Di italiani dai piedi leggeri, ma anche no

C'è un articolo de Il sole 24 ore che da qualche giorno gira e rimbalza da una social network ad un'altra, descrivendo gli italiani all'estero come specie dai piedi leggeri, come nuova classe dirigente che si va formando senza corruzione né nepotismo, senza compromessi né raccomandazioni, che abbandona l'Italia in cerca di qualcosa di migliore e la trova e soprattutto "non si tratta di emigrati nel vero senso della parola e nemmeno di una fuga di cervelli, ma di italiani, ragazzi e ragazze, uomini e donne che stanno all'estero in Europa «come se fossero in Italia»".
E tu che lo leggi, ragazzo italiano all'estero, ti senti emozionato, è quasi una sviolinata, parla di te, ti ci immedesimi, qualche ricordo sale alla memoria, di quelli di valigie ed imprevisti, ti immagini tra qualche riga e quasi vorresti che la tua foto fosse lì, in mezzo all'articolo, magari con un bel sorriso e sullo sfondo la città dove vivi all'estero, un sorriso bello ma non troppo altrimenti ti si potrebbe vedere la carie che ancora devi curare ma attendi di andare dal dentista in Italia perché all'estero non ti fidi; e ti immagini anche intervistato, con quel sorriso, a mostrare il piede "sì, i miei piedi? Sono quelli di emigrato, sono leggeri, non si direbbe lo so, porto un 42, a volte con le scarpe sportive mi calza anche il 41, ma sono piedi leggeri eh, l-e-g-g-e-r-i".

Ma fermi tutti. Calma. Di cosa stiamo parlando? Di italiani che emigrano in cerca di qualcosa di migliore ed hanno i piedi leggeri. E dov'è la novità? Se ondate di emigrazioni italiane esistono da più di 150 anni verso ogni parte del mondo, le nuove generazioni non sono certo supereroi al confronto con chi nel dopoguerra lasciava la terra natia con la famosa valigia di cartone, per un viaggio in treno di qualche giorno o per una nave in balia del mare per settimane.
L'evoluzione della società moderna ha apportato migliorie indiscutibili nel tenore medio di vita, almeno nel mondo occidentale benestante, così oggi si emigra con la carta di credito ed un laurea da dimostrare, con il cellulare innestato nel rene e l'account skype per salutare mamma, con un volo low cost che con 50 euro permette di arrivare a Dublino, a Londra, a Barcellona e che in caso le cose vadano male permette di tornare a casa in poco tempo e a bassi costi; l'annullamento delle frontiere, la moneta unica, le politiche comunitarie, progetti come Erasmus e Leonardo hanno sicuramente facilitato l'idea dello spostamento in Europa e adesso i piedi sono leggeri, sì, perché agevolati dai tempi, dal dinamismo del villaggio globale e se si ha voglia di provarci, di andare altrove e tentare, lo si può fare con una facilità disarmante.
Quando mio nonno emigrò negli anni 60 in Germania, senza conoscere la lingua né poter permettersi un albergo a destinazione, per lavorare in una fabbrica ed inviare soldi in Italia, scavalcando montagne di difficoltà, i suoi piedi erano sicuramente meno leggeri, trascinandosi dietro catene di sacrifici e necessità, ma è anche grazie ai suoi sforzi se oggi i miei sono più leggeri, se le generazioni precedenti ci hanno permesso di laurearci ed avere una scelta. E allora il fenomeno dei piedi leggeri non è altro che un'evoluzione dello stesso ininterrotto flusso migratorio del passato, aggiornato al web 2.0 e agevolato dal progresso incessante. Nessuna novità. E certamente non è un fenomeno tutto italiano, di ragazzi con i piedi leggeri ce ne sono in tutti i paesi, anzi a maggior ragione dove la formazione della lingua inglese permette a ragazzi francesi, tedeschi, polacchi di comunicare senza troppe difficoltà rispetto alla nostra balbettante media da brividi.

