Te le guardi con insistenza, le mani, come se fosse stata davvero sabbia
incessante tra le dita, come se all'improvviso potessi addirittura
trovarne granelli misti allo sporco delle unghie, nelle pieghe del palmo
che una chimera non saprebbe leggere perché troppo differenti gli
alfabeti, troppa arena a limare la pelle e cambiarne natura, non son più
le stesse, quelle mani, se all'uscita del vagone della metro c'era già
chi non aspettava i tuoi passi per entrare, chi ti spintonava per
ritrovare aria e traffico, chi già s'allarmava per la ripartenza
imminente, chi non si muoveva aspettando altre linee e destinazioni, lì al centro di flussi umani a rincorrere incontri e
speranze: tutta sabbia che ti passava tra le dita, come quando nella
zona commerciale, nella caotica rue Neuve o appena fuori la fermata di Porte de Namur, non
riuscivi a vedere che teste muoversi scoordinate, mescolarsi in cori di
voci rincorse, perdersi tra facce sconosciute mentre si diffondeva forte
l'odore dello zucchero che qualcuno faceva sciogliere sulla piastra dei
waffel, abile richiamo per file di palati già
domati, e la folla indifferente si muoveva intorno a te, fulcro di
nessuna circolazione speciale se non quella dei tuoi pensieri sotto
sforzo per tutto quel carico di occhi, suoni, passi. Come i bambini che
sulla spiaggia si lasciano scorrere una volta e un'altra e un'altra
ancora sabbia tra le mani, riempirsi un palmo e farla scorrere
sull'altro, seguire con gli occhi la sabbia risucchiata dal vuoto tra le
dita, scomparire, se non per alcuni granelli, eppoi ricominciare, mai
stanchi, ipnotizzati; allo stesso modo lasci che le
chiacchiere rumorose dei tavoli della piazzola popolosa del Parvis
scivolino veloci, come fosse l'abbraccio sonoro di una città in
fermento, son pianeti raggruppati in orbite d'empatie casuali che
t'ignoreranno quando passerai come meteora silenziosa, si confonderà la
tua scia opaca tra mille movimenti di galassie in evoluzioni. S'evolve così,
l'intreccio d'odori che ti arriva dai cento sacchetti di spezie ed
aromi, lì sulla bancarella di uno qualsiasi dei cento mercatini di Bruxelles,
c'è chi vi affonda la mano con torpore quasi fosse sabbia rovente, ma non c'è duna
né deserto tra le signore che attraversano onde poco mosse di scambi urbani e bambini, cani, urla, qualcuno che urla perché i suoi
polli arrostiti son i più buoni della città. Come la prima volta che ti sei ritrovato tra le
mani una clessidra, girarla, fissare la sabbia risucchiata al centro e
obbedire alla gravità sovrana, fino a riposarsi lenta sul fondo con i
salti degli ultimi granelli in ritardo, per poi girarla di nuovo, quasi fosse una
magia, quasi non fosse uno strumento per misurare il tempo ma per
inghiottirlo, insieme alla tua attenzione. Se ne va così, l'attenzione, ogni volta che ti trovi a respirare la città, ogni volta che ti guardi le mani come se pezzi di Bruxelles ti fossero appena passati tra le dita, quasi la senti, tutta quella sabbia, tutta quella diversità di destini e confusione, e quasi fosse uno spettacolo privato giri ancora una volta la clessidra e lasci che continui a scorrere, tutta quell'innarrestabile vita.
5 commenti:
Questi tuoi scritti rappresentano per me "USCITE DI SICUREZZA".
Quando descrivi in questo modo le tue emozioni è POESIA allo stato puro.
un saluto
Alfonso
@Alfonso
troppo buono:) adesso per equilibrare ci vogliono almeno 4 commenti che mi diano del logorroico, bimbominkia, monotono!
E mi dispiace perché, caro mio, ti darò del poeta anche io!!!
;)
non avevo mai pensato allo scorrere della vita come i granelli risucchiati dal vuoto tra le dita....bellissima metafora!
@Emiliano
grazie:) ma non pretendo copyright eh, di sicuro non son stato il primo;)
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