Capita spesso vedere che, per un motivo o per un altro, due connazionali parlino tra loro in una lingua a loro straniera e vedere come lei, la lingua straniera, sia fuori posto in quel momento, quasi fosse il doppiaggio maldestro di voci estranee. Così, per esempio, con il collega italiano può capitare di parlare in inglese in ufficio anche se non ci sia nessun terzo interlocutore, ma soltanto per educazione, se qualcuno fosse lì vicino e magari volesse intervenire, o addirittura a volte per abitudine, per poche parole tecniche d'uso quotidiano. O per distinguersi dai colleghi francesi. Capita anche però che se devi commentare il titolo di una notizia, qualcosa del paese comune o una stupidaggine che agli altri neanche importerebbe, beh a quel punto la si dica in italiano, tra italiani, come in olandese tra belgi del nord, anche se loro, i belgi del nord, sono a casa loro, a Bruxelles, più o meno. Cose naturali, insomma.
Così si crea una certa intimità, di parlare in una lingua che gli altri non possono capire e dire cose anche private senza che gli altri se ne possano rendere conto. Così si crea un certo scudo protettivo linguistico, che protegge i fatti tuoi, appunto, quando racconti qualcosa al collega italiano alla scrivania di fianco, nell'open space. Così capita che il collega prima di andar via l'altro pomeriggio, si avvicini alla tua scrivania e ti racconti di un problema di salute, di una visita dall'
urologo e te lo dica in italiano, appunto, che son cose personali eppoi certi dettagli sarebbero anche macchinosi da spiegare in altre lingue, che loro, le altre lingue, si usano per
altro, almeno fin tanto che poi non diventino al
tua lingua, un giorno chissà. E capita che il collega non lo dica neanche a bassa voce, che tanto gli altri non capiscono, che tanto è abitudine da due anni dire certe cose in italiano, protetti dal super scudo linguistico, nell'intimità d'accenti meridionali. E capita che si inizi a parlare di visite dell'urologo, di esperienze personali, di
dita che vanno in certi posti e che non è mai cosa piacevole. Tu per esempio gli racconti di quella volta che l'urologo si mise il guanto di lattice, fatale presagio, e lui, l'urologo, era come il saggio ma non puntava alla luna e tu, paziente turbato, non eri stolto ma continuavi a fissare il dito, pensando a dove sarebbe finito. Così passa una decina di minuti in discorsi d'ampio sfondo scientifico, un po' come il
trapana e succhia di Bart ed altri racconti di un certo spessore medico. E capita pure che il collega, sempre prima di andar via, sempre sotto il super scudo, concluda con una battuta, sempre a tema, magari non elegantissima, e poi d'improvviso diventi
rosso, rosso che quasi scoppia. Tu non capisci per un attimo, scuoti la testa ma lui niente. Rosso. Poi ti si bloccano gli occhi e vorresti scomparire, puff, di colpo, che proprio a un metro più in là c'è la collega nuova, quella da due giorni in ufficio, quella silenziosa che ancora si deve adattare, quella che quasi ci si dimentica di lei. Quella italiana.