Dell'Italia che uscì dall'Euro

Erano passati già diversi anni dall'uscita dell'Italia dall'Euro, ma ogni volta che arrivava all'aeroporto di Fiumicino non poteva non fermarsi alcuni secondi ad osservare quella mappa esposta così grande, così fieramente, dell'Europa d'un colore e dell'Italia d'un altro, anzi di un tricolore, e di tutta quella gente che ci si fermava davanti per una foto, con il sorriso, come se stessero davvero davanti ad un monumento storico importantissimo o ad un cambio epocale, un po' come con le mappe dell'evoluzione dell'Impero Romano, quelle che si intravedevano sulla destra quando dai Fori Romani si andava al Colosseo, anche lì ci fu chi in quegli anni aveva proposto di aggiungerne un'altra, dell'Italia fuori dall'Euro, ma proprio quelle mappe lo facevano tanto ridere, ogni volta che ci passava di fronte, perché ne mostravano l'espansione fino al culmine, ma non la caduta, ecco perché aggiungerci adesso quella dell'Italia fuori d'Euro sarebbe stata l'ennesima inconsistenza patriottica, ma l'Italia ne era piena, di quei controsensi lì, nel 2023. Come lo annoiava poi dover cambiare ad ogni arrivo i suoi euro in lira, nella nuova lira, se ne ricordava non appena usciva dall'aeroporto, non appena intravedeva quel monumento enorme, quello alla Nuova Lira, di quella donna che sola era riuscita a sconfiggere la crisi grazie all'unione nazionale, e subito metteva la mano nel portafogli per controllare se ne aveva abbastanza per la giornata, lui che viveva all'estero e usava quella moneta straniera, l'euro.

Nel taxi gli piaceva sempre domandare come andavano le cose al tassista, che non mancava mai di lamentarsi sebbene l'Italia della nuova lira attraversava uno dei suoi massimi splendori economici. Certo, i primi tempi dopo il cambio furono pieni d'incertezze e problematiche, ma non ci fu quell'inflazione sfrenata che i sostenitori dell'euro avevano previsto né il crollo dei mercati o le invasioni bibliche di cavallette; beh, non si ebbero neppure tutte le richezze e vantaggi promessi dai sostenitori dell'uscita dell'euro in effetti, ma il punto fu proprio quello: entrambe le parti ebbero torto e ragione, in quella scienza che non è puramente matematica, l'economia, ma spesso ha bisogno di previsioni, proiezioni, ipotesi e statistiche, e non tiene conto delle evoluzioni possibili, giochi di potere, accordi, interessi e politica, che si susseguirono incessanti, sempre all'ombra di un complotto gigantesco per molti, che nessuno ovviamente seppe mai formalizzare. Chiacchere da bar, le chiamava il tassista, mentre passava davanti ai resti del Colosseo, oramai quasi dimezzato dopo gli ultimi crolli per i mancati interventi: l'Italia era sì ricca, ricchissima, nel 2023, ma la ricchezza non migliorò molto il paese, anzi. Più ricchezza si trasformò repentinamente in equazioni d'assurdità italiche in più corruzione, più mafia, più casta. Le cose andavano sì meglio, molto meglio, ma si continuava a non investire nei beni culturali, nella ricerca, nella sanità: non bastano alcuni bilanci positivi per cambiare una cultura, gli aveva detto all'aeroporto il barista servendogli un espresso eccellente e barbottando qualcosa sul figlio dottorando, che aveva ricevuto richieste dall'estero ma che adesso aveva paura di partire, di diventare un cervello in fuga con tutto quello che all'epoca comportava. La campagna dell'odio contro i cervelli in rientro poi, fu qualcosa d'assurdo nel 2023: molti italiani all'estero decisero, in numero sempre crescente, di rientrare vista la nuova crescita economica e l'ottimismo che ne derivava, ma in patria non trovarono certo un buon clima né quelle condizioni di lavoro a cui erano abituati altrove. Da "vigliacchi", "traditori", da "è facile lasciare la nave quando affonda", passorono ad essere "opportunisti", quelli che "comodo rientrare quando le cose vanno bene", "dove siete stati mentre qui si soffriva", "ce l'abbiamo fatta anche senza di voi" e così via. Molti li odiavano in un clima surreale dove non mancarono episodi di teppismo in effetti, di squadrismo organizzato all'uscita degli aeroporti, d'interrogazioni parlamentari per evitargli di rientrare, di approfittare di quella nuova ricchezza. Ricchezza di danaro ma non di spirito.

