Belgio e burqa: pretese di diritti che si scontrano

Recentemente Belgio e burqa han creato più di un titolo sui giornali internazionali per una questione sicuramente delicata in cui si scontrano diritti che, a quanto pare, possono sembrar ragionevoli da ogni parte. Un mesetto fa una ragazza belga, Samia, ha inviato una lettera al principale quotidiano belga, Le Soir, per raccontare la sua esperienza personale in relazione al burqa e condividere le sue considerazione in materia di diritti della persona e libertà di scelte. Ve ne traduco di seguito alcune parti interessanti:

"Non sono né una teologa né una attivista. Sono una cittadina belga nata in Belgio 30 anni fa. Mia madre, belga, e il mio patrigno sono stati istruiti secondo principi atei. Solo dopo un percorso personale ho scelto di diventare musulmana. Da undici anni indosso un abito che nasconde il mio corpo ed il viso tranne gli occhi. È una scelta personale. Non lo considero un obbligo, ma come un tributo alla espressione della mia fede. [...]
Io non chiedo a nessuno di aderire alla scelta che ho fatto, chiedo soltanto di rispettarla, semplicemente.
[...] Ci sono circostanze in cui mostrare la mia faccia sembra del tutto logico e normale, come quando occorre aggiornare la carta di identità o quando passo le frontiere, ecc. Si tratta di una questione di buon senso. Io non mi considero diversa per il sol fatto di indossare il velo. Tuttavia, non capisco come ciò possa comportare restrizioni alla mia libertà. [...] E' con dolore e tristezza che prendo atto della disparità di risorse e di tempo e lo sforzo fatto per limitare le libertà individuali ed i diritti fondamentali, soprattutto quanto ci si riferisce ad un numero molto limitato di persone. Questo avviene in un momento in cui la maggioranza dei nostri cittadini deve affrontare difficoltà e problemi di ben più ampie dimensioni."

I diritti reclamati da Samia sono gli stessi che hanno poi spinto Human Rights Watch ad alzare la voce non appena il parlamento belga qualche giorno fa ha approvato all'unanimità (un vero e proprio plebiscito direi: 136 voti favorevoli, 2 astenuti, 0 contrari) il divieto di circolare in spazi pubblici con il volto coperto o mascherato con qualsiasi capo d'abbigliamento che non renda identificabili, da cui ovviamente ne deriva il divieto di burqa e niqāb. Dal canto loro, i politici rilanciano la campagna per i diritti delle donne, perché il burqa rappresenta un controllo inaccettabile della sessualità e della propria identità, orgogliosi di lanciarsi a prima nazione in Europa ad approvare un tale cambiamento. Diritti che si scontrano con i diritti di religione e libertà d'espressione secondo Amnesty International. Insomma, chi ha ragione? Burqa si' o burqa no?

Le preoccupazioni sulla sicurezza negli ambienti pubblici potrebbero sembrare ragionevoli almeno per giustificare l'esistenza dei tanti sistemi di sorveglianza presenti nella metro, poste, banche, bancomat ed in tanti altri luoghi di vita quotidiana, il cui scopo verrebbe enormemente compromesso non potendo identificare un individuo (e con un casco da motociclista o un burqa risulterebbe molto difficile); e come afferma un opinionista del NYT, siamo liberi fin tanto che siamo individui responsabili che possono essere accusati (leggi, identificati) per le proprie azioni davanti ai nostri simili. Tutto il polverone però sembra esagerato a molti, per via dei problemi ben più gravi cui la nazione deve rispondere e considerando le statistiche inesistenti di reati legati al burqa e addirittura la presenza di tali pratiche in Belgio: in un anno a Bruxelles avrò visto non più di 5 donne con il burqa in giro per il centro (certo, non posso assicurare che siano state sempre diverse, per ovvi motivi, ma sicuramente la loro frequenza è più elevata in altre zone della città); la BBC addirittura stima che non siamo più di 30 le donne che indossino il burqa in tutto il Belgio. Quindi un provvedimento del tutto simbolico? In nome dei diritti delle donne? O di una incombente necessità di sicurezza? Paura di un'Eurabia o tentativo di accaparrarsi i consensi più estremisti?