E allora lasciamo stare i piedi e le leggerezze non conquistate: siamo soltanto figli dei tempi, magari spinti con maggior propulsione da una classe politica inefficiente, saturi della cultura della non meritocrazia, ma sicuramente cittadini del mondo, perché non possiamo abbattere le frontiere e poi meravigliarci se le nuove generazioni incominciano ad attraversarle; e sopratutto senza trascinarsi addosso la nazione, gli indelebili stereotipi e la voglia di trasformare Parigi in "unica città italiana che funziona" o andare a "spasso in una delle sue città europee alla ricerca di un ristorante che non ci faccia troppo sentire la nostalgia a me della caponata e a lui della piadina". Perché se davvero vogliamo che i piedi siano leggeri, dobbiamo prima alleggerire la testa da tutte quelle nozioni di nazione, sciovinismi a spada tratta o sottili ma onnipresenti, identità sanguigna e voglia di ricreare o cercare ovunque quello che si è lasciato inciampando in un'integrazione rallentata, magari muovendo il corpo ma non la mente.

13 commenti:

pedro ha detto...

bel post.
brutto articolo, invece quello dei giornalai, che ormai, tra notizie di gossip, di metereologia, di cronaca nera e scandalistica, si sono specializzati nelle banalità.

che gli italiani sono sempre emigrati, chissà se lo sanno.
che a dublin, london, parigi, brussel, ma finanche a brno c'è un meltin pot globalizzato (in positivo), bisognerebbe farglielo sapere.
in 4 anni fuori dall'italia, ho incontrato ragazzi emigranti, da ogni nazione europea, finanche scandinavi, che credevo vivessero in un paradiso terrestre dove tutto era perfetto.
D'altronde, per un europeo trascorrere un periodo della sua vita, dopo gli studi all'estero è una prassi comune.
Per gli europei dell'est, è un pò più una necessità, ma io sono un esempio che i flussi non sono solo in uscita, ma anche in entrata.

Brno è piena di americani, inglesi, olandesi, italiani, conosco un danese (oltre che di indiani, sudamericani e africani varii) che si sono trasferiti qui.

per favore qualcuno lo dica ai giornalai italiani figli di minzolini, di studio aperto, di lucignolo e compagnia cantante.

andima ha detto...

grazie pedro,
a me l'articolo non e' piaciuto per nulla, lo trovo molto generico e qualunquista, in alcuni punti quasi irreale, spesso una sviolinata con accenni di patriottismo e poi tutta questa meraviglia per un fenomeno comune e voluto, un fenomeno non nuovo, non inventato da queste nuove generazioni e che trovo propriamente parte dei tempi.
Magari ho semplificato troppo, rendendo troppo semplice l'andare all'estero, che semplice non e', ci sono mille difficolta' e compromessi, c'e' il peso di aver lasciato casa, famiglia, amici, luoghi, questo sicuramente, ma sicuramente i tempi rendono certe scelte piu' fattibili, piu' accessibili ad un numero sempre maggiore di persone.
Insomma se si voleva fare un'analisi del fenomeno, la si poteva in modo piu' dettagliato senza sviolinare.
Eppoi personalmente l'andare all'estero per ritrovare l'Italia e riscoprirsi piu' italiani di prima, insomma detto sinceramente, mi pare una grossa fesseria. Io da quando sono all'estero, dopo quasi 3 anni, mi sento davvero piu' cittadino del mondo, invece dei piedi leggeri bisognerebbe avere la testa leggera, senza tutti questi concetti di nazione, di patria, di voler a tutti costi identificarsi in qualcosa che alla fine ci divide.
Ma l'articolo sembra piacere a moltissimi, sara' che le sviolinate e gli accenni di patriottismo risvegliano il fascista che e' in ogni italiano e fanno gonfiare il petto a chi e' all'estero e si sente speciale per questo, ma questo e' anche il bello della diversita' di opinioni.

TopGun ha detto...

io questo articolo, l'ho letto grazie ad un post di gattosolitario.

l'ho linkato nell'ultimo post di Lyndon,pallotron lo ha linkato insieme ad altre cose molto interessanti.

perché è piaciuto?

la butto giù banale.
non so se avete presente il film "l'appartamento spagnolo"; c'è una scena in cui i ragazzi si confrontano sulle loro identità e il succo a cui si arriva è che c'è un arricchirsi di differenze.

il mio essere Napoletano, il tuo essere Parigini ecc. ecc. ci divide(va) ? ma oggi quegli elementi di divisione sono ingredienti necessari per una ricetta nuova.
materia prima indispensabile.

io quell'articolo l'ho letto in quella chiave lì e mi è piaciuto.
non so se è buonista l'articolo oppure io, però mi ha anche messo di buon umore facendomi pensare a tutta la faccenda in maniera diversa.

