Prodotti tipici

"nemmeno la macchinetta per il caffè, cioè lo strumento di produzione, è di casa nostra. I prodotti nascono da una collaborazione internazionale. Che ci piaccia o no. L’importante è saperlo, ci vogliono nuove regole, è certo, ma tant’è, meglio conoscere la fisiologia della filiera perché spesso è la nostra ignoranza della fisiologia a produrre il danno. Metti la pizza. È in corso di registrazione la dizione: specialità tradizionale garantita (pizza napoletana STG). Questa etichettatura avrà un vantaggio economico? Davvero il prodotto certificato è realizzato con materia locale? Ma veramente? Per ottenere la pizza napoletana (che sia STG o meno) di così eccellenti qualità, è necessario impiegare la farina Manitoba, ottenuta da grani selezionati dall’antica cultivar canadese Manitoba. Ciò significa che per ogni pizza paghiamo le royalties ai selezionatori di quel grano. Il pomodoro Pachino? Stessa cosa, le tre varietà di ciliegino più in uso, Piccadilly, Shiren e Titì, sono selezionate dalla ditta israeliana Hazera. Sono buoni perché gli israeliani investono nella moka da 12 anni, cioè fanno un’ottima ricerca e poi ci vendono semi, mica solo a noi, a tutto il mondo."

Et voila. Nell'era della globalizzazione, neanche la pizza, quella autentica, sfugge a certi giochi, anzi ne dipende. E pensare che c'è chi, all'estero, disgustando piatti stranieri, spesso decanta a gran voce i sapori del bel paese, autentici, unici, inimitabili, perdendosi tra un po' di patriottismo spicciolo e inciampando maldestro in trappole d'ingenua ignoranza.

3 commenti:

Baol ha detto...

Ma non è che 'sta pizza si potrebbe assaggiare?

:D

andima ha detto...

a Bruxelles c'è qualcosa di molto vicino a quella originale, se vieni ci andiamo insieme :) Da Momo, algerino che ha vissuto 15 anni a Napoli e dopo aver appreso i segreti della pizza, li ha esportati in Belgio con un accento inconfondibile!

Comfort_noise ha detto...

Caro andima, questo post casca proprio a fagiolo. Sono stato qualche giorno fa a cena con alcuni colleghi in un "va piano" (catena internazionale di cucina italiana) a Stoccolma. Il cibo non era male, e l'ho apprezzato abbastanza.
Ad ogni modo, quando i miei colleghi indicano la pasta della Barilla con gran fierezza, di solito la mia bocca fa un sorriso che cerca di nascondere una strana ghigna. Per me la vera cucina italiana è e rimarrà quella di una volta, ovvero la cucina in cui regna l'autoproduzione. Raramente posso goderne, ma di questo cerco di parlare ai miei colleghi, quando mi chiedono della cucina italiana.