu' stimolante, etc.), aggiungendo pero' anche il peso (nullo o enorme, ad ognuno il suo) di altre conseguenze dall'altro (la mancanza della famiglia, degli amici, di casa, il clima, etc.).

Qui, altrove, li', dovunque. A ciascuno la propria bilancia, senza offendere ne' chi vi ospita ne' chi vi ha ospitato, senza offendere un nuovo schema ne' quello precedente: erano compromessi, sono compromessi. Buona fortuna;)

Omaggio a Massimo Troisi

Per caso qualche giorno fa ho ritrovato un vecchio mp3, era una bellissima poesia in Napoletano di Massimo Troisi. Ho voluto subito condividerla con la mia ragazza, ma lei e' Spagnola e tra noi comunichiamo soltanto in Inglese (ultimamente anche un po' in Spagnolo ma devo migliorare). Allora mi son lanciato in una traduzione dal Napoletano all'Inglese (sacrilegio lo so!) che spero non offenda il magnanimo Troisi, poi carta e penna per descrivere meglio qualche scena e infine ho pensato, perche' no, di crearne una piccola animazione e allora mouse e paint e.. dopo la foto mancante, dopo la nostalgia, ecco il mio omaggio a Massimo Troisi:


Di seguito i testi. L'originale in Napoletano (ma scrivere il Napoletano e' davvero difficilissimo, chiedo venia per gli errori):
Tu stivi 'nsieme a n'ato
i' te juardai
e prima e ra' u tiempo all'uocchi
pe s'annamura'
gia' s'era fatt annanz o cor
"a me, a me!"
O' sai comme fa o core
quann s'e' nammurat

Tu stivi 'nsieme a me
i' te juardavo e me ricevo
"comme sara' succiesso che e' fernuto?"
Ma io non m'arrengo
ce voglio pruva'!
Po' se facette annanze o core
e me ricette:
"Tu vuo' pruva'?
E pruov, i' me ne vag"

traduzione in Italiano (almeno la mia versione):
Tu stavi insieme ad un altro
e io ti guardai
e prima di dare il tempo agl'occhi
d'innamorarsi
gia' si era fatto avanti il cuore
"a me, a me!"
Lo sai come fa il cuore
quando s'innamora.

Tu stavi insieme a me
io ti guardavo e mi dicevo
"come sara' successo che e' finito?"
Ma io non mi arrendo,
ci voglio provare!
Poi si fece avanti il cuore
e mi disse:
"Tu vuoi provare?
Prova! io pero' me ne vado"

traduzione in Inglese (la mia versione):
You were with someone else
suddenly I saw you
but my eyes didnt have time
for falling in love
'cause the heart was already in a rush
saying "it's for me, it's for me!"
You know how the heart behaves
when it's in love

You were with me
I was looking at you, thinking
"how the hell everything is over now?
But I dont give up,
I wanna try again!"
then the heart came, saying
"Do you really want to try?
Try then,
but I go away.."
Se avete in mente qualche traduzione migliore, non siate timidi e lasciatela nei commenti:)