Tornare a casa lasciando al corpo intraprendere il cammino memorizzato,
fatto di scale, attese e d'incroci, però mai monotoni, però a volte
effimeri, mentre la mente si perde un po' stanca tra labirinti di
pensieri sospesi, fatti di cose da fare, promesse da ricordare e persone
da chiamare. Le mascelle meccaniche degli ingranaggi della metro
macinano chilometri e fermate, appesantite dal carico umano, inevitabilmente
ignare di quello cerebrale. Sulle facce della gente, lì, nel vagone
della metro, ci sono umori che non porterai a cena; all'apertura delle
porte automatiche e prim'ancora del grido stridulo della sirena a
ricordarne la chiusura, ne avrai già dimenticati la metà; al primo passo
sulle scale semivuote, mentre quasi tutti si affollano però pigri su
quelle mobili, l'altra metà avrà già cambiato espressione. E quasi
sempre c'è chi, quando la sirena ha già gridato una prima volta e la
luce rossa sbattuta la sua palpebra lampeggiante, ripetutamente, corre
verso la piattaforma già quasi svuotata, nella speranza di riuscire a
prendere la metro, all'ultimo secondo, poco prima dell'ultimo stridulo,
per non aspettare la successiva. C'è sempre fretta e la porta del vagone
spesso diventa il traguardo olimpionico di staffette quotidiane per
ricevere affannati dosi innaturali d'adrenalina urbana. E quasi sempre
chi corre ti sfiora, mentre tu sali lento, scalando il tuo percorso
abituale, contro la fretta della discesa, l'ansia d'una mancata
coincidenza, mentre sullo sfondo segnali elettrici lanciano acuti
penetranti a richiamare all'ennesima partenza. E ti fermi. Ti volti.
In
traduzioni spesso equivoche di sviluppate empatie metropolitane, se chi
corre in smorfie smorzate riesce poi ad entrare in tempo nel serpente
sporco fatto di ferro e rumori, allora sorriderai, compiaciuto, come se
parte di quell'impresa ma soprattutto della soddisfazione derivata
possano in qualche modo trasmettere una parte della serenità acquisita,
anche a te, spettatore non pagante, perché ne conosci la piccola gratificazione, hai già sperimentato corsa e traguardo, quei frammenti di felicità ritagliati nel complicato paesaggio cittadino, quando magari si riesce ad entrare nella metro con un salto energetico e vincere per qualche millisecondo guadagnato; ne conosci soprattutto la delusione, il mancato epilogo, l'umore di chi dovrà aspettare la prossima metro, solo, nel rimorso di uno slancio mancato. E quel sorriso ti accompagnerà, per
qualche manciata di secondi, forse due scalini calpestati. Se invece chi
corre fallirà, dopo averti quasi sfiorato sulle scale, dopo aver sudato in una lotta di secondi contro la sirena ed i suoi meccanismi di chiusura automatica, allora tornerai a voltarti, riprenderai la tua destinazione, in una smorfia d'indifferente fatalità. Cazzi suoi.
2 commenti:
Quando leggo dei pezzi così belli, vorrei sempre lasciare un commento per dirti quanto li trovo ispirati, ma non so mai cosa scrivere, e alla fine non lo faccio mai.
Ma siccome mi dispiace che qua sotto ancora non ci sia nessun commento, o complimento, stavolta scrivo, e te lo dico così, semplicemente: bellissimo!
@Chele
ma grazie :) per le parole e la solidarietà
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