L'Italia del 2023 era ricca, ricchissima, ma anche tanto razzista, contro gli immigrati, anche quelli europei, e contro gli italiani, quelli all'estero che rimanevano o tentavano di rientrare. Lampedusa, per esempio, fu prima messa in vendita per scrollarsi di dosso i problemi degli sbarchi, e poi dichiarata stato indipendente, per poterla sanzionare e dichiararle guerra ad ogni nuovo sbarco sulle coste siciliane. La ricchezza offriva soluzioni facili e la geniliatà, quella tanto ostentata ma mai misurata adeguadamente, scarseggiava o veniva inghiottita da propagande e chiacchiere. Di chiacchiere si riempivano i politici, soprattutto quelli che avevano gridato all'uscita dell'euro, ne erano usciti vincitori dopo la rinascita economica ma al contempo vuoti: non avevano altre idee in realtà, il loro grido era stato di pura ricerca di consensi, appiglio al vento di destra che scosse un po' tutto il continente ma che rimase poi insipido quando s'arrivò al bisogno di un programma ben strutturato ed efficace. Con dei vincitori del genere, le cose non potevano certo migliorare. Ma avevano vinto, e i vinti hanno sempre ragione, purtroppo. Questo pensava, mentre il tassista imprecava contro l'ennessimo blocco della polizia, non si poteva passare nei pressi dello stadio per l'ennessima manifestazione degli ultras, che chiedevano ancora una volta dichiarazioni di guerra a mezza Europa: l'uscita dall'euro col tempo risultò in molte relazioni disgregate, in un'isolazione sempre crescente del paese e di tutto ciò che lo riguardava, il campionato italiano di calcio per esempio, nel 2023, non aveva più accesso alla Champion League. C'erano i soldi, tanti, per comprare i migliori talenti stranieri sul mercato, che però non volevano andar a giocare in Italia senza l'accesso a quella competizione e in più in quel clima d'intolleranza e anarchia. Eppure, si continuava a dire che era il campionato di calcio più bello del mondo, secondo gli italiani. Così come il paese, il cibo, il clima, la moneta.

Lasci stare, continuo a piedi - disse al tassista. Con l'idea di fare due passi e arrivare a casa degli amici, lì a qualche isolato di distanza, ripensò a cosa era rimasto di quell'Italia che aveva lasciato, 30 anni prima, a cosa assomigliava quella giostra di ricchezza economica e problemi raddoppiati, quell'orgia d'interessi e odi, e perché continuava a sentirla nonostante tutto ancora un po' sua. Non ebbe il tempo di rimasticare quei pensieri però, quando la polizia lì nei pressi dello stadio lo fermò per un controllo e scoprì che era un italiano residente all'estero, quando iniziarono prima a ridergli in faccia, a dispreggiarlo, provocarlo in cerca d'un pretesto, quando poi lo portarono in un angolo per picchiarlo, bastonarlo, lasciarlo esamine a terra, quando morì senza il tempo di capire dov'era davvero, in quella terra natia, ricchissima, maledetta e straniera.

Ma cosa diavolo

In Danimarca hanno una visione un poco contorta del concetto "convincere ad andar a votare" per le imminenti elezioni europee.

D'emigranti che non sanno il perché

E mentre mescolava quell'impasto d'esseri umani e aromi non sempre appetibili, un dio senza nome sapeva già che non tutti sarebbero venuti come in principio aveva pensato, il forno dell'evoluzione in fondo cambiava sempre un po' la ricetta e di generazione in generazione poi bruciacchiava qualche combinazione, ogni tanto, ma quel dio senza nome si giustificava nel nome di un equilibrio universale pur sempre mantenuto, in quella legge dei grandi numeri che qualcuno avrebbe poi intuito. Lasciava a riposare piccoli pani d'impasto, già ben lievitati col tempo d'intrecciarsi per bene, ne prendeva poi a caso uno e lo divideva per metà, in una mano riusciva a prendere abbastanza impasto da creare l'anima d'un nuovo essere umano e soffiarla via in quell'involucro che in terra avrebbe preso vita, nell'altra mano l'altra metà d'impasto e via, la vita correva veloce mentre il tempo lento l'affiancava. E soffiava, il dio senza nome, su una mano e sull'altra nella stessa direzione, e due nuove vite fiorivano lì, in quella regione dell'est, altre due ancora più giù e altre due appena prima di quelle montagne a sud. Poi, annoiato del soffiare sempre allo stesso modo o nello stesso verso, il dio senza nome iniziava a rompere il ritmo e quasi danzare, in un attimo d'euforia improvvisa, e così due manate dello stesso pane, due anime fino a poco prima un tutt'uno, venivano soffiate una ad ovest e l'altra a nord, una lì, su quell'isola lontana, e l'altra a mille chilometri più giù, in quella città già affollata. E in quei brevi momenti di squilibrio, quando il dio senza nome preferiva l'improvvisazione ai sui modi da catena di montaggio, succedeva che due anime con qualcosa in comune, due tranci della stessa massa, si dividevano finalmente su lunghe distanze, per prendere vita ma con una grossa mancanza. E succedeva pure che, tra un soffio a destra e l'altro a sinistra, alcune molliche dei due impasti, alcune briciole di quell'unico impasto originario, cadevano al centro, lì, su quella città nella vallata ad est, per non dar vita ad un altro essere umano, troppo poca la dose in questione, ma pur creare un qualcosa che ad occhi nudi sarebbe però sfuggito o almeno a chi non fosse della stessa pasta.