ad esempio questo pezzetto:
“È lui però a dirmi che in realtà ha scoperto di essere italiano proprio a Barcellona. Perché, dice, gli italiani in Italia sono individualisti e non fanno quasi mai gioco di squadra, è solo all’estero che scoprono di avere qualcosa di particolare che li distingue dagli altri, un’italianità che gli “altri”, gli “stranieri” riconoscono subito e che è considerata una qualità e non solo un tic nervoso.”

in un primo momento mi sembrava solo carico di presunzione, invece c'è dell'altro.

pedro ha detto...

esatto, il raccontare che l'amico tizio ora fa questo, l'amico caio fa quell'altro, come a vantarsi di qualcosa o voler avvalorare la sua tesi, per 4 persone conosciute, mi lascia altamente perplesso.

A parte che ci sono molti italiani che hanno fallito, nella loro migrazione e sono tornati con la cosa tra le gambe.
di questi non si parla?

le valigie piene di prodotti tipici o il considerare parigi una città italiana, dimostrano tanto provincialismo di questo emerito giornalaio e dei suoi famosi amici.

Io sono conscio di vivere in una città talmente diversa da ogni città italiana, cosi' come lo era dublin.
viaggio con un bagaglio a mano, che non riesco a riempire di mozzarelle di bufala e pane cafone.
Quando torno a casa, mi abbuffo dei prodotti che non posso gustare vivendo all'estero, ma non ne faccio mausolei da santificare.

Come hai giustamente detto, in questi tempi ci si puo' muovere liberamente, almeno in eu.
vorrei tanto abbandonare la 'carta d'identità' ed avere un documento che mi identifichi semplicemente con nome e cognome, non per quale nazione sono nato.

andima ha detto...

@Top
anche io l'ho visto tramite gatto e numerosi ragazzi su facebook lo han condiviso, tanto che alla fine l'ho riletto 3 volte prima di scrivere il post e dopo 3 volte ancora non mi piaceva.

Io l'ho visto l'appartamento spagnolo, bel film adolescenziale con diverse sfumature carine, ma trovo che quello che scrivi, la bellezza del mescolarsi, vada proprio contro alcuni punti di quell'articolo che dici di aver gradito, perche' se vado a Parigi per avere un'Italia che funziona meglio o cercare la piadina e finalmente accompagnarmi ad italiani che non sono come quelli in Italia (altra grande generalizzazione dell'articolo, perche' il sottoinsieme che emigra non e' filtrato, rappresenta bene o male l'insieme di partenza), beh allora tanto arricchimento di differenze non lo sto cercando. Ci sara' sicuramente, perche' e' davvero difficile vivere all'estero ed isolarsi da amicizie straniere o per lo meno interagire con persone di altri paesi, ma l'approccio e' sicuramente decisivo nella percentuale dell'arricchimento.

A me e' sembrata troppo una sviolinata, il far sentire speciali, importanti e migliori persone che hanno emigrato non sempre perche' contro il sistema e che ad ogni modo stanno soltanto approfittando di una delle novita' dei nostri tempi: distanze abbreviate, telecomunicazione, bassi costi di viaggio, etc.
Certo, non e' tutto cosi' facile, andare all'estero non e' facile per tutti, ci sono compromessi che se non accettati peseranno sempre, inevitabilmente. Pero', niente, quell'articolo proprio non mi ispira tutta questa stima che invece ha avuto nella blogsfera, se solo pallotron mi accettasse i commenti..

Eppoi quella meraviglia, quasi come fosse una novita' "ecco gli italiani dalle gambe leggere" vi presento il nuovo fenomeno moderno, inatteso, migliore, speciale.. non so, non voglio ripetermi nelle considerazioni, ma a me non ha colpito, almeno non in senso positivo.

Ad ogni modo sono opinioni e ti ringrazio per aver riportato la tua, perche' contro la tendenza del post, un confronto fa sempre bene.

TopGun ha detto...

chiarissimo il tuo punto.

bhe io non penso che andare a parigi per incontrare italiani con cui accompagnarsi, andare a parigi per cercare la piadina, sia l'atteggiamento giusto.

su questo siamo d'accordo.
quello non è il modo giusto.

probabilmente, il post è volutamente "romantico".
io l'ho percepito almeno così,e non lo vedo particolarmente indigesto.

punti di vista diversi, il confrono è sempre positivo.

Buona serata :)

andima ha detto...

