Cento mani al giorno

La pioggia sottile e continua copre i tetti delle case di Bruxelles da qualche giorno ormai, il sole timido e lontano si cela dietro qualche nube grigiastra mentre l'asfalto si sporca di pozzanghere e passi, gente che corre al lavoro, si incastra nel vagone della metro proprio quando il suono stridulo a singhiozzi annuncia la nuova imminente partenza e c'è sempre qualcuno che corre tentando di entrare all'ultimo istante o fissando il mancato aggancio un po' amareggiato, se solo avesse aumentato il passo lungo le scale mobili, se solo quella coppia non si fosse fermata per un bacio ostacolando il passaggio.. ma in fondo un bacio e' solo un bacio. Poi tra le fermate che portano agli uffici della Commissione Europea, ecco che si svuota il vagone, in fila disordinata la gente si accalca nella fretta d'uscire e raggiungere la propria scrivania, in una dipendenza innaturale al lavoro che non nobilita ma schiavizza necessariamente, lentamente. Adesso c'è più posto, anche per pensare, senza il fastidio di sentirsi in trappola, non più schiacciato dallo zaino enorme di qualcuno o appeso al palo per non capitombolare addosso ad altri; e c'è più spazio anche per la donna dal francese lento che chiede elemosina mentre gli sguardi di tutti si voltano disprezzanti, occhi al pavimento a guardare una macchia che d'improvviso non ha più privacy, chi a leggere l'articolo del metro scartato senza interesse qualche minuto prima, chi tossisce o si avvicina al portellone pur di non incrociare la vista della pietà.

E poi di nuovo la pioggia, ma non c'è tempo per aprir l'ombrello, a breve si e' già coperti dall'entrata larga degli uffici, l'ascensore ti inghiotte e ti porta al sesto piano ed inizia subito il gioco delle cento mani. Ad ogni incontro, anche sconosciuto, un bon jour e poi la mano e forse la mano già si muoveva prim'ancora di produrre suono e poi di nuovo e ancora, il corridoio non e' mai troppo corto, c'è sempre qualcuno che spunta da una porta, qualcuno che attende una copia alla stampante e allora c'è il saluto e la mano meccanica, d'abitudine, tradizione, educazione. Come un rito infrangibile, anche nell'ufficio alle sette scrivanie c'è il passeggio delle mani, una per ogni schermo, sette mani ogni mattina più le altre inevitabili. C'è addirittura chi viene da lontano, per salutare tutto il piano, entra ed esce da ogni stanza, come ape laboriosa a trasportare malattie di mano in mano, e poi scompare per il resto della giornata, fiero d'aver compiuto il suo dovere nel gioco delle mani. E allora lo prepari, il sorriso per ogni mano, sempre lo stesso, d'accordo con gli occhi, tutto il viso in un sol gesto, grande orchestra in due secondi, perché non ti puoi tirare indietro, non puoi mancare di rispetto, se questo e' l'uso dell'azienda, se qui in Belgio dan sempre la mano, devi rassegnarti al loro gioco, le regole son chiare e la mano e' sempre tesa, certo almeno in bagno dico bon jour e' passo lesto.

3 commenti:

FrancescoA ha detto...

molto bello...

vorrei tanto che ritornassimo a rapporti "genuini", non deformati dal lavoro, dall'interesse, dal denaro...

S t E ha detto...

"la mano è sempre tesa"
Oggi abbiamo una frase in comune nei nostri post :)
(il mio lo pubblico stasera)

Zax (Andrea) ha detto...

non so perchè, ma questo post mi ha fatto ricordare il "politico sempre teso" di Carlo Verdone !

Andrea