Quando all'ingresso vedo due Ferrari ed una Maserati parcheggiate in bella vista, ad esposizione e manifesto chiaro delle intenzioni organizzative, mi guardo le scarpe e mi domando semmai sarei potuto entrare. E invece no, si entra senza problemi, ma dentro dall'atmosfera deduco subito che no, le scarpe non erano adatte, anche se poi lo stile è tutto un gusto personale, si sa. Ma veniamo all'Italia, quella del luxury party. Un proiettore spara sulla parete gigante immagini di alta moda con Roberto Cavalli (che poi vorrei sapere, quanti italiani vestono Roberto Cavalli? Cioè, certamente non quel 8% di disoccupati e neanche quei 5 milioni di immigrati che pur reggono una parte dell'economia e a parte quel 30% di giovani senza lavoro, ma poi il resto?) mentre al tavolo di fronte alcune signore avanti con l'età brindano con calici di vino, che sia piemontese o della California non si potrebbe dire ma in fondo poco importa, è luxury italian party, dai.
Mentre cerchiamo di ambientarci ordinando al bar qualcosa, il proiettore spara scollature e culi in bella mostra, di sfilata, di serate e festini, che sicuramente fa molto italiano, soprattutto all'estero recentemente, dopo che un dittatore straniero può venire più volte nel Bel paese e ordinare altezze e forme per 500 ragazze-oggetto e l'amico e compagno d'affari, nonché primo ministro nel tempo libero, si occupa di bunga bunga a iniezioni di viagra.
D'improvviso il dj al microfono grida esaltato "Benvenuti italiani, benvenuta Italia" e c'è chi urla, chi gli fa l'ok, chi si sente riconosciuto e con la pelle d'oca e la vodka in mano risponde al richiamo della tribù riunita. Cose che ti possono capitare a Bruxelles, mica altrove. La musica passa dagli anni 80 a Ramazzotti (versione disco, sottolineo con ancora qualche problema irreparabile al sistema uditivo), per poi cadere a Giggi D'Alessio e partire con una collezione di neomelodica napoletana (sì, lo giuro) tra cui un pezzo che poi mi è stato segnalato essere questo (brividi). Io rido isterico, oramai intrappolato e curioso dei mille risvolti della serata, a tratti anche divertenti per compagnia e stupidaggini varie, quando il dj propone addirittura l'inno di Mameli e vedo mani sul cuore, bocche aperte a squarciagola e gente impazzita per l'Italia. Ma siamo a Bruxelles e mi rendo conto che la maggior parte delle persone presenti son belghe ma di origini italiane, discendenti di quegli immigrati di 60 anni fa o recenti, non importa, basta quel 1% d'italiano nel sangue per sentirsi parte di quella cultura e associarsi a bandiera, colori, apparenze.
Io le riunioni della comunità italiana di immigrati di decenni passati me le immagino come sagre, con vino e soppressate, lasagne e musica popolare, magari con Raffaella Carrà che canta da una radio e rallegra la serata. Quella sagra moderna invece, di discendenti e nipoti, sembrava staccarsi per un attimo dalla realtà tanto che italiani di oggi non se ne sentivano identificati. Magari sarà che i nonni raccontavano di un'Italia lontana e bellissima, posto di spiagge e sole, facile miglioramento rispetto al Belgio nuvoloso e freddo, e forse esaltavano i mondiali del 82 o un paese congelato nell'immaginario dell'emigrante ma che nel frattempo cambiava, si evolveva. E io? Cosa racconterò ai miei nipoti, quando un giorno in qualche paese straniero (quale chissà) mi ritroverò a rispondere a domande sull'Italia? Parlerò dei mondiali del 2006, di Valentino Rossi, la Ferrari ed Umberto Eco o del berlusconismo, dei tronisti, della generazione dei reality dove conta di più avere una quarta di seno che sapere se la Montalcini sia ancora viva oppure no? Probabilmente vincerò solo riuscendo a trasmettere la non appartenenza a nessuna nazione e la consapevolezza di vivere in un mondo di tutti e per tutti. Ma quanto belgi si sentivano quei belgi di origini italiane? E quanto italiani? Forse sarà come quelle coppie separate, dove anche dopo anni ognuno di loro è ancora innamorato dell'immagine dell'altro, della persona con cui si stava insieme che nel frattempo è cambiata, non è più la stessa e tornare insieme poi si rivela spesso un fallimento, proprio perché si scopre di star cercando qualcuno che non esiste più, se non nella propria mente, ma come in una maledizione riesce poi difficile innamorarsi di qualcun altro, invece reale, perché il cuore batte ancora lì; forse sarà proprio così per quegli italo-belgi che ballavano e gridavano Italia, innamorati di una patria raccontata dai padri, dai nonni, di un paese oramai diverso, e al contempo incapaci di amare il paese di nascita, quel Belgio misto di immigranti e leggende.
Andiamo via soffocati dal fumo e stanchi del ballo e della serata, mentre troppi (vista l'ora) punti interrogativi rimbalzavano irrequieti tra le pareti celebrali. E non me ne vorranno quei belgi di origini italiane, ma Ramazzotti, D'Alessio e Rosario Miraggio tutti insieme è stato davvero un trama (senza contare i tanti personaggi dall'aspetto camorristico che ho visto entrare in quella sorta di privé al piano di sopra). Ho visto e ascoltato tanti mostri, ma poi la chiave di lettura me l'ha fornita distrattamente un amico: in fondo, è il fine settimana di Halloween, non a caso.
Simplicemente il posto il più vip di Bruxelles. No, grazie. Foto scattata qui. |