@pedro
e' vero, l'articolo tratta solo esperienze positive ma dimentica tante altre storie dal finale non sorridente e tante altre facce che non sono cosi' brillante nonostante il tentativo all'estero. Come ho detto a TopGun, il sottoinsieme italiano che emigra non e' certo filtrato, e' ricalca piu' o meno l'insieme di partenza. Quell'articolo invece generalizza e lo fa senza mezzi avverbi, senza un probabilmente, un forse, un condizionale, niente.

Ok, e' nella rubrica idee, non e' un articolo di verismo verghiano, ma dopo il successo che ha avuto in rete, mi son sentito di alzare una voce fuori coro per sottolineare alcune cose.

p.s.
bellissima l'idea del documento senza nazionalita', come lo vorrei anche io, davvero.

@Top
e' vero, probabilmente e' volutamente romantico, di quelle sviolinate che fanno innamorare e infatti molti italiani all'estero se ne son sentiti protagonisti e come ho detto ironicamente all'inizio del post, quasi a voler la propria foto nell'articolo.

il confronto e' la base per migliorare, sicuramente. Anzi, speravo di ricevere piu' confronti, ma va bene cosi'.

andima ha detto...

A tal proposito riporto qui un commento da google reader, togliendo il nome dell'autore:

Anonimo - Parlo per me. Muovo corpo E mente, ma sicuramente mi manca tutto quello che ho lasciato in Italia. Sicuramente preferirei avere quel pezzo d'Italia che mi manca qui all'estero (in questo momento: Canada).
E' vero che molti Italiani vivono come "Italiani all'estero" e non pensano ad "immegersi" nel paese estero in cui vivono. Io cerco di amalgarmi il piu' possibile, ma sono e rimango sempre Italiano.
Sara' stato pure economico lasciare l'Italia per l'Inghilterra nel Settembre del 2008, ma ho impiegato ben 15gg per apporre la mia firma (e implicitamente quella della mia ragazza) al contratto offertomi.
E questo dopo anni (parecchi) in cui cercavamo di approdare in un paese estero. Anni di colloqui e anni di viaggetti in cerca di una posizione.
Nonostante tutta la voglia di andar via, nonostante tutte le lamentele del malfunzionamento Italiano, abbiamo impiegato 15 lunghi giorni per apporre la firma. Non e' stato per niente facile. Non ci ho visto l'agevolazione dei 50euro del biglietto.
Sembra facile, ma, e penso tu lo sappia benissimo, facile non e'.
Ecco, diciamo e' facile muovere il corpo, ma molto piu' difficile muovere la mente, nonostante le agevolazioni.
Capisco chi vuole vivere da Italiano all'estero, perche' la tentazione e' forte. Capisco chi si circonda di amici Italiani. E capisco anche chi come me e te, cerca di amalgamarsi nel tessuto sociale del paese in cui vive.
In tutti e due i casi, la decisione di lasciare l'Italia credo sia sempre sofferta. E questa sofferenza, almeno nel mio caso, ti accompagna sempre e di tanto in tanto si fa viva, sotto forma di malinconia. Ho imparato a conviverci, ma le prime botte erano toste. Aug 9, 2010


andima - Hai ragione, ho semplificato la cosa quando nella realtà semplice non e', andare all'estero, provarci e riuscirci e' sicuramente difficile, implica mancanze di famiglia, amici, luoghi, e sforzi e compromessi, ma quello che volevo dire e' che sicuramente non c'è niente di nuovo, siamo figli dei tempi, se abbattiamo le frontiere non possiamo meravigliarci che i ragazzi le attraversino, se agevoliamo il sorvolare le distanze non possiamo meravigliarci che d'un tratto si crea un flusso, un flusso che poi c'è sempre stato ma che oggi e' moderno, giustamente.
Questo non mi e' piaciuto dell'articolo che in alcuni tratti sembra quasi irreale e poi si', non mi e' piaciuto il pensare di andare all'estero a cercare un'Italia che non c'è e sentirsi più italiani di prima, quasi a richiamare quelle comunità di una volta o l'integrazione nulla che si critica ai cinesi che si muovono in blocco e creano vere e proprie piccole comunità nazionali. Sono scelte personali, ovvio, ma secondo me e' un atteggiamento sbagliato, per l'integrazione e per approfittare dell'esperienza all'estero per mescolarsi, per conoscere, per condividere ed interagire con culture diverse che possono migliorarti. Da questi due punti l'articolo non mi e' piaciuto, ma e' una mia opinione, anche perché a quanto vedo sono una voce isolata, l'articolo sembra aver avuto un discreto successo tra blog e social networks.

