Es muss sein brussellese
Poi ti ritrovi ad attraversare il centro di notte, in bici, ed un'improvvisa sensazione di libertà spinge pedali e leggerezza mentre la città sembra accompagnarti in una palpabile complicità, sei vivo abbastanza, sei sereno, e non puoi che attribuire parte di quello stato d'animo a Bruxelles. Certo, avresti potuto avere la stessa sensazione pedalando in una qualsiasi città italiana, di notte, la stessa tranquillità e spensieratezza, ma non lo saprai mai perché, come scriveva Kundera, si vive una vita soltanto e non si può né confrontarla con le proprie vite precedenti né correggerla nelle vite future. E poco importa. Quando le macchine in fila s'incastrano in puzzle di traffico e luci, tu sfrecci euforico sulla destra e sorride al tuo passaggio la guardia notturna davanti all'ambasciata americana, sarà sicuramente annoiata in quella sua monotona veglia e un ragazzo che pedala innocuo a qualche metro rappresenta pur un attimo di compagnia a rompere silenzio e concentrazione. Eppoi eccola Bruxelles, non appena ti circondano musica da discoteca e dieci, venti, cento altri ragazzi in bicicletta, pattini e skateboard, ti ricordi che è venerdì e che c'è la roller parade: 6000 persone, dicono le statistiche, che si riuniscono ogni venerdì durante il periodo estivo a Bruxelles per attraversare mezza città e rompere disegni urbani di grigio e clacson, bloccando temporaneamente la circolazione accompagnati da poliziotti in bici, in pattini a rotelle, e c'è chi ci va con il cane, chi coi bambini, chi un po' brillo, mentre musica tecno tiene alto il ritmo e passanti si fermano curiosi, altri increduli. E capisci il perché del sorriso della guardia all'ambasciata americana. E il perché del traffico. Ed ecco come ci s'innamora di Bruxelles, città surreale che non finisce mai di stupire. Questa è Bruxelles, pensi. Non esattamente. Questa è la tua Bruxelles, ripensi. Non precisamente. Questa è la tua Bruxelles in questo preciso istante, in quest'umore e queste percezioni, concludi. Ce ne sono altre, altrove, in altri respiri e attraverso altri sguardi, e ce ne saranno altre mille tra appena due minuti, sono già passate, le hai perse, ce ne saranno altre, diverse. Ma poco importa. La tua, per il momento, va benissimo così.
Prodotti tipici
"nemmeno la macchinetta per il caffè, cioè lo strumento di produzione, è di casa nostra. I prodotti nascono da una collaborazione internazionale. Che ci piaccia o no. L’importante è saperlo, ci vogliono nuove regole, è certo, ma tant’è, meglio conoscere la fisiologia della filiera perché spesso è la nostra ignoranza della fisiologia a produrre il danno. Metti la pizza. È in corso di registrazione la dizione: specialità tradizionale garantita (pizza napoletana STG). Questa etichettatura avrà un vantaggio economico? Davvero il prodotto certificato è realizzato con materia locale? Ma veramente? Per ottenere la pizza napoletana (che sia STG o meno) di così eccellenti qualità, è necessario impiegare la farina Manitoba, ottenuta da grani selezionati dall’antica cultivar canadese Manitoba. Ciò significa che per ogni pizza paghiamo le royalties ai selezionatori di quel grano. Il pomodoro Pachino? Stessa cosa, le tre varietà di ciliegino più in uso, Piccadilly, Shiren e Titì, sono selezionate dalla ditta israeliana Hazera. Sono buoni perché gli israeliani investono nella moka da 12 anni, cioè fanno un’ottima ricerca e poi ci vendono semi, mica solo a noi, a tutto il mondo."
Et voila. Nell'era della globalizzazione, neanche la pizza, quella autentica, sfugge a certi giochi, anzi ne dipende. E pensare che c'è chi, all'estero, disgustando piatti stranieri, spesso decanta a gran voce i sapori del bel paese, autentici, unici, inimitabili, perdendosi tra un po' di patriottismo spicciolo e inciampando maldestro in trappole d'ingenua ignoranza.
