Il nodo alla cravatta non troppo stretto, ad un colloquio interminabile però stimolante, è perfetto per evitare che ansia e pensieri si blocchino in un rigurgito di panico, e quella finestra alle spalle della tua intervistatrice aiuta a lanciare lo sguardo fuori, anche solo per qualche instante, come se tra le pennellate di nuvole nel cielo ci fossero le risposte a quelle continue domande. Non ci sono, ma aiutano a trovarne, nella distrazione apparente o soltanto nel cambiare sguardo e lasciar scivolar via un po' di pressione. È lì, la pressione, tutta sul pavimento, la tocchi con il tacco delle scarpe, dopo la prima ora di colloquio preliminare, classico, di quelli fatti e rifatti, un po' memorizzati, un po' fastidiosi quando si arriva (sempre con quell'espressione quasi fosse una tecnica personalissima, inventata, che spiazza) alle domande sui tre punti deboli. Ne hai tanti, da dire, ma nessuno da condividere, come al solito, se non quelli preparati, pure loro come la poesia di un bambino, però più espressivo, furbo.
Quando poi si è passati alla Case interview, il nodo alla cravatta s'è stretto ad abbracciarti il collo, forse a proteggerti. Perché - ti ripeti in monologhi segreti però continui - perché c'è bisogno di tutto ciò? Perché adesso deve porti di fronte ad un problema assurdo, come per esempio spostare il Colosseo in Sicilia o calcolare quanti barbieri ci sono a Sidney? Dopo la prima selezione di lettere di motivazione e i test online di matematica, statistica e logica, c'è davvero bisogno di questa benedetta Case Interview? Sì, ti sei risposto, perché in fondo non potevi altrimenti, mentre lei sfoglia i suoi appunti, scrive qualcosa, sottolinea parole che avevi mescolato a carriera, passato e aspettative, percorre una lista di paragrafi che non sanno nulla di te ma che serviranno a giudicarti insindacabilmente. Intanto fuori c'è ancora luce quasi ci fosse stato un altro giorno da attraversare, nonostante le 19:00 passate, e le nuvole procedono lente, ignorandoti. Tranquillo - ti ripeti - mal che vada sarà comunque una bella esperienza. Tranquillo - ti rincuori - se sbagli qualcosa, how fascinating.
La corruzione - dice lei. La corruzione - ripeti muto fissandola con attenzione. La corruzione nel mondo, dobbiamo eliminarla - continua lei. Eliminarla - scandisci muto a scanso di equivoci tra udito e cervello. Ed eccola, la domanda della case interview, eliminare la corruzione del mondo, voilà, tocca a te, eliminarla, spiegare come, mostrare ragionamenti e strategie, impressionare se possibile. Una goccia di sudore attraversa lenta il collo per perdersi assorbita dalla camicia già bella stropicciata, sulle spalle, mentre una mano ti strofina una gamba quasi a ricaricare meccanismi necessari per reazioni immediate, come se stesse per far partire il colpo di pistola che fa poi scattare tutti i corridori allineati.
La corruzione. Inizi col descriverla in modo generico, col menzionare indici globali di trasparenza che vanno letti al contrario, riempiendo la stanza di parole come potere, gerarchia, burocrazia, tracciabilità, morale, abitudini, orchestrandole in gradi di granularità e contesti, cercando negli occhi di lei consensi, indizi, direzioni.
Almeno 5 vantaggi della corruzione - chiede lei, annotando qualcosa, lenta. Cinque vantaggi - ti chiedi muto. E come una serie d'immagini nitidissime ti ritorna in mente tutta una realtà passata, fatta di negoziazioni, accordi, pagamenti in nero, amicizie, parentele, al comune, dal meccanico, alla scuola, alle elezioni, potere, il vicino di casa, l'appalto, scene chiarissime di sopravvivenza e cultura, usi e costumi, in terre del sud di brava gente. Ti è bastato elencarne gli scopi, le giustificazioni, in un esercizio di memoria tanto spontaneo quanto fastidioso.
Cinque svantaggi adesso - ti chiede lei, continuando a prendere appunti, accennando approvazione con un sorriso sottile. Cinque svantaggi - ti risuona muto però doveroso. E via, altre immagini, di ecomostri a piè di spiagge, di autostrade dai lavori eterni in mano alla malavita, d'utopie di meritocrazia, di rifiuti tossici smaltiti in campi di limoni, evasione fiscale, malasanità, sfruttamento d'immigrati, e blimp, s'accende una lampadina, s'aprono altre connessioni, spinta alla brain drain, mancanza di brain gain, vedi la penna di lei riempire righe e righe, mentre la stanza s'affolla di ricordi, rancore, amarezza.
Sei stato appena nominato project manager del team che si occuperà della riduzione della corruzione, cosa fai? - ti chiede, con una mano riordinandosi capelli fuori posto, come se le parole vomitate fino a quel momento le fossero arrivare al viso, cadendo magari sugli appunti. Cosa fai? - vorresti ripeterti ma già cominci a parlarle, di POC, esperimenti locali, progetti sperimentali in UK di trasparenza in rete da analizzare e replicare, di ROI, stime, capriole e acrobazie nell'aria, se ne va, di nuovo lo sguardo fuori a giocare con le nuvole, appena lei ti ferma, soddisfatta, cosa avrà scritto non si sa, ma si complimenta, contenuta, dopo quasi 3 ore di colloquio. Non lo sa, che sei sudatissimo, e che un po' l'hai ringraziata, nel stringerle la mano alla fine, per averti domandato della corruzione, che era come chiederti di descrivere un piatto di pasta, un panorama, un proverbio. Ti saluta, con il sorriso del dentista che già sa che ti rivedrà presto. La saluti, con il sorriso compiaciuto di chi ha trasformato merda in cioccolato, un po' amaro però.
3 commenti:
E perché mai spostare il Colosseo in Sicilia?! Non va bene lì dove sta?
@Sabina
Certo che ci sta bene, soprattutto adesso che vogliono creare una zona pedonale lungo i Fori (era quasi ora, buon giorno Roma, nel 2013). Ma potrebbe essere tranquillamente una domanda di quel genere, visto che la prima fu "Come sposteresti il monte Fuji?" (da parte di Microsoft), che poi rese famose domande di questo tipo.
Quella del Colosseo - che mi son inventato - farebbe tranquillamente parte della categoria e potrebbe essere chiesta ad un colloquio di questo tipo.
continuazione di questa storia, qui (ma in inglese).
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