To make it short
Da "Intelligenza emotiva per un figlio", John Gottman
p.s. Corollario: tutti i dittatori (e non solo) sono rimasti a quella fase, da un anno ai tre anni, per tutta la vita.
Quello che resta
Di competizioni e farmacie
E mentre certi pensieri s'intrecciano rapidamente con la loro chiarezza cristallina, e mentre il giapponese lascia la farmacia con il suo bottino di medicine risolutive ed un sorriso di pene già alleviate, mentre la farmacista annota i punti guadagnati sullo scontrino che userà come prova della sua vittoria, ecco che riemerge la collega dall'apnea in mondi alieni. E tu, quasi con un pizzico d'imbarazzo, nella consapevolezza di lasciar briciole di punti, chiedi il tuo collirio sottovoce, che una congiuntivite non varrà quasi nulla in classica, pensi, e con la coda dell'occhio vedi l'altra farmacista già gioire. Mi dispiace, mimi con lo sguardo, quando paghi senza dire una parola. Tranquillo non è grave, sembra dire la farmacista, nel consegnare il collirio a quel cliente quasi depresso.
Di neonati e scarafaggi
Poi è nato vostro figlio. E lei ha detto che è bellissimo, con gli occhi lucidi dall'emozione, tu pure eri emozionato, ovviamente, ma brutto era brutto, lì ancora macchiato di sangue, con la pelle dal colore ancora violaceo, rugoso, gli occhi gonfi per il parto e il pianto liberatorio. Non hai detto che era brutto, per non rovinare il momento idilliaco, ma non hai detto neanche che fosse bellissimo. Hai annuito, convinto che l'emozione giustificasse anche la mancanza di parole. Eppoi pensavi a tante altre cose, alla salute, a lei, a lui, alle infermiere, al da farsi. Due giorni dopo era già bellissimo, non volevi staccargli gli occhi di dosso. Una settimana dopo era il più bello del mondo, non smettevi di mandare foto ai tuoi amici. Un mese dopo hai rivisto le foto di quando aveva due giorni, di quando aveva una settimana, e paragonandolo al bambino del presente sì, era più brutto. Quello del presente però era bellissimo. Hai mostrato la foto a tua moglie, di quando aveva tre o quattro giorni, sperando che ammettesse che sì, non era poi questo neonato bellissimo che gli occhi di genitori vedevano in quel momento. Era ancora bellissimo invece, per lei. Le hai ripetuto che giustamente, ogni scarafaggio è bello agli occhi di sua madre. Ti ha licenziato con un gesto un po' stizzito della mano ed è tornata alle sue faccende, mentre tu fissavi la foto sul cellulare continuando a ripetere che bisognava essere oggettivi, uscire dal ruolo di genitori e provare a vederlo con freddezza. Ieri hai proposto di portarlo a provini per pubblicità per bambini, perché a nove mesi è troppo bello, è il bambino più bello del mondo, convintissimo che non avrebbero mai potuto negarlo, rifiutarlo. Lei hai detto che forse esageravi un po'.
La cronoagenzia, linkata
Benvenuti al sud
Ogni volta che atterri all'aeroporto di Napoli e noleggi l'auto e parti verso il sud, attraversando terre dove la virilità dell'uomo tatuato si misura ancora in numero di sorpassi veloci a destra, dove clacson e fari alti diventano continui messaggi minacciosi di fretta e prepotenza in terza corsia nonostante la velocità già oltre il limite, dove la corsia d'emergenza è la scorciatoia di massa per evitare la coda dei fessi al semaforo, c'è sempre un pensiero che rimbalza tra consuetudini oramai assimilate e consapevolezze che non dovrebbero più trasformarsi in lamenti, non fosse altro che per la loro irriducibile periodicità e la certezza d'una ennesima e puntualissima conferma al prossimo viaggio; quando poi al parcheggio a l'autogrill spuntano dall'ombra personaggi leggendari come i venditori di calzini con fare tra amicizia e ovvietà, o quelli di accendini che non si fermano mai al primo rifiuto e continuano quasi dovessi invitarli per un caffè, quello stesso pensiero diventa prurito che sbuffa, tra un mezzo sorriso di sarcasmo e una testa che scuote una negazione riciclata; ma quando poi passi una prima rotonda con statua grande di Padre Pio ed il messaggio ai turisti sicuramente non internazionali "Benvenuti nel Cilento", e una seconda rotonda con vergine e bambino a ripeterti lo stesso messaggio in mosaico e colori, e ti lasci alle spalle una terza rotonda con Madonna su sfondo di spiaggia e sole a ribadire lo stesso benvenuto, fino a cinque rotonde, una per paese, un padre pio e quattro Marie, ognuna col suo sforzo d'apparire credibile, quasi fosse una competizione a chi riesce a beatificare di più il passaggio, a chi sottolinea di più la religiosità presunta della popolazione e la falsità negli usi e costumi, lasci che quel pensiero e quel prurito si esprimino e sintetizzino in qualcosa di più concreto, pensi davvero che un Benvenuti nel medioevo sarebbe più sincero e attrattivo, almeno certificherebbe consapevolezze ben radicate e allevierebbe aspettative malamente annaffiate di nostalgia.
L'educazione e le barbarie
Da "Il cervello infinito", Norman Doidge
L'educazione e il poker
"E il talento non è una qualità ereditata? La polemica tra eredità ed educazione è molto antica. È evidente che tutti i bambini nascono distinti, con caratteristiche differenti. Ma secondo l'opinione scientifica più ampiamente accettata, l'intelligenza dipende in parti uguali dall'eredità e dall'educazione. E ciò lascia aperto, in un bambino sano, molto spazio di gioco. Non tutti nascono ugualmente dotati, ma l'importante è che sviluppino al massimo le proprie capacità. Racconto spesso ai miei alunni più giovani che l'intelligenza umana somiglia molto al gioco del poker. Nella vita come nel gioco si distribuiscono carte che non possiamo scegliere a priori. Genetiche, sociali, economiche, in un caso; carte, nell'altro. In entrambi i casi ci son carte buone e carte inutili, ed indubbiamente meglio tener le buone e non le altre. Ma adesso arriviamo alla domanda importante: vince sempre chi aveva le carte migliori? No. Vince chi gioca meglio con quelle che ha. Ecco cosa possiamo fare attraverso l'educazione: insegnare a giocare bene."
Da "L'educazione del talento", José Antonio Marina