«Perché diavolo stai scrivendo un libro sull'Italia?»
«Bè, perché no? Non pensi che il tuo sia un Paese interessante?»
« In realtà, no. L'Italia non interessa a nessuno. E, comunque, non c'è speranza. I politici sono tutti corrotti. Non c'è niente da fare. A nessuno importa. Sa com'è, siamo un Paese di individualisti, non siamo capaci di fare squadra. La nostra industria è stata annientata dalla Cina e dall'India. Le nostre università sono inutili. Il nostro sistema giudiziario è malato. Stiamo diventando vecchi e nessuno fa più figli. Lascerei perdere, se fossi in te. Tieni, beviti un'altra grappa.»
«Ma state per celebrare il centocinquantesimo anniversario della vostra Unità. Che cosa penserebbero Cavour, Mazzini e Garibaldi se ti sentissero parlare così? Non sei orgoglioso di essere italiano?»
«Sì, sì, ma anche se siamo un Paese da centocinquant'anni non siamo mai stati una nazione. L'unica cosa che ci unisce è il calcio, e a volte neanche quello. Comunque, come ti dicevo, non c'è niente che si possa fare, e nessuno che voglia provarci.»
No, non è la solita critica qualunquista o altra fontana spontanea di lamenti, ma soltanto l'inizio di un libro, che potete continuare a leggere qui (almeno per quanto riguarda il primo capitolo), di uno scrittore e giornalista inglese (nonché ex direttore dell'Economist), Bill Emmot, che scarta la facile quanto banale suddivisione geografica del paese in Nord e Sud e descrive cosa sia la Mala Italia e la Buona Italia, da chi si ne frega e continua nei propri interessi personali a chi lotta e crede nel senso civico e nella giustizia, dal cancro alla speranza.
Certo, proprio oggi che si ricorda che la corruzione nel Bel paese è peggiorata in modo quasi irreversibile, che quel cancro continua ad espandere radici ed infermi, di quella speranza ce ne sarebbe davvero bisogno e magari anche una mano, per spostare più sassolini, perché quella montagna almeno per ora sembra davvero inamovibile.
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