Di tutto e di niente. Se davvero è cosi' ristretto il numero di burqa, sarebbe stato più sensato creare servizi sociali, di integrazione, di supporto, addirittura di dialoghi individuali nel nome dei diritti della donna, non di certo il proibizionismo che non risolve affatto la questione, anzi ne crea un'altra: la ghettizzazione. Pensare che quelle donne d'improvviso cambino idea e si adattino alla gente è alquanto sciocco; la conseguenza immediata è vederle relegate in casa. Se davvero il tasso di criminalità è cosi' alto da giustificare un provvedimento del genere, non si risolve molto con questo divieto ne' si colpiscono alcune tipologie ben determinate di crimini. Se si voleva rubare l'esclusiva europea di una tale norma ai cugini francesi (che dal 2004 già lo vietano in tutte le scuole pubbliche), sarebbe stato meglio provarci in condizioni di governo normali e non nel bel mezzo dell'ennesima crisi di identità.
Intanto la polemica continua ed i diritti diametralmente opposti difficilmente troveranno punti d'incontro.

11 commenti:

orma ha detto...

Non credo che l'occidente si possa permettere di parlare di diritti delle donne, visto come sono trattate. Anche spogliarsi è un burqa, perchè imposto per cultura (purtroppo televisiva, ma è quella dominante).
Non credo nemmeno che il burqa sia indossato per libera scelta.
Purtroppo la liberazione non passa mai per divieti.
Il burqa non mi piace, ma non mi piace nemmeno il nudo che si vede in giro. I divieti spesso producono delle fratture e non permettono il dialogo e nemmeno capire quanta strada ci sia ancora da fare in tema di diritti delle donne, anche per le "libere" occidentali.

andima ha detto...

@orma
nella lettera che ho riportato la donna afferma di indossare il burqa per scelta, ma sono sicuramente eccezioni, sono d'accordo, era pero' importante capire di quali diritti di scelta si parlava nello scontro tra le varie pretese di diritti. Il burqa e' imposto di fronte a chiunque non sia un proprio mahram (marito, zio, cugino, etc.) al fine di coprire quello che viene definito come una tentazione al peccato: il corpo femminile. Gli stessi mahram finirebbero col costringere le donne a rimanere in casa davanti a un simile divieto, quindi il divieto non risolve il problema ma lo nasconde, anzi se vogliamo lo peggiora.
Il burqa non piace neanche a me, sia chiaro, ma se davvero (e non so come la BBC abbia stimato quel numero, ma sicuramente un dato pubblicato da loro e' molto più affidabile della mia percezione) son solo 30 in tutto il Belgio le donne che lo indossano, allora non capisco la norma ad personam, visto che si sarebbero potute applicare tante altre soluzioni se davvero si operava nel nome dei diritti delle donne.

Mi e' piaciuto il tuo intervento nel sottolineare che anche la nudità commerciale e ostentata dai media e' una perdita di diritto, purtroppo spesso non ce ne accorgiamo, vittime inconsapevoli della videocrazia moderna. Ma forse e' un tantino eccessivo definire che anche spogliarsi e' un burqa, non credi?

orma ha detto...

Forse...
Il burqa nasconde e fa sì che ogni donna sia uguale all'altra, nessuna distinzione e nessuna personalità, è imposto da una certa cultura (non religione, perchè a detta di molti il vero islam non è quello).
La nostra videocrazia fa lo stesso, ogni donna è uguale all'altra sulla base di alcuni modelli (la bionda e la mora?), nessuna personalità, è imposto e molte pensano di volerlo fare per scelta, ma non c'è scelta se i modelli imposti sono solo alcuni e non c'è spazio per chi vuole essere altro.
Sì, forse è eccessivo, ma non vedo le donne occidentali molto più libere.
Anch'io o delle perplessità sul fatto che i diritti passino per i divieti.

andima ha detto...

@orma
si', ho letto anche io che il burqa sia un obbligo derivato da una cultura, una frangia estremista e non religione.
Volendo considerare la perdita di diritti, si' sono d'accordo, e' da condannare anche la nostra videocrazia e le conseguenze sulle donne. Restano pero' delle nette differenze: il burqa impone una visione del mondo differente, causa problemi visivi e motori nell'indossarlo e muoversi con esso, nessuna smette di indossarlo almeno per non andar contro i propri mahram e non dimentichiamo il suo significato chiave: nascondere la propria identita' per non provocare peccato negli altri, annullare la propria apparenza solo perche' il proprio corpo viene considerato un tranello di peccati, come fosse il male al di fuori delle mura domestiche.
Di ragazze che vanno "contro la videocrazia" con una moda ben precisa ce ne sono a milioni, al di la' di qualche commento o che so, qualche assurda discriminazione, non subiranno mai pene, divieti, reclusioni.
Di similitudini metaforiche se ne possono trovare sicuramente, ma resta una netta distinzione, secondo me.

Anonimo ha detto...

Come mi disse un collega svedese tempo fa:

"Se io voglio entrare in banca col cappello da cowboy e il fazzoletto a pallini in faccia, non posso.

Chi in banca ci va in niqab invece va rispettato.