Sulla sofferenza, mi trovi d'accordo, non e' facile, c'è sempre un legame, un cordone ombelicale che nessuno vuole spezzare ed e' giusto che sia cosi'. Pero' continuo a pensare e mi piace pensarla in questo modo, che siamo figli dei tempi, che ci muoviamo nel villaggio globale staccati da quel concetto di nazione che tanto ci divide.

Nicola ha detto...

Forse dirò un mucchio di scemenze ma quello che io leggo nell'articolo e non leggo nella tua analisi è la situazione dei giovani in questi ultimi anni (ultimi intendo 10-20) in italia che non c'era ai tempi dei nostri nonni o padri.
Prima si andava "all'estero" per povertà, per disoccupazione, etc.
Gli italiani sono sempre stati emigranti, così come lo sono non solo gli italiani ma anche gli spagnoli, gli inglesi, i danesi etc.
Solitamente chi andava all'estero alla fine lavorava in fabbrica, non andava all'estero a sfruttare il suo titolo di studio.
Una cosa che c'è in Italia e non esiste in altri paesi europei (smentitemi, non ho parlato con gente di tutti i paesi europei) è il tirocinio non retribuito per le professioni come commercialista o avvocato.
Sono i tirocini in studi tecnici, etc.
Il discorso qua è che le competenze di un giovane italiano sono più apprezzate all'estero anzichè in Italia dove i 50enni, 60enni etc. hanno costruito un sistema basato sui loro privilegi che ci sarà sicuaramente anche nel resto dell'Europa, ma in Italia sembra molto più accentuato

andima ha detto...

@Nicola
grazie per il tuo intervento. No, non dici scemenze, ma come ho detto anche io nel post evidenziandolo in grassetto prima si emigrava per necessita', adesso la situazione e' diversa grazie ai progressi dell'occidente benestante in cui bene o male molte e molte piu' persone hanno accesso a titoli di studio prima (ai tempi degli emigrandi operai) sicuramente non molto accessibili.
Il flusso di migrazione e' rimasto (magari osclillando, cambiando in intensita', ma non ho dati alla mano), ma ha cambiato forma, si e' evoluto come si son evoluti i tempi, e' ovvio. Anche solo l'esistenza del cellulare, del poter chiamare casa in qualsiasi momento, e' gia' un grosso vantaggio, in tutta la sua semplicita'. Figuriamoci skype, info reperibili con molta facilita', etc. Questo ovviamente non sminuisce lo sforzo di chi tenta all'estero, e' soltanto la descrizione dell'emigrante di oggi, che con titolo di studio alla mano cerca meritocrazia laddove crede ne possa trovare.
Nel post non mi sono soffermato troppo su questo punto (pur menzionandolo nel finale, " magari spinti con maggior propulsione da una classe politica inefficiente, saturi della cultura della non meritocrazia") per non dilungarmi troppo ed allontanarmi dalla critica che volevo fare, la critica appunto a quella meraviglia per questa generazione di emigranti che mi sembra piu' che prevedibile. Perche' emigranti cosi', moderni, giovani, laureati, esistono anche nei paesi in cui la meritocrazie e' un bene comune, irlandesi emigrano da Dublino dove italiani vanno in cerca di lavoro e meritocrazia, cosi' come per tedeschi, inglesi, svedesi. In Italia la cosa e' piu' accentuata ed era questo il punto dell'articolo? Probabilmente hai ragione e ti ringrazio per aver puntato a questo aspetto, ma non credo sia espresso troppo bene dall'articolo, perche' lascia la critica alle ultime righe finali dilagandosi in descrizioni di ragazzi migliori, dimenticando o volutamente evitando di trattare tanti altri aspetti dell'andar all'estero meno felici ma reali. Io non voglio difendere l'Italia, sia chiaro, in altri post si e' gia' affrontato l'argomento, qui per esempio, ma certe sviolinate e soprattutto certi patriottismi sottili e romantici si dovrebbero evitare se poi il fine e' criticare il sistema.

Filippo ha detto...

