Ma caro ragazzo italiano che non posso far a meno di ascoltare, quando l'orecchio si sintonizza inevitabilmente su suoni che riconosce distinti, linguaggi che sa decifrare pur tra il rumore accentato della metro brussellese, te ne potrei fare una colpa del fatto che hai prontamente nominato La grande bellezza all'amico o conoscente straniero che pur si destreggiava in un italiano altalenante, mentre lui ti voleva invece parlare di 12 anni schiavo e tu non conoscevi il film né sapevi che faceva parte della famosa notte degli oscar, e relative premiazioni quindi; te ne potrei fare una colpa per quel sorriso da orgasmo repentino quando hai nominato La grande bellezza richiamando vittorie adolescenziali di chi ce l'ha più lungo nei bagni della scuola, solo perché quel film ha un nesso con te per semplici appartenenze nazionali ed ecco che automaticamente te ne fai ambasciatore, mentre l'amico o conoscente voleva in realtà parlare d'altro, ignorando lunghezze ostentate e doti inappropriate; te ne potrei fare una colpa, caro ragazzo italiano nella metro di Bruxelles, per quel sorriso da vantaggio acquisito al nominare il titolo di un film, come se ne avessi partecipato alla realizzazione, quasi se adesso, per magia, comparisse tra i tuoi segni particolari sulla carta d'identità, ma solo per qualche giorno, il tempo di vantarsene, il tempo di dimenticarsene, il tempo di ripescarlo alla prossima occasione e presentarlo sul banco di conversazioni doganali in cerca di bandiere da ostentare; e te ne potrei pure fare una colpa perché non conoscendo invece gli altri film, anzi proprio quelli che han ricevuto più premiazioni, confermeresti quell'atteggiamento tipico di chi filtra soltanto i dettagli che ne possono aumentare prestigio e ignora il resto, il contesto, gli atri, confermeresti quella gloria dei monumenti più belli del mondo che però non si son mai visitati, stan lì, vicino casa, son bellissimi, ma si lasciano ai turisti, o al degrado, o quell'altro del cibo più buono del mondo, tacciando il diverso per inferiore, inconfutabilmente.
Ecco, caro ragazzo italiano, non te ne posso fare una colpa però, perché sarebbero soltanto supposizioni personali o giochi di parole di chi vuole in realtà arrivare ad una conclusione ben precisa con il pretesto di una leva occasionale, come si fa spesso sulla rete come al bar, o in salotti di scimmie urlanti a riempire palinsesti televisivi; ma soprattutto non te ne posso fare una colpa perché quel sorriso, quell'emozione improvvisa per un proclamo illegittimo non è altro che una delle tante espressioni della patria che è in te, fatta spesso di superlativi assoluti e reazioni istintive, che all'estero più che mai ha il bisogno d'eiaculazioni celebrali appena sente odor di confronto, conflitto, identificazioni e orgogli improvvisi quanto fragili. Avrei voluto dirtelo però, che vivendo altrove un giorno - magari - ne avrai la consapevolezza, di quella patria che è in te, e tutto ti apparirà esattamente come quella scena, tra imbarazzante e simpatico, un po' ridicolo però spontaneo, quella scena dei ragazzini a misurarsi il pistolino nei bagni della scuola.
1 commento:
Che poi "12 anni schiavo", secondo me, ce l'ha più lungo.
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