E succede poi, in quel mondo di vite e casualità, che alcuni decidono un giorno di cambiare, di spostarsi, d'emigrare. E c'è chi lo fa perché stufo delle condizioni attuali, c'è chi insoddisfatto cerca altrove nuovi stimoli e opportunità, chi si giustifica soltanto con la voglia d'avventura e chi vomita insulti e odi verso la terra natia che non l'ha saputo trattenere. Ognuno col suo motivo, ognuno con la sua storia da raccontare e le sue speranze da raffinare, di notte sotto un cielo sconosciuto, arriva in cerca di vita nuova con l'euforia e il dubbio del cambiamento che non può controllare. E alcuni, tra tutti quegli emigranti in fila all'aeroporto, ridono, si lamentano, soffrono, si migliorano, tornano, restano, ma non lo sanno, che tutto il resto eran solo scuse per connessioni neurali e sequenze di parole, che tutto il resto in realtà non contava e si partiva, ci si incontrava lontano, perché l'altra parte dell'impasto o quelle briciole comuni, l'altro pezzo da trovare, incontrare, baciare, non era lì dove s'era, era altrove. Succedeva così che il greco trovava la sua metà d'impasto bionda ed alta in Svezia o che un italiano incontrava il suo angelo spagnolo in Irlanda, perché le loro briciole eran cadute sul tavolo consumato di un pub. E così alla perenne domanda Perché vai via? non l'economia, non la politica, non la cultura né tanto meno l'avventura, la risposta sincera di tanti emigranti ignari e irrisoluti sarebbe stata, se solo avessero saputo di quella danza repentina del dio senza nome, Perché vado via? Vado via per amore.

E io dovrei credere a tutta questa storia!? - Esclamò sorridendo la ragazza francese, in quel bar di Londra parlando con quello sconosciuto.
Io penso che non ci siamo ritrovati qui per caso. - Rispose sicuro il ragazzo portoghese.
Non so che nome possa mai avere questa tua religione, non è meno buffa delle altre ma almeno mi ha fatto sorridere, mi hai convinto, andiamo a ballare insieme! - E lo prese per mano, mentre la musica nel bar si mescolava a parole e brindisi.
E poi - pensò il ragazzo portoghese, mentre veniva strattonato tra la folla euforica e rumori di bicchieri che si frantumavano - e poi dicono che le religioni sono inutili..

Per colpa di pochi

Di tutte le conclusioni che cadono come sipario su conversazioni altrimenti infinite ma comunque dal sapore abbastanza insipido però innegabilmente necessarie, quel per colpa di pochi quando si parla di trattative con ultras, di disordini fuori dallo stadio, di calcio che muore per l'ennesima volta, di poliziotti uccisi durante scontri con manifestanti, di ragazzi uccisi durante arresti serali e quant'altro popola il panorama di titoloni ricorrenti, perché è isolato il caso ma non il tipo d'evento, pane per dibattiti televisivi inconcludenti, è spesso un gran colpo di spazzola, quel per colpa di pochi lava via ogni colpa, prende le distanze facilmente, santifica parenti e amici, puntando il dito sugli altri, sempre gli altri, ma pochi degli altri, perché per colpa di pochi la pagano tutti, ma tutti (o comunque non pochi) aiutano a creare una certa cultura, modi di fare, quelle abitudini, quel terreno (sociale, politico, storico, antropologico, alieno) dove certi personaggi crescono (o prendono la coscienza di poter fare certe cose, diventano, supportano, imitano, esplodono) o certe cose succedono (su diverse scale, con diversi attori e conseguenze, ma connesse da quell'humus nazionale). E diventa come un già, quel per colpa di pochi, di quei già che si spargono un po' ovunque come il sale, quando non si sa che dire, quando non si vuol continuare, quando lo si preferisce al silenzio. Sarebbe più onesto (ma non più produttivo) concludere invece con un e questo vogliamo, più collettivo e responsabile, meno vittimista e distante, soprattutto quando i casi non sono isolati, perché i pochi e i tutti non son completamente scissi e s'influenzano a vicenda nelle interconnessioni del terreno condiviso, concimato, arricchito, contaminato. E sì che il passo alla generalizzazione, maledetta, è veramente breve, una trappola a portata di parole, ma ridurre il tutto alla colpa di pochi che danneggiato tutti, beh non basta né aiuta. E non cambia quell'humus già ben impregnato.