Io ho lavorato all'estero in Germania e in Polonia, dopo aver fatto l'esperienza di un Leonardo in Portogallo. In tutto, sono stato "fuori" per circa quattro anni.
A me l'articolo è piaciuto molto, e devo dire che sono uno di quelli che ci si è riconosciuto in pieno. Ovvio che cercare un ristorante italiano all'estero per sentirsi ogni tanto "a casa" non significa ignorare la cultura gastronomica locale. Nè si può ignorare la cultura locale "tout court", visto che se ne è circondati in ogni momento. Semplicemente, credo che l'articolo volesse sottolineare il fatto che l'identità italiana all'estero diventa più marcata. Io, all'estero, mi sento più italiano, è vero! Ne ho la conferma quando all'estero mi presento a qualcuno: dopo aver detto il mio nome, immancabilmente dico che sono italiano (e se non lo dico io, mi viene chiesto di dove sono). In Italia, non ho bisogno di specificare che sono italiano...
Quando all'estero mi comporto secondo il mio modo naturale di essere, questi miei comportamenti (naturali per me, e per gli altri italiani) vengono immediatamente percepiti come tratti distintivi di "italianità": mi riferisco al mio modo di gesticolare, di parlare con un tono di voce un po' più alto (lì dove tedeschi e polacchi sono magari un po' più "discreti"), o di preferire il vino alla birra... Insomma, credo che ogni italiano (o spagnolo, o svizzero, o francese, insomma) porti inevitabilmente con sé i segni della cultura di provenienza, e che questi vengano immediatamente riconosciuti come tali da chi ci osserva esternamente.
Credo dunque che essere italiani all'estero (con piedi più o meno leggeri, poco importa) significhi anche imparare qualcosa di sé, e della propria cultura, attraverso il modo in cui gli altri ci guardano. Poi, ovviamente, non ci si può che mescolare in una nuova cultura, essendone per forza di cosa circondati. Ma l'italianità rimane, non è una cosa che si può cancellare da un giorno all'altro.
Per questo dico che l'articolo mi è piaciuto. Indubbiamente mi sento cittadino del mondo, ma nello stesso tempo mi sento anche rappresentante dell'Italia all'estero.

andima ha detto...

@Filippo
Scusa per la risposta in ritardo (rientro appena dalle vacanze) e grazie per essere passato da qui ed aver lasciato la tua opinione. Non mi trovi d'accordo, nel senso che per me andare all'estero non significa marcare la mia italianeita', ma questo appunto vale per me, e' il modo in cui io vedo le cose, che andando all'estero quell'italianeita' la perdo e la voglio perdere, ma non perché cattiva, peggiore, niente di negativo insomma, per carità, soltanto voglia di svestirsi da queste nazioni, da questi concetti vecchi e inutili, da luoghi comuni, da difetti secolari, da chiusure mentali, da tradizionalismi sterili. Cittadini del mondo? Si' ma non nella retorica, io non mi sento più italiano andando all'estero anzi.. io voglio sentirmi davvero parte del mondo e non come italiano, mi critico e cerco di migliorare, certo l'accento e' quella, i lineamenti del viso e tanto altro, ma questo non significa niente, Italia e' un luogo, una cultura, un punto di vista, ma non lo difendo a spada tratta ne' voglio appartenerci a tutti i costi.
Ecco, per esempio, io odio quelli che la seconda cosa che dicono e' il posto da cui vengono, e' sbagliatissimo per me, e' come mettere qualcosa sul tavolo e voler significare qualcosa partendo da ciò, e' la prima cosa che ci hanno detto anche in azienda qui a Bruxelles ed hanno fatto benissimo: "quando vi presentate, evitate di dire da dove venite, non significa niente e non serve a niente, siete voi, siete qui, da dove venite ha poca importanza".
La tua frase finale e' una contraddizione (voluta, sicuramente, ma le due affermazioni fanno parecchio a cazzotti secondo me) e io non mi sentirò mai rappresentante dell'Italia all'estero, io rappresento me stesso e sono semplicemente un emigrante con la speranza che un giorno le nazioni scompaiano, a quel punto non ci sara' neanche più il concetto di emigrante, pensaci per un attimo.
Ecco, punti di vista differenti. Io capisco perfettamente il tuo, abbastanza comune e figlio di quel patriottismo insito in ognuno di noi, ma preferisco continuare con il mio, vediamo dove arrivo;)

andima ha detto...

questa lettera su Italians di oggi penso si sposi benissimo con il post.