Per colpa di pochi
Di tutte le conclusioni che cadono come sipario su conversazioni altrimenti infinite ma comunque dal sapore abbastanza insipido però innegabilmente necessarie, quel per colpa di pochi quando si parla di trattative con ultras, di disordini fuori dallo stadio, di calcio che muore per l'ennesima volta, di poliziotti uccisi durante scontri con manifestanti, di ragazzi uccisi durante arresti serali e quant'altro popola il panorama di titoloni ricorrenti, perché è isolato il caso ma non il tipo d'evento, pane per dibattiti televisivi inconcludenti, è spesso un gran colpo di spazzola, quel per colpa di pochi lava via ogni colpa, prende le distanze facilmente, santifica parenti e amici, puntando il dito sugli altri, sempre gli altri, ma pochi degli altri, perché per colpa di pochi la pagano tutti, ma tutti (o comunque non pochi) aiutano a creare una certa cultura, modi di fare, quelle abitudini, quel terreno (sociale, politico, storico, antropologico, alieno) dove certi personaggi crescono (o prendono la coscienza di poter fare certe cose, diventano, supportano, imitano, esplodono) o certe cose succedono (su diverse scale, con diversi attori e conseguenze, ma connesse da quell'humus nazionale). E diventa come un già, quel per colpa di pochi, di quei già che si spargono un po' ovunque come il sale, quando non si sa che dire, quando non si vuol continuare, quando lo si preferisce al silenzio. Sarebbe più onesto (ma non più produttivo) concludere invece con un e questo vogliamo, più collettivo e responsabile, meno vittimista e distante, soprattutto quando i casi non sono isolati, perché i pochi e i tutti non son completamente scissi e s'influenzano a vicenda nelle interconnessioni del terreno condiviso, concimato, arricchito, contaminato. E sì che il passo alla generalizzazione, maledetta, è veramente breve, una trappola a portata di parole, ma ridurre il tutto alla colpa di pochi che danneggiato tutti, beh non basta né aiuta. E non cambia quell'humus già ben impregnato.
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