I miei diritti sono violati, ma valgono meno per via di questa integrazione a tutti i costi.

Perche'?"

Belguglielmo ha detto...

Le democrazie occidentali sono società aperte, ma non neutre. Si fondano cioè su un nucleo di principi, per quanto in divenire e frutto del percorso storico e dell'elaborazione sociale, ma non negoziabili. Come non si può rinunciare al diritto di voto, ma solo esercitarlo a discrezione, così non si può rinunciare all'immagine, ma sono gestirla. Sottrarsi agli sguardi implica quindi rinunciare all'interazione pubblica, come la clausura di certe religiose. In quel nucleo di principi c'è anche la parità dei sessi e la non-discriminazione, frutto recente di un percorso sofferto. Il burqa, se da un punto di vista è l'estremizzazione di un diritto alla professione religiosa, dall'altro è la negazione di quel percorso di emancipazione, e come tale viene percepito. Poco importa che le donne col burqa siano solo una trentina, la legge afferma un principio (come la legge permette l'adozione a coppie omosessuali, benché nessuna coppia omosessuale in Belgio ne abbia mai fruito dalla sua approvazione). Il paragone con la banalizzazione e l'ostentazione del nudo mi pare una provocazione di facile demagogia, poiché si avventura nel pericoloso territorio dei giudizi morali.

andima ha detto...

@Belguglielmo
> Sottrarsi agli sguardi implica quindi rinunciare all'interazione pubblica
ed interferire con la liberta' degli altri, aggiungerei io, riprendendo proprio la frase che ho riportato dal NYT

> la legge afferma un principio
hai ragione, questa frase riassume tante cose, sicuramente e' un paletto per il futuro (nel caso venga approvata), ma a quel punto mi avrebbe fatto piacere leggere qualche parola di piu' dei politici riguardo le conseguenze, la ghettizzazione e le problematiche di quella trentina di donne che si ritroverebbero rinchiuse in casa, perche' sventolare diritti sembra facile, ma poi bisogna dimostrare che anche le conseguenze si possono gestire o almeno siano previste.


@Anonimo
chiedo scusa per il ritardo, ma giorni abbastanza pieni.
Cosa hai rispoto al collega svedese quando ti ha posto quel perche'?

Belguglielmo ha detto...

Hai ragione, la questione è il sottile limite tra le libertà personali e le esigenze dell'interazione civile, con tutti i suoi doveri e responsabilità. Non si può vietare di indossare il burqa nel privato, né si può vietare la clausura. D'altronde negli stati liberali non si può vietare la sparizione o il suicidio, ma d'altro canto non si può favorirli. Il Belgio, come tanti paesi europei, ha un istituto per l'uguaglianza tra uomini e donne ed un altro contro le discriminazioni, quanto invece ad integrazione attiva non mi sembra brilli per risultati. Si potrebbe d'altronde obiettare che l'integrazione non è un obbligo del cittadino. Ci sono comunque esperienze interessanti di mediazione culturale; personalmente ho avuto l'occasione di conoscere varie associazioni che si occupano specificamente di aiutare le donne delle comunità migranti, ciascuna con un approccio differente.

Anonimo ha detto...

Gli ho risposto che evidentemtne e' piu' importante non "offendere" una minoranza che proviene spesso da paesi le cui leggi sono una interpretazione di un tersto sacro che fare rispettare le leggi svedesi in egual misura.

Poi sulla liberta' di coprirsi o non coprirsi, le donne sono libere di fare quello che vogliono, come il marito e' libero di aprire loro la testa a sprangate (o un padre di sgozzare la proprio figlia).

In pratica l'integrazione non solo s' forzata, ma e' a senso unico.

andima ha detto...

@Belgugliemo
Ne ero quasi sicuro che esistessero delle associazioni che si occupano dei problemi di integrazione, in una citta' mista come Bruxelles non posso mancare e tempo fa insieme ad alcuni amici aiutammo proprio un'associazione brussellese, qui, con delle traduzioni, loro si occupano di sostegno medico ad immigrati anche senza permesso regolare di soggiorno; mi piacerebbe davvero sapere quali approcci differenti utilizzano le diverse associazioni in questi casi di integrazione cosi' complessi quando di mezzo c'e' religione e legge. Grazie, mi hai dato un buono spunto per alcune ricerche;)

@Anonimo
Hm, credo ti riferissi a fatti di cronaca nostrana, da cui alla fine ne esce un quadro di principi distorto, ma quelle son sicuramente eccezioni e/o comunque condannate dalle legislazioni correnti. O forse ho interpretato male il tuo commento.

Anonimo ha detto...

Non e' solo cronaca nostrana.