Una cartolina un po' falsata
A Ballarò ieri sera si cercava giustamente di mostrare che all'estero c'è più trasparenza e in effetti visti gli ultimi risvolti non è difficile far meglio, però bisogna giusto puntualizzare che: la candidata italiana del video che dice di non voler comprare voti altrui nemmeno con un cornetto, poi le coincidenze, ti lascia una sua lettera nella casella della posta con un messaggio a penna sulla busta in cui dice d'essere passata, d'aver suonato e non averti trovato, perché - dice - si voleva presentare (ma a casa no, quelli sono i testimoni di Geova); se dicessimo a un belga che i trasporti funzionano bene, potremmo rischiare di farlo morire dalle risate; la signora alla fine non dice che se non andasse a votare, prenderebbe una bella multa, perché qui è obbligatorio. No, giusto per chiarire, che non pensino in Italia che a Bruxelles vivano un milione di "Mario Monti".
Una squadra fortissimi
Ma dopo gli ultimi ennesimi scandali di corruzione, dalla Lega Nord a Formigoni, da Fiorito a tutta la Regione Lazio per non elencarne altri ancora e senza dimenticare che sui giornali non finisce l'operato giornaliero di chi non è casta ma pur la partorisce senza tregua, nell'Indice Internazionale della Percezione della Corruzione è chiaro che quest'anno l'Italia è veramente pronta per il salto di qualità! Se l'anno scorso era tra i primi paesi in Europa in quanto a corruzione e appena sopra Romania e Tunisia, quest'anno con tutto questo impegno si possono anche superare Colombia e Marrocco, secondo me ce la può fare, sarebbe un giusto traguardo dopo tutti questi sforzi, altro che la finale inaspettata di Prandelli o medaglieri olimpici dorati, questo è l'anno buono per scavalcare addirittura lo Zambia e il Messico e suggellare una qualità oramai indiscutibile del vero sport nazionale, basta soltanto mantenere lo stesso ritmo fino a fine anno, tenere alta la concentrazione e sono sicuro che la conferma arriverà, già le vedo le bandiere tricolore appese ai balconi e le nuove generazioni pronte a mantenere alta la tradizione non più correndo estasiati al Circo Massimo per accogliere il pulman dei vincitori ma restando comodamente al bar o al più guardando i campioni nazionali invitati a Ballarò e ridere mentre Crozza li deride.
Poi c'è pure chi ha il coraggio di dire che non è un paese talentuoso, mah.
Poi c'è pure chi ha il coraggio di dire che non è un paese talentuoso, mah.
Perdutamente straniero
Ma senti un po', cara lingua, che sulla punta nascondi sinonimi intimiditi però ancora non dimenticati, bisognerebbe far qualcosa se quando mio fratello mi chiama al telefono io ho quella cosa, la gola, che mi fa male, un po', poi con sorpresa non riesco a dirlo, non ricordo come si dice, gola, in italiano, c'è l'ho lì, proprio sulla punta, della lingua, ma non vien fuori, in nessun modo, all'improvviso ho come perso quella parola così basilare dal mio vocabolario in espansione disordinata, salta fuori gorge, ma non è quella giusta, lo so, vorrei dirgli garganta, ma non mi capirebbe, e tu non m'aiuti, cara lingua, neanche con throat, disgraziata, mentre mio fratello è lì al telefono che cerca di capire, che s'inizia magari a preoccupare, cosa sarà mai questa cosa che mi fa male, tu lingua ti muovi invano e non vomiti quella maledetta parola, fino a costringermi a dire con rinunciataria vergogna "quella cosa che c'è nel collo" e giustamente mio fratello sorpreso però turbato risponde "ma tu all'estero stai diventando scemo?". Un po', forse. E succede poi con l'amico una sera a Bruxelles, volevo dirgli che c'era quell'altro che secondo me è alquanto addicted a una cosa e non sapevo dirlo, in italiano, addicted, perché dovevo addirittura tradurlo da una lingua straniera, perché tu non m'aiutavi, lingua, torcendoti in movimenti impacciati però continui, mentre un joder e un putain rompono in esclamazioni e perdo un poquito di tempo a trovare parole una volta ordinarie, adesso rallentate da affollamenti linguistici in equilibri precari. Sarà forse questo, l'essere europei, sembrare un po' dislessici però ubriachi, non parlar bene nessuna lingua nuova per ovvie necessità di tempo e sforzi e perdere la fluenza di quella natia per mancanza di pratica e dintorni, rimanere in un limbo di rallentamenti vocali e sorprendersi per un sinonimo lasciato fuori, quando si preparava la valigia delle necessità e s'imbottiva il bagaglio vorace di vocaboli necessari, perdendone altri sul percorso a ostacoli però stimolanti. Forse s'accumulano lì, sulla tua punta sempre più affollata, parole in cerca di memorie, in attesa d'una chiamata liberatoria, per il semplice piacere di ritrovarsi tra le vibrazioni della laringe e con la speranza di cadere in frasi grammaticalmente corrette mentre un sorso in più di birra le stimola ad amplessi promiscui dalle dubbie generazioni e tra un meeting, un corso serale e un bacio dall'accento lontano tu, lingua, m'accompagnerai nel diventar a passi straniero. E cioè un po' strano per la perdita di quel che ero.
L'equivoco stravagante
- Insomma è una vergogna, non se ne può più, siamo sempre lì, certi personaggi rischiano di diventare anche dei miti per le nuove generazioni, sono lì chiaramente senza meriti, uno schiaffo alla meritocrazia che in questo paese diventa sempre più un miraggio, ad occupare un posto senza rispettare le responsabilità che ne derivano, lì su tutti i giornali nostrani ma anche su quelli stranieri, a ricordarci quanto di più brutto dobbiamo ancora subire del ventennio berlusconiano. E questo sarebbe il nuovo che avanza? E' tutta distrazione, distrazione di massa, tutti a occuparsi dei titoloni che genera, delle ultime foto, gli incontri, le apparizioni, creando un personaggio per vendere e per rincoglionirci e noi lì a leggere, a comprare, a parlarne, mentre i veri problemi son ben altri, ma no, cadiamo in questi tranelli mediatici spinti dai giornali e lasciati passare da quegli ignavi dell'opposizione, per l'ennesimo hashtag su twitter e le parodie virali su facebook, basta, non se ne può più, dobbiamo uscirne, ma come?
- Bravo, anch'io ho pensato lo stesso dove aver visto le foto della sfilata della Minetti!
- No ma.. io veramente parlavo di Monti.
- Bravo, anch'io ho pensato lo stesso dove aver visto le foto della sfilata della Minetti!
- No ma.. io veramente parlavo di Monti.
Rien à voler
Niente da rubare. Foto scattata qui, nel punto di ritrovo del nostro gruppo Gasap. Intanto si torna a parlare di criminalità a Bruxelles, con un aumento del 14% di infrazioni registrate dal 2010 al 2011, a ridosso delle prossime elezioni comunali. |
Fiorito, Michele Serra e Benigni
Tutti qui, in un video (che ho rubato), dopo l'amaca tanto criticata però tanto osannata di Michele Serra sul personaggio del momento, Fiorito, questo video calza a pennello, ricordando anche le sviolinate esagerate di Benigni che non fanno che contribuire a quell'autocelebrazione esasperata di una parte del passato, dimenticando tutto il resto.
La stanza
Quando muoveva gli occhi, nella stanza, si guardava intorno, parlava ed interagiva con gli altri, non se ne rendeva conto, era tutto normale, naturale per loro, lì da tante ore. C'era un sole luminoso fuori che tagliava qualche pennellata di nube mentre la finestra ne rifletteva una parte sul muro. Faceva caldo, si stava bene. Poi, dovendo rispondere ad una telefonata, uscì dalla stanza per qualche minuto. Attraversò il corridoio stretto che portava all'atrio dove c'era una finestra aperta e non appena l'aria stimolò il respiro a riempire polmoni e sangue d'ossigeno fresco, ecco che subito ebbe un sollievo intenso, come alzarsi da terra per qualche secondo, come viaggiare. Quando poi rientrò nella stanza, nell'instante in cui aprì la porta richiamando l'attenzione degli altri, un odore fortissimo s'impadronì dei suoi sensi. Quella stanza puzzava. Quella stanza puzzava, ma fino a qualche minuto addietro era seduto lì, senza saperlo, senza rendersene conto. Quella stanza puzzava, e tutti gli altri non lo sapevano, non potevano capirlo. Quella stanza puzzava e non ci fu modo di farlo capire agli altri, lo guardavano in modo strano, quasi li stesse offendendo, consigliò invano di aprire la finestra, di respirare aria nuova e intanto tratteneva il fiato, non riusciva più a respirare nella stanza né voleva abituarsi nuovamente a quell'aria allora ostile. Eppure qualche minuto addietro era stata la sua aria, ci respirava, parlava, interagiva, rideva, era anche la sua stanza. Ci stava bene. Allora uscì di nuovo dalla stanza, inevitabilmente. Alle sue spalle qualcuno si sentì offeso, qualcun altro disse che era strano, molti non capirono. Chiuse la porta e andò via. Sulla porta c'era scritto "patria", lui lesse "Italia" scuotendo il capo, con ancora un rigurgito amaro di quell'odore stagnante in gola, ma anche con tanta voglia di respirare aria nuova.
Prossimamente, a Bruxelles
Insieme ad un amico, io il mezzo braccio, lui la mente generatrice, si è deciso di ripetere un esperimento ben riuscito in Olanda e vedere di nascosto l'effetto che farà. Per parlare di narrativa e non solo, ci si organizza qui per riunirsi intorno a un tavolo, prossimamente, a Bruxelles. Non siate timidi.
A me gli occhi
Ma carissimo collega che dici di non essere impegnato mentendo spudoratamente per infinita gentilezza o chissà per leggerezza macchiata d'incuranza sottile, se quando ti parlo continui a fissare ipnotizzato il tuo schermo opaco alla ricerca del senso di una vita insipida o intento a risolvere un qualche problema che ti affligge probabilmente da ore e contemporaneamente emetti monosillabi preistorici tentando invano di apparire concentrato anche sulle mie parole, dovresti saperlo che così facendo stai utilizzando in modo del tutto sbagliato la tua e la mia risorsa tempo, stimolandomi a mandarti una presentazione power-point fatta ad-hoc da fissare la prossima volta, una cosa semplice, una slide e pochi punti per sapere che 1. così facendo non troverai la soluzione al tuo problema perché nel frattempo ci sono io che disturbo la tua concentrazione 2. così facendo non risponderai correttamente alla mia domanda perché non mi stai ascoltando pienamente e c'è il tuo problema che disturba 3. stiamo perdendo tempo entrambi nei nostri monologhi paralleli quando basterebbe soltanto un po' di cooperazione spicciola 4. non sarei costretto a ripetere n volte lo stesso identico concetto quasi fosse la dimostrazione del teorema di Pitagora da te trasformata in quella dell'ultimo teorema di Fermat 5. quando qualcuno ti parla, in generale, non guardare altrove per un principio minimo d'educazione che sta tra il rispetto e l'empatia. Poi, sempre in quella slide fatta ad-hoc, ci sarebbe anche un altro punto, magari listato alla fine, meno importante forse perché rappresenta un vantaggio opinabile o una trascurabile consapevolezza, ma degno di nota nelle nostre interazioni quotidiane ahimè necessarie, 6. mi staresti anche meno sulle balle.
Cose da vedere, assolutamente
L'accento inglese è comprensibilissimo, ma nel caso si possono attivare i sottotitoli in italiano. Sono 18 minuti spesi davvero bene, fidatevi.
Pronto per l'Europa?
Quindi, mentre la Commissione Europea pubblicizza dal suo canale Youtube il continente delle meraviglie, perché nonostante la crisi e l'austerità non bisogna dimenticare cosa ci circonda...
...i neo-nazisti in Grecia, sempre durante quella crisi e spinti da quell'austerità, diventano la terza forza politica del paese e, quando incontrano degli immigrati non in regola, succedono di queste scene:
I turisti saranno sicuramente pronti per l'Europa, soprattutto dopo aver visto il primo video. Ma gli altri?
Dicono che il Belgio sia un'illusione
Ritorna il tema della scissione e addirittura del piano B di separazione mai scartato, a quanto pare, tra una battuta un po' infelice un po' provocatoria del Presidente della Regione di Bruxelles. Siamo sempre alla non nazione, al paese del surrealismo, ma ci piace anche per questo. Ecco come commenta la dichiarazione del giorno un blogger belga:
Il Belgio è un'illusione. E' quello che avrebbe dichiarato il Ministro-Presidente della Regione di Bruxelles questa mattina. Ed è vero. Quando si arriva all'aeroporto, non c'è scritto da nessuna parte che siamo in Belgio. Siamo in "Vallonia", nelle "Fiandre" o a "Bruxelles", ma non in Belgio. E non è prendendo la navetta verso Schuman che la questione si risolve. Lì si ascoltano tutte le lingue d'Europa. Difficile dire dove siamo esattamente. Capita lo stesso alla frontiera francese. A parte un piccolo pannello e lo stato dell'autostrada che degrada all'improvviso, niente indica che si è in Belgio. Eppure, il Belgio esiste, qualche volta. Appare in un lampo e scompare con la stessa rapidità. Ci sono degli instanti belgi, furtivi, come delle stelle cadenti. I diavoli rossi (la nazionale di calcio belga) vincono una partita. Un autobus s'incendia in un tunnel. Delle richiamate all'ordine, felici o meno, e siamo tutti belgi. Ma è qualcosa che non dura mai a lungo. E' questo il Belgio? No, deve essere un'illusione. In fondo, Charles Picqué ha appena inventato probabilmente il miglior slogan di marketing per il paese: il Belgio è un'illusione. Non avevamo trovato nulla di meglio dal "Il Belgio evapora", un invito per i turisti del mondo intero a venire a visitare un'ultima volta, prima che non sia troppo tardi, questo paese immaginario.
Il Belgio è un'illusione. E' quello che avrebbe dichiarato il Ministro-Presidente della Regione di Bruxelles questa mattina. Ed è vero. Quando si arriva all'aeroporto, non c'è scritto da nessuna parte che siamo in Belgio. Siamo in "Vallonia", nelle "Fiandre" o a "Bruxelles", ma non in Belgio. E non è prendendo la navetta verso Schuman che la questione si risolve. Lì si ascoltano tutte le lingue d'Europa. Difficile dire dove siamo esattamente. Capita lo stesso alla frontiera francese. A parte un piccolo pannello e lo stato dell'autostrada che degrada all'improvviso, niente indica che si è in Belgio. Eppure, il Belgio esiste, qualche volta. Appare in un lampo e scompare con la stessa rapidità. Ci sono degli instanti belgi, furtivi, come delle stelle cadenti. I diavoli rossi (la nazionale di calcio belga) vincono una partita. Un autobus s'incendia in un tunnel. Delle richiamate all'ordine, felici o meno, e siamo tutti belgi. Ma è qualcosa che non dura mai a lungo. E' questo il Belgio? No, deve essere un'illusione. In fondo, Charles Picqué ha appena inventato probabilmente il miglior slogan di marketing per il paese: il Belgio è un'illusione. Non avevamo trovato nulla di meglio dal "Il Belgio evapora", un invito per i turisti del mondo intero a venire a visitare un'ultima volta, prima che non sia troppo tardi, questo paese immaginario.
Della vita degli altri, poi tua
E ti ricordi del primo giorno al corso di francese, qui a Bruxelles, tre anni fa, quando la prof entrava nella classe un po' in attesa con quell'aria professionale però materna iniziando a parlare soltanto in francese come fosse qualcosa di naturale per gli studenti invece già in un panico leggero però constante. Ricordi che qualche nozione degli appunti delle medie risaliva come rigurgito spontaneo e riuscivi a capire qualcosa di sensato mentre la prof parlava un po' balbettando cercando di scandire dittonghi e parole quando il suo francese da riforma accademica si diffondeva tra occhi stanchi d'ufficio e sbadigli camuffati da pruriti. Certo l'essere italiano ti aiutava indubbiamente a carpire almeno il senso di alcune frasi a rilento e non dovevi collezionare rifiuti categorici come chi chiedeva anche qualcosa di semplicissimo in inglese e non dovevi incassare rimproveri puntuali come chi provava a rispondere, ancora, in inglese, mentre il ragazzo cinese era perso, lì, nella lingua di Maupassant e tra l'accento di Edith Piaf, il ragazzo cinese non poteva in alcun modo costruire relazioni con la propria lingua lontana né trovare connessioni tra musicalità ondulante e costrutti latini. Perso, il ragazzo cinese era lì tentando di imparare qualcosa a memoria, annotando con cura anche gli ordini più banali e lottando con le proprie corde vocali per una pronuncia difficilmente comprensibile mentre tu l'osservavi con una smorfia dispiaciuta che però grondava del compiacimento di non essere in quelle condizioni di smarrimento, trasformando sofferenze altrui in sostegni precari per umori altrimenti meno allegri. Poi, oggi, sei andato alla prima lezione del corso d'olandese. E il ragazzo cinese